Articoli

Di Marco Cavedon (postato il 09/10/2018)
Fonte: https://mmtveneto.wordpress.com/2018/10/09/nota-di-aggiornamento-al-def-2018/

Puntuali anche quest’anno arriviamo alla nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (DEF), che il governo è tenuto a presentare alle istituzioni dell’Unione Europea in vista della stesura della Legge Finanziaria prevista per fine anno.
Si tratta di una delle procedure previste dal Semestre Europeo, una serie di regole entrate in vigore dal 2010 con l’obiettivo dichiarato di favorire il coordinamento in ambito economico delle diverse nazioni europee. Questo tradotto in termini concreti significa ulteriori cessioni di sovranità in ambito UE e l’impossibilità da parte dei singoli stati di varare in autonomia manovre a seconda della specificità della situazione economica di ciascun paese.
Ma come si raffronta il nuovo governo Lega e Movimento 5 Stelle con questo importante appuntamento, in cui è chiamato a comunicare alla popolazione italiana le manovre che intenderà mettere in atto per rispondere alle sue esigenze ?
Purtroppo in questo come in molti altri casi il nuovo governo, soprattutto per quanto riguarda la componente della Lega, non sta affatto mantenendo le promesse fatte per anni di tutelare in primis l’interesse della nostra nazione e lo vediamo dai seguenti dati, tratti proprio dalla Nota di Aggiornamento al DEF 2018 appena pubblicata.
indicatori_def_2018
Per l’anno in corso viene certificata una drastica riduzione del deficit pubblico all’1,8% del PIL, per poi concedere un lieve respiro per il 2019 (2,4% del PIL, lo stesso valore del 2017) e ritornare quindi a ridurre sia deficit che debito fino al 2021. Chi legge questo blog sa cosa significa in verità il deficit ed il debito pubblico in macroeconomia e pertanto le manovre economiche che il “nuovo governo” si appresta a varare non saranno per nulla efficaci per il sostegno della nostra economia, anzi.
Una spesa a defcit (e cioè un conferimento di risorse al settore privato) pertanto del tutto insufficiente per determinare una solida ripresa della nostra economia e risolvere tutta una serie di problemi , quali la povertà dilagante ed in aumento, la differenza di disoccupazione tra nord e sud Italia, una tassazione molto elevata che soffoca domanda ed investimenti. Tanto per citare un dato, la sola flat tax promessa dalla Lega in campagna elettorale comporterebbe un deficit da parte dello stato pari a circa 63 miliardi, mentre il deficit totale promesso per il 2019 non ammonta nemmeno a 44 miliardi. Il tutto senza calcolare le spese extra necessarie per la riforma del sistema pensionistico (che il Governo stima costerà come minimo 6-8 miliardi), il reddito di cittadinanza promesso dal Movimento 5 Stelle (che costerebbe almeno 16 miliardi), le centinaia di miliardi di euro che sarebbero necessari per la ricostruzione delle zone distrutte dai terremoti, la riqualificazione degli edifici in funzione antisismica, una manutenzione efficace delle nostre infrastrutture, cosa più che mai necessaria dati anche i recenti fatti di cronaca e le ingenti risorse necessarie per garantire pensioni dignitose a tutti.
Quel che è ancora peggio è il dato previsto per l’avanzo primario, che considera le entrate meno la spesa pubblica non impiegata per il pagamento dei titoli di debito. Si tratta di risorse che lo stato italiano dall’inizio degli anni ’90 sottrae all’economia reale, per conferirle soprattutto alle grandi banche di investimento nazionali e straniere che prestano il denaro che il governo non più sovrano non può creare dal nulla, arricchendo al netto con la spesa pubblica il settore di famiglie ed aziende. Questo dato è previsto in forte aumento nel 2018, per poi attestarsi ad un valore pressoché pari al 2016 e al 2017 nel 2019 e quindi tornare a salire negli anni successivi.
E che manovre attuerà il governo per continuare a rispettare i vincoli europei ? E’ presto detto. Un contributo verrà infatti dato dalle dismissioni del patrimonio pubblico (leggasi privatizzazioni), come descritto a pagina 6: si parla di entrate per lo 0,3% del PIL (circa 5 miliardi e mezzo) all’anno fino al 2020 ed esse andranno ad alimentare il Fondo di Ammortamento del Debito Pubblico, ulteriore testimonianza di come il governo intende sottrarre risorse all’economia reale per conferirle a quella finanziaria, ovvero ai mercati dei capitali che prestano allo stato ogni singolo euro che spende. E non è una sorpresa, considerando i trascorsi dell’attuale Ministro per gli Affari Europei Paolo Savona.
Altre entrate e tagli sono descritti in dettaglio nella seguente tavola presa dalla pagina 118 della nota di aggiornamento al DEF 2018. Evidenziamo le principali misure, assieme ad altre tipiche dell’ideologia neoliberista che permea anche l’azione di questo governo.
DEF2018
In conclusione, davvero non delle buone premesse per un governo che si dipinge come “del cambiamento”.
Clicca qui per scaricare e leggere l’intero documento.

La crisi economica è finita ? Alcuni dati.

(di Marco Cavedon, postato il 14/11/2017).

 Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Immagine correlata

Sovente si sente affermare da parte del governo e dei media che la crisi è finita. Ma sarà vero ?

Possibile che nonostante le politiche di austerity imposteci dall’Europa e applicate diligentemente dalla classe politica dominate le cose effettivamente non vadano poi così male ?

Un’attenta analisi degli stessi dati del governo sembra smentire categoricamente questa ipotesi. Vediamoli insieme.

I seguenti grafici sono presi dal sito DIPE (cioè del Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica) e dal sito di finanza Trading Economics, che raccoglie ed aggiorna costantemente i dati dei più importanti istituti di statistica di tutte le nazioni.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Italy Unemployed Persons

Il grafico di cui sopra rappresenta il numero totale di persone disoccupate. Come si vede l’andamento è tutt’altro che positivo e dal 2015 praticamente la disoccupazione non scende. Vediamo al contrario che il picco di disoccupazione si ebbe proprio col governo Renzi nel 2014.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Italy Long Term Unemployment Rate

Il grafico di cui sopra invece rappresenta la disoccupazione a lungo termine (persone senza lavoro da un anno o più, un dato pertanto ancora più drammatico rispetto il precedente, calcolato su base mensile). Anche qui notiamo che essa cala sensibilmente dopo il 2014, per poi però appiattirsi ad un valore pressoché costante.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: Il livello del PIL italiano, misurato su base trimestrale, ha conosciuto una fase di crescita dal 2000 fino al primo trimestre del 2008, pur con una fase di ristagno dal secondo trimestre 2001 al secondo trimestre 2003. Dal secondo trimestre del 2008 al secondo trimestre del 2009 si è concretizzata la più intensa fase di crollo del PIL dal dopoguerra ad oggi, seguita da una ripresa dal terzo trimestre 2009 al secondo trimestre 2011. Dal terzo trimestre 2011, il PIL ha subito un ulteriore forte calo, e dal secondo trimestre 2013 si è stabilizzato e poi ha ricominciato a crescere nel 2015-2017.

Questo grafico e quelli a seguire sono presi invece dal sito del DIPE (dati aggiornati al 05 ottobre 2017). Il dato sopra riportato rappresenta il PIL (il reddito interno) su base trimestrale. Come si vede, siamo ancora ben lontani dai livelli pre-crisi, quado il PIL trimestrale era maggiore di 25 miliardi rispetto ora. Come mai tuttavia questa lieve ripresina dopo il 2014 ? E’ veramente sintomo di creazione di maggiore benessere per la popolazione ? Tenete bene a mente il dato precedente della disoccupazione per capire come a maggiore PIL non corrisponda affatto necessariamente più lavoro e ricchezza per i residenti. In seguito vedremo un’altra cosa molto interessante.

Ma veniamo ora al dato della produzione industriale, che dovrebbe stare particolarmente a cuore agli imprenditori.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: La produzione industriale italiana aveva mostrato una tendenza a un moderato calo nel 2000-2005, seguito da una fase di crescita nel 2005-2008, con trend di crescita più limitato rispetto alla media della zona euro. Dalla metà del 2008 fino ad aprile 2009 la produzione industriale è crollata da un massimo di 106 ad un minimo di 78, analogamente a quanto accaduto in tutto il mondo con la crisi finanziaria internazionale. Dalla seconda metà del 2009 alla metà del 2011 la produzione industriale ha recuperato circa il 40% di quanto aveva perso, tornando successivamente a calare. Dal 2014 è ricominciata una fase di lenta crescita della produzione industriale.

Anche qui l’andamento è alquanto deludente; dopo il 2015 si assiste ad una insignificante ripresa, che non è sufficiente per parlare di andamento positivo dato il tonfo realizzato a seguito della crisi economica del 2008 e dopo le misure lacrime e sangue del “salvatore” Mario Monti.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: La stima ISTAT mostra un lento aumento dell’incidenza della povertà assoluta in Italia nel 2007-2010 (dal 3,5% al 4%) e un’accelerazione nel 2011-13, con un picco del 6,3% delle famiglie italiane in povertà assoluta. Nel 2014 si manifesta un primo ridimensionamento dell’incidenza della povertà assoluta che scende al 5,7%. Il centro e il nord sono caratterizzati da un andamento analogo al dato nazionale, ma con livelli di povertà assoluta inferiori rispetto alla media nazionale di 1-2 punti percentuali, toccando nel 2014 il 4,2% di famiglie in povertà assoluta nel nord e il 4,8% nel centro. Il Mezzogiorno invece ha un livello maggiore di povertà assoluta, il quale cresce più che proporzionalmente rispetto al resto d’Italia dal 5,1% del 2010 al 10,1% del 2013, ma che nel 2014 beneficia di una riduzione più forte, scendendo all’8,6% di incidenza della povertà assoluta, pur rimanendo circa il doppio rispetto al centro-nord. Nel 2015-2016 la povertà assoluta aumenta al nord e al centro, calando moderatamente al sud.

Ora iniziamo ad andare oltre i dati che i media quotidianamente ci presentano per farci credere che tutto vada bene. Un PIL che aumenta non significa che la maggior parte della popolazione sia diventata più benestante, così come una maggiore occupazione non significa che siamo tutti più ricchi perché questo dato non considera i lavori precari, di poche ore e mal retribuiti.

Vediamo infatti nel grafico sopra che la percentuale delle famiglie povere presenta un andamento nettamente ascendente e ciò vale addirittura per il “ricco” nord Italia.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: La stima ISTAT dell’incidenza della povertà relativa mostra limitate oscillazioni a livello nazionale con un aumento dall’11,2% nel 2011 al 12,8% nel 2012. Tale aumento è più sensibile ed è continuato più a lungo nel Mezzogiorno, dove l’incidenza della povertà relativa à passata dal 19,1% nel 2009 al 23,6% nel 2014.

Il grafico di cui sopra invece rappresenta l’andamento della cosiddetta povertà relativa, che si differenzia dalla povertà assoluta in quanto si basa su una soglia di valore di spesa per consumi che varia solo in base al numero dei componenti di un nucleo famigliare e non è differenziata per regione geografica, dimensione del comune di residenza o età dei componenti del nucleo. Anche in questo caso nel tempo si verifica un sostanziale aumento della povertà.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: La stima ISTAT registra dal 2005 ad oggi un aumento dell’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con figli minori, particolarmente accentuata per le famiglie con 3 e più figli e un calo dell’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie con un anziano e un modesto aumento nelle famiglie con due o più anziani, che tuttavia è ora diventata la tipologia di famiglia a minor incidenza di povertà assoluta (3,5% rispetto al 26,8% delle famiglie con tre o più figli minori nel 2016).

Il grafico sopra invece ci dà il prospetto dell’aumento della povertà per le famiglie numerose (con tre e più figli minori). Della serie, ci viene detto di fare più figli ma non ci vengono date le risorse per farli crescere in condizioni dignitose.

Tirando le somme, da tutti i dati di cui sopra abbiamo visto che l’andamento dell’economia italiana è tutt’altro che roseo come ci viene dipinto. Ma da dove deriva allora la tanto sbandierata ripresa del PIL, che in verità si attesta su valori molto inferiori rispetto a quelli pre-crisi ?

Semplice, non certo dalla domanda interna (che in rapporto al PIL è in diminuzione, vedi qui), causa l’aumento della povertà e la diminuzione degli stipendi (a loro volta dovuti alle politiche di austerity imposteci dall’Europa), ma bensì dalla domanda estera.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Sia le esportazioni che le importazioni sono cresciute velocemente tra il 2003 ed il 2008 (quasi 50% in più cumulato in valore nominale). Con la prima recessione tra il 2008 e il 2009, sono entrambe temporaneamente crollate per la paralisi dei mercati internazionali, riprendendosi velocemente a partire dalla seconda metà del 2009, con una ripresa più forte per le importazioni. La seconda recessione dal 2011 è invece caratterizzata da una riduzione delle importazioni a causa della compressione dei consumi interni, mentre le esportazioni hanno continuato a crescere, anche se sempre più lentamente, generando un surplus della Bilancia commerciale per la prima volta dall’inizio degli anni duemila.

Tolta la linfa della domanda interna (causa la riduzione del deficit pubblico), l’unico modo per aumentare il reddito complessivo interno è quello di fare affidamento sulla domanda estera, cosa che l’Italia ha regolarmente fatto a partire dall’inizio degli anni 2010, con un contenimento delle importazioni a favore delle esportazioni, ossia della vendita a basso prezzo all’estero di beni reali dei quali la nostra popolazione non godrà.

Come è stato possibile diventare competitivi nei mercati esteri ?

Semplice; privati della possibilità di svalutare la moneta, ora possiamo solo fare affidamento sull’abbassamento dei salari, cosa che l’Italia ha regolarmente fatto a partire dalla crisi economica del 2008 (vedi sotto).

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Il reddito pro capite è cresciuto nell’Ue in Italia fino al 2007. Dopo tale data è cominciata una fase di crisi economica con una prima contrazione del reddito pro capite nel 2008-2009, seguita da una ripresa nel 2010-11 e da un nuovo calo del reddito pro capite in Italia e nella zona euro, mentre nell’UE nel suo insieme il redito pro capite è rimasto stazionario nel 2012-13, rimanendo comunque in media ad un livello più basso rispetto al 2007. Nell’insieme il reddito pro capite italiano è cresciuto meno della media UE e della zona euro nel periodo di crescita si è ridotto maggiormente nei periodi di recessione. Il reddito pro capite italiano era più alto della media UE nel 1995 e anche dei futuri paesi membri della zona euro, mentre nel 2013 era inferiore ad entrambe le zone.

E quali sono per le piccole e medie imprese italiane e per il nostro sistema bancario le conseguenze di continuare a voler permanere nell’eurozona ed applicare politiche di contenimento della spesa pubblica (che costituisce al centesimo il reddito privato) ?

Anche qui il risultato è palese. Le conseguenze sono state la progressiva diminuzione dei crediti al settore privato, accompagnata dall’aumento dei prestiti divenuti inesigibili (vedi sotto) che hanno causato la crisi del settore bancario di cui oggi sentiamo spesso parlare, non certo dovuta semplicemente a funzionari corrotti e profittatori (questi ahimè ci sono sempre stati), ma al “bel” sistema economico nel quale continuiamo nonostante tutto a voler permanere.

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Italy Loans to Private Sector

Fonti:

http://www.programmazioneeconomica.gov.it/2017/10/05/andamenti-lungo-periodo-economia-italiana/

https://tradingeconomics.com/

Autore: Maria Luisa Visone. Fonte: http://sienanews.it/economia/nascere-e-morire-poveri-un-destino-inevitabile/
Il fenomeno della povertà in Italia ha raggiunto nel 2015 il livello più alto degli ultimi dieci anni. Ben 4 milioni 598 mila persone si trovano in condizione di povertà assoluta. Individui spesso invisibili che sono esclusi dalla vita sociale. In povertà relativa, invece, ci sono 8 milioni 307 mila persone (fonte Istat).
Il termine povertà assoluta si riferisce all’incapacità di acquistare un paniere di beni e servizi considerati essenziali per avere uno standard di vita minimamente accettabile. La differenza con la povertà relativa è che, quest’ultima, deriva dal confronto con uno standard medio rappresentativo di una comunità, rispetto al quale, si rilevano differenze.
In realtà nel paniere non ci sono solo beni e servizi che soddisfano bisogni essenziali come nutrirsi, avere una casa o riscaldarsi, ma anche bisogni che consentono di essere parte attiva della società. Ad esempio, la possibilità di comunicare attraverso uno smartphone rappresenta una necessità lontana dalla sopravvivenza, ma certamente vicina al bisogno di esistere in un contesto sociale tecnologico e virtuale.  Anche il concetto di bisogni primari quindi si modifica nel tempo. Inoltre, il costo per soddisfarli non è omogeneo sul territorio nazionale. Così, un adulto di 18-59 anni che vive da solo è considerato povero assoluto con una soglia pari a 819,13 euro mensili, se risiede in un’area metropolitana del Nord; di 734,74 euro, se vive in un piccolo comune settentrionale; di 552,39 euro, se risiede in un piccolo comune del Mezzogiorno.
Il dato veramente allarmante è che analizzando la composizione della popolazione coinvolta, oggi un minore su 10 si trova in povertà assoluta e l’incidenza del fenomeno, rimasta stabile tra gli anziani, ha continuato a crescere nella popolazione tra i 18 e i 34 anni di età, triplicando rispetto al 2005. In sintesi, non sono tutelati i bambini e chi nasce povero, sembra doverci rimanere. Al contrario, nonostante la bassa media delle pensioni italiane, gli over 65 poveri assoluti sono rimasti gli stessi in termini percentuali dal 2005 ad oggi.
A livello europeo in Ue è a rischio povertà 1 cittadino su 6 (fonte Eurostat).
Di fronte a numeri così preoccupanti quali sono le misure di protezione sociale messe in atto dai governi? Soprattutto trasferimenti sociali di denaro che hanno ridotto nel 2014 il tasso di rischio di povertà tra la popolazione dell’UE-28 dal 26,1 % al 17,2 %. In maniera minore in Romania, Grecia, Italia, Bulgaria, Lettonia, Polonia, Estonia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia. In misura maggiore in Irlanda, Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia, dove almeno la metà delle persone esposte al rischio di povertà è stata portata al di sopra della soglia.
Altra nota è che all’aumentare della povertà crescono le disuguaglianze sociali e la differenza tra ricchi e veri poveri. Tanto che i redditi percepiti dal 20% della popolazione con reddito più elevato sono 5,2 volte superiori a quelli percepiti dal 20% della popolazione con reddito più basso.
Occorrono misure strutturali e trasferimenti di denaro che comportino la possibilità di contribuire alla società con l’apporto del lavoro. Misure da costruire nel tempo. Non accettiamo che nel 2017 nascere e morire poveri sia un destino. Non pensiamoci solo quando leggiamo che il gelo abbia colpito ancora chi non ha una casa.

Di Paolo Barnard: “Nella mia vita ho fatto la mia parte contro la barbarie, libri e inchieste, e continuo a farla, ma ultimamente mi sono reso conto che c’è un nemico micidiale da sconfiggere prima di salvare i bambini siriani, congolesi, sudanesi ecc. Ed è La Crisi”

La povertà è arrivata. La classe media italiana arranca e una parte di essa è stata ridotta in povertà. Così capita che in un banale autogrill ci siano meridionali che vendano calzini e disoccupati che elemosinano qualche spiccio per la famiglia

Sono circa 3 milioni le famiglie che non godono di un reddito ritenuto minimo per la soglia di sopravvivenza (1.011,3 € al mese). Altri 3,5 milioni di persone non arrivanoa 500 € al mese