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Come abbiamo visto in uno dei post precedenti, il problema principale che i Paesi dell’Eurozona più colpiti dalla crisi stanno affrontando in questo momento è un elevato indebitamento del settore privato nei confronti dell’estero (Figura 1). Questo significa che, sostanzialmente, dall’ingresso nell’Euro famiglie, imprese e settore bancario dei Paesi periferici si sono indebitati con i Paesi del nord Europa (puntualizzazione: ovviamente molte famiglie non si sono indebitate direttamente con soggetti esteri ma lo hanno fatto indirettamente per mezzo del sistema finanziario nazionale, che magari a sua volta si stava indebitando con istituzioni finanziarie estere).
 

Figura 3.
Figura 1.
Il meccanismo che ha condotto a questo risultato ha seguito essenzialmente questo percorso:

1) I capitali esteri arrivano (soldi che entrano nel Paese). Le forme sono ovviamente molteplici:investimenti diretti (quando un investitore estero costruisce un’impresa ex novo o acquisisce il controllo di un’impresa nazionale già esistente), investimenti di portafoglio (quando dall’estero acquistano obbligazioni di un’azienda oppure acquisiscono quote azionarie minoritarie di un’impresa) e i cosiddetti altri investimenti (prestiti non obbligazionari come per esempio crediti bancari, denaro circolante o depositi bancari di soggetti esteri in banche nazionali, vedi gli “oligarchi russi” a Cipro).
2) Ovviamente, questi capitali non arrivano gratis ma per ottenere una remunerazione, un profitto. Quindi, per il paese che li riceve, questi soldi costituiscono sì in prima battuta denaro che entra ma alla fine si tratta pur sempre di un debito, visto che, in un modo o in un altro, ad un certo punto quei soldi devono essere restituiti all’investitore con l’aggiunta di una certa quota di interessi (soldi che escono).
Domanda: qual è la convenienza per una banca tedesca nel prestare i soldi a un greco, a un irlandese o a uno spagnolo?
Ecco la risposta:

Figura 1 - Tassi d'interesse sui prestiti bancari alle famiglie
                                                            Figura 2 – Tassi d’interesse sui prestiti bancari alle famiglie.

Cosa ci dice la Figura 1? Che mentre tutti guardavano ai tassi d’interesse dei titoli di Stato (che prima dello scoppio della crisi erano sostanzialmente identici fra i paesi dell’Area Euro), i differenziali sui prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni o per consumi erano assi diversi all’interno dell’Eurozona. A partire dal 2005, per esempio, era più conveniente per una banca prestare soldi a una famiglia italiana (linea viola), spagnola (linea verde) e portoghese (linea azzurra )rispetto a una tedesca (linea blu scuro). E lo stesso discorso vale per i tassi che le banche applicavano sui prestiti alle aziende (Figura 2): prestare a un’azienda irlandese (linea rossa) e portoghese era ben più conveniente che farlo a una tedesca.

Figura 2 - Tassi d'interesse sui prestiti bancari alle società non finanziarie.
Figura 3 – Tassi d’interesse sui prestiti bancari alle società non finanziarie.
Ovviamente tutto questo non sarebbe stato possibile senza due fattori fondamentali:

1) La piena libertà di movimento dei capitali.
2) L’impossibilità per le singole valute nazionali di svalutarsi (o rivalutarsi) dal momento che tutte hanno adottano la stessa valuta, cioè l’Euro.
Quest’ultimo punto è di fondamentale importanza per capire come la crisi è prima maturata e poi esplosa, in seguito al peccato originale dell’adozione di una moneta straniera per i singoli Stati dell’Eurozona. Lo sovranità è stata persa, da una parte, per il fatto che i singoli governi non possono più finanziarsi liberamente tramite la propria banca centrale (in molti casi questo assetto era ben precedente all’adozione dell’Euro, come in Italia sostanzialmente a partire dal cosiddetto “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia del 1981) diventando ostaggio dei mercati che, imponendo tassi d’interesse sui titoli di Stato spesso insostenibili, decidono di fatto la vita e la morte dei governi e orientano la spesa pubblica verso il pagamento di rendite finanziarie sempre maggiori (spesa per interessi) a scapito della spesa per servizi e infrastrutture a beneficio della cittadinanza; dall’altra, una aspetto cruciale in cui si declina la perdita di sovranità monetaria per gli Stati dell’Eurozona è anche l’impossibilità di avere una moneta liberamente fluttuante sul mercato dei cambi, che registri e allinei il corso della valuta a quello dell’economia reale (uniformando il valore esterno della moneta a quelli che sono i “fondamentali” dell’economia interna).
Facciamo un semplice esempio per capire bene questo punto. Dunque, prima del 1999 se una banca tedesca voleva concedere un prestito a un cittadino greco avrebbe dovuto valutare non solo se il mutuatario fosse in grado di restituire il prestito ma anche quanto nel frattempo si sarebbe potuta svalutare la valuta greca (Dracma) rispetto a quella tedesca (Marco). Per fare un esempio numerico, poniamo che la banca tedesca avesse deciso di concedere un prestito della durata di un anno a un cittadino greco di 100 Dracme a un tasso del 5% (mentre lo stesso prestito di 100 effettuato in Germania avrebbe fruttato alla banca solo un 2% di interessi). Al momento del prestito il cambio fra Dracma e Marco è 1 a 1. Quindi, 100 Dracme equivalgono a 1000 Marchi. Dopo un anno il cittadino greco ripaga il suo debito alla banca tedesca (che incassa 105 Dracme) ma la Dracma greca nell’anno appena trascorso si è svalutata nei confronti del Marco del 5%. Quanti Marchi incassa la banca tedesca?
Facciamo due calcoli:
X : 105 = 5 : 100
Il 5% di 105 è 5,25. Quindi le 105 Dracme convertite nella valuta tedesca diventano 99,75 Marchi (105 – 5,25). La banca tedesca sostanzialmente non ha guadagnato nulla dal concedere il prestito al cittadino greco. Anzi, ci ha leggermente perso (accollandosi anche il rischio di non vederselo restituito). Secondo voi la banca tedesca avrebbe prestato a tali condizioni?
Con l’Euro, però, questo rischio non esiste più: un Euro ad Atene equivale a un Euro a Berlino. La banca non deve più fronteggiare il rischio di una svalutazione del cambio e quindi presta ben volentieri i soldi laddove i tassi sono più alti.
Questi prestiti costituiscono però un debito per chi li riceve e quando diventano troppi e l’economia arranca per un motivo qualsiasi, spesso esterno (vedi la crisi dei subprime negli USA) , il rischio di non riuscire più a ripagare quel debito diventa concreto.
La Figura 4 mostra esattamente questa sequenza:
1) I capitali sono arrivati in periferia in maniera crescente (linee al di sopra dello zero)  dall’ingresso nell’Euro o nel caso di Cipro dell’ERM II (una banda di cambio ristretta imposta come prerequisito per entrare a fra parte del club Euro, l’ingresso avverrà per Cipro nel 2008). Da dove arrivassero è abbastanza chiaro: il segno meno (capitali che defluiscono dal Paese) della Germania è netto e costante.
2) Con lo scoppio della crisi (2008), i capitali hanno cominciato però a defluire dai Paesi della periferia, lasciando sul groppone dei privati (non dei governi) un ammontare di debito nei confronti dei creditori esteri enorme (vedi Figura 1).
Figura 4.

Figura 4.
Il risultato finale è oggi sotto i nostri occhi:

1) La fuga di capitali ha determinato un ulteriore contrazione delle economie del sud (dove i governi hanno margini di manovra ristretti non disponendo più della sovranità monetaria e della piena autonomia in campo fiscale).
2) Il rischio di insolvenza per le banche, che hanno prestato molto (troppo e male) nella fase precedente di boom economico, diventa ogni giorno crescente e ha già costretto i governi a ingenti interventi a spese dei contribuenti.
3) I creditori esteri, nel timore di rimanere con il cerino in mano, premono sulle economie debitrici e sui loro governi per farsi restituire i sospesi, imponendo condizioni spesso insostenibili (dimenticando che la valutazione del merito di credito dei debitori spettava esclusivamente a loro).
Ecco dove siamo arrivati grazie all’Euro.
Ah dimenticavo: la fonte dei primi due grafici sono quei noti incappucciati anti-Euro che si aggirano fra i corridoi della Commissione Europea  (pagina 20).
FONTE: http://memmttoscana.wordpress.com/