In 12 minuti Giacomo Bracci, giovane attivista di Memmt ed Epic, fornisce una sintetica ma al tempo stesso precisa descrizione di come il Neoliberismo sia diventato dominante in Europa e negli Stati Uniti.
Ma al termine del video il suo sarà un messaggio strettamente politico. Da ascoltare con attenzione.
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Fonte: Me-mmt Veneto
Qui prima parte: Le 7 frodi capitali dell’economia Neoliberista: il debito pubblico
Nel precedente articolo abbiamo sfatato il falso mito del debito pubblico. Ricapitoliamo il concetto fondamentale: per uno stato monopolista della sua valuta, il cosiddetto “debito pubblico” non è affatto un reale debito che deve essere onorato tassando i cittadini, bensì rappresenta un mero dato contabile, la somma delle differenze annuali tra ciò che il governo spende (creando dal nulla) e ciò che incassa (con la tassazione o altri tipi di entrate).
In questo tipo di situazione risulta chiaro che il “debito” del governo (G) rappresenta l’attivo del settore non governativo (NG), se G sarà in condizione di deficit (uscite maggiori delle entrate), NG sarà necessariamente in una condizione di surplus (entrate maggiori delle uscite).
Ne consegue che, per uno stato a moneta sovrana, il debito è un dato contabile che non deve mai essere onorato, anzi, per aumentare la ricchezza finanziaria di NG, tale dato dovrà sempre aumentare. Come afferma l’economista Wynne Godley, un determinato flusso deve necessariamente partire da una parte e arrivare ad un’altra; se un attore economico sta spendendo di più di quanto guadagna, necessariamente ci dovrà essere un altro soggetto che sta guadagnando di più di quanto sta spendendo.
Anche in questo caso ci sono d’aiuto gli stessi dati del Fondo Monetario Internazionale, che testimoniano come il surplus del settore NG (privato) necessariamente corrisponde al deficit di G.
Pertanto, come ben visibile sopra, una riduzione del deficit pubblico porterà necessariamente ad una riduzione del surplus del settore privato.
Consideriamo ora il caso delle tasse.
Provi il lettore a chiedersi: da dove viene tutta la ricchezza finanziaria con la quale noi possiamo risparmiare, realizzare acquisti, pagare le tasse?
Dal momento in cui, come abbiamo visto nella prima parte di questa serie, il settore NG non può creare ricchezza finanziaria al netto (ma solo scambiarsela), tale ricchezza potrà derivare solamente da un primo atto di spesa da parte del monopolista della valuta, ossia, il governo a moneta sovrana.
Il Ministero del Tesoro e la Banca Centrale sono infatti le uniche entità che possono creare denaro (si ricorda che le banche possono solo creare dei crediti, non reali riserve bancarie).
G, prima di poter raccogliere la sua valuta, dovrà quindi prima spenderla creandola dal nulla, esattamente come un distributore di biglietti dello stadio dovrà consegnare al pubblico gli stessi prima di poterli raccogliere.
Nella situazione di stato a moneta sovrana le entrate da parte di G non possono matematicamente pertanto assolvere alla funzione di finanziamento della spesa pubblica. G dovrà necessariamente spendere a deficit per permettere a NG di godere di ricchezza finanziaria al netto e, pertanto, sia le entrate fiscali che quelle dei titoli rappresentano di fatto una distruzione della valuta dello stato, che andrà a diminuire quei “meno” che lo stesso ha generato all’atto della spesa, ma mai potranno essere superiori alla stessa (nessuno stato al mondo si trova in condizione di “credito pubblico”).
Si legga a tal proposito anche il paper dell’economista MMT Stephanie Bell (Kelton) riportato al seguente link:
https://mmtitalia.info/wp-content/uploads/2012/12/%C3%88-possibile-che-tasse-e-titoli-finanzino-la-spesa-pubblica-Kelton.pdf
Ne deriva pertanto che per uno stato a valuta sovrana non esistono reali vincoli finanziari (se trascuriamo quelli di natura politica o ideologica) e in una situazione di crisi economica potrà agire sulla leva fiscale abbassandola al fine di consentire una sufficiente domanda aggregata (potere d’acquisto) per favorire lavoro ed occupazione (o in alternativa potrà alzare la spesa pubblica lasciando invariata la tassazione). Questa è la reale funzione del deficit dello stato.
Chiaro che in una condizione di non sovranità monetaria, quei “meno” che lo stato genera all’atto della spesa rappresentano una reale passività che esso contrae con il settore finanziario e in questo caso, rappresenteranno un reale debito che dovrà essere onorato per non incorrere nelle “punizioni” dei mercati dei capitali (alti tassi di interesse o speculazioni). L’Italia e tutti i paesi dell’Eurozona oggi si trovano in tale sciagurata condizione (ricordiamo che la Banca Centrale Europea per statuto non può finanziare i deficit dei paesi dell’Eurozona).
A questo punto sorge spontanea la domanda sul perché lo stato a moneta sovrana tassa e vende titoli, dal momento che tali operazioni non sono vincolanti riguardo la sua capacità di spesa.
1) Di nuovo torna utile l’esempio del venditore di biglietti: provi il lettore a riflettere sul reale valore che questi semplici pezzi di carta avrebbero se, per quanto riguarda ad esempio i partecipanti ad un concerto, nessuno si prendesse la cura di passare a ritirare i biglietti consentendo in tal modo l’ingresso delle persone nel locale. Di fatto questi continuerebbero a rimanere dei pezzi di carta senza alcun valore, dal momento in cui nel locale del concerto potrebbe di fatto entrare chiunque e nessuno sarebbe interessato a spendere denaro guadagnato col sudore al fine di acquistare gli stessi.
Allo stesso modo, uno stato che spenda il suo denaro ma poi non ne pretenda il riscatto (la riscossione), di fatto emette semplice carta straccia o bit elettronici (numeri sui conti correnti) di alcun valore, dal momento in cui nessuno sarebbe obbligato ad accettare la valuta dello stato per poter eseguire tutte le transazioni economiche; tutti potrebbero inventarsi anche altri metodi o altre valute e lo stato potrebbe sfaldarsi in una serie di zone franche. In prima istanza la funzione delle tasse è quindi quella di dare valore alla valuta del governo, in quanto tutti gli attori economici di quello stato, al fine di non incorrere nelle sue sanzioni, sono interessati a procurarsi la stessa.
2) In seconda istanza, si rammenta che la spesa a deficit del governo necessariamente innalza le attività finanziarie del settore non governativo e questo fatto è positivo nella misura in cui l’aumento della domanda aggregata che ne risulterà sarà coperto da un pari aumento dell’offerta di beni e servizi producibili da una determinata economia. Una volta superata la massima capacità possibile di offerta in quel sistema, ecco che l’aumento ulteriore della domanda può risultare inflattivo, cioè si tradurrà semplicemente in un innalzamento del prezzo dei beni e dei servizi che in aggregato non aumenteranno. Ecco che in tale situazione può risultare utile che il governo innalzi la tassazione e quindi abbassi il suo deficit, al fine di calmare un’economia che corre troppo, mentre, in condizioni opposte (eccesso di offerta rispetto alla domanda di beni e servizi) dovrà compiere l’operazione opposta, ossia, innalzare il deficit. A tal riguardo si cita il seguente articolo scritto da Beardsly Ruml (dirigente della Banca federale di New York durante la Seconda Guerra Mondiale):
“La Guerra ha insegnato al governo (e il governo ha insegnato alle persone) che la tassazione federale ha molto a che vedere con l’inflazione e la deflazione, con i prezzi che devono essere pagati per le cose che sono acquistate e vendute. Se le tasse federali sono insufficienti o del tipo sbagliato, il potere di acquisto nelle mani delle persone verosimilmente può risultare maggiore rispetto alla produzione di beni e servizi con la quale questa domanda di acquisto può essere soddisfatta. Se la domanda diviene troppo grande, il risultato sarà un aumento dei prezzi e non ci sarà un proporzionale aumento nella quantità di beni in vendita. Questo vorrà dire che il dollaro sarà valutato meno di quello che era prima e questa è inflazione. D’altro canto se le tasse federali sono troppo pesanti o del tipo sbagliato, il potere di acquisto effettivo nelle mani del pubblico sarà insufficiente per acquistare dai produttori di beni e servizi tutte le cose che essi vorrebbero realizzare. Questo si tradurrà in disoccupazione diffusa […]. I dollari che il governo spende diventano potere di acquisto nelle mani delle persone che li hanno ricevuti. I dollari che il governo preleva con le tasse non possono essere spesi dalle persone e pertanto questi dollari non possono più essere utilizzati per acquistare i beni disponibili alla vendita. La tassazione pertanto è uno strumento di primaria importanza nell’amministrazione di ogni politica fiscale e monetaria. (Ruml 1946, 36)”
E’ interessante notare che l’articolo di Ruml aveva come titolo “Le Tasse come entrate sono obsolete”, riconoscendo correttamente che la “guerra della finanza” ha insegnato che le tasse sono importanti per altri scopi, non per finanziare la spesa del governo sovrano.
3) Ci altri altre motivazioni per cui l’utilizzo della tassazione è utile, ad esempio per incentivare i comportamenti virtuosi (raccolta differenziata, comportamenti ecosostenibili) e per disincentivare quelli scorretti (fumo, inquinamento, ecc.) o per evitare la formazione di oligopoli finanziari in grado di spodestare il governo di uno stato democratico e anche qui gli esempi possono essere tra i più disparati possibili. Si pensi al ruolo della finanza e delle grandi lobbies che di fatto ci hanno portato all’interno della tragica Europa in cui oggi viviamo e dall’alto la governano.
4) La funzione dei titoli è invero assai più complessa e ha a che fare con il controllo del tasso di interesse interbancario a breve termine (tasso di interesse overnight negli USA), un importante tasso di riferimento sul quale si basano gli interessi dei crediti bancari all’economia reale, compresi i mutui.
Dal momento in cui la spesa a deficit del governo innalza il livello delle riserve bancarie e le banche sono obbligate per legge a presentare alla fine di ogni giorno un determinato saldo di riserve che devono detenere presso la banca centrale, di fatto si scatena una concorrenza al ribasso tra le banche nel prestarsi queste riserve presenti in eccesso nel sistema, mentre una loro scarsità dovuta ad operazioni di surplus da parte del governo farà si che i tassi di interesse si innalzino (sono presenti meno banche con eccessi di riserve rispetto quelle obbligatorie). Su queste riserve la Banca Centrale paga un interesse pari a zero o comunque molto basso e, per evitare che il tasso di interesse interbancario tenda a zero, il governo venderà dei titoli proprio per drenare gli eccessi di riserve presenti nel sistema (il tasso di interesse interbancario non potrà scendere al di sotto dell’interesse pagato sui titoli di stato).
Un’ottima descrizione di questo meccanismo viene fornita dall’economista Bill Mitchell in questa serie di articoli:
https://mmtitalia.info/la-spesa-a-deficit-101-parte-1/
https://mmtitalia.info/la-spesa-a-deficit-101-parte-ii/
https://mmtitalia.info/spesa-a-deficit-101-parte-3/
Da notare che in questo caso il ruolo della vendita di titoli statali non è affatto incontrovertibile, dal momento in cui la Banca Centrale può benissimo decidere di innalzare il tasso di interesse overnight alzando il tasso che essa paga sulle riserve. Come giustamente riportato nel nostro “Programma di Salvezza Economica Nazionale”, i titoli di stato sono uno strumento obsoleto che nei moderni sistemi monetari non ha più alcun senso utilizzare.
Di seguito si riporta un esempio di come l’aumento del deficit pubblico in uno stato a moneta sovrana di fatto abbassa l’interesse pagato sui titoli di stato, non l’innalza come erroneamente ritiene l’economia neoclassica (di seguito l’andamento del debito pubblico nel Regno Unito, sommatoria dei deficit annui):
La rivincita del Vero Potere: banche e democrazia rappresentativa sotto custodia per bloccare la borghesia uscita vincitrice dalle rivoluzioni moderne
Fonte:Me-Mmt Veneto
Questo documento si ispira al libro “Le 7 Innocenti Frodi Capitali della Politica Economica”, scritto dal nostro maggiore economista di riferimento, Warren Mosler, padre fondatore della ME-MMT.
Lo scopo è quello di descrivere i concetti base della ME-MMT, contrapponendoli a quelli della scuola di pensiero che combattiamo, la corrente economica neoclassica e neoliberista, ossia quella scuola che vuole ridurre ai minimi termini il ruolo dello Stato, negando di fatto il valore di cose fondamentali per un’economia al servizio del 99% della popolazione, quali la spesa a deficit e la tutela dei salari e dei diritti dei lavoratori.
Uno dei maggiori esponenti moderni di questa scuola di pensiero economico è stato Milton Friedman, la cui influenza nell’ambito delle politiche economiche di tutto il mondo di fatto ebbe il sopravvento sul pensiero keynesiano a partire almeno dagli anni ’70 del secolo scorso.
Non mi dilungherò troppo a parlare delle basi della ME-MMT, cosa che già magistralmente fanno da anni Paolo Barnard (il giornalista e saggista che per primo ha portato la MMT in Italia) e tutti i referenti economici del nostro gruppo a livello nazionale che ormai da tempo divulgano la nostra economia. Ritengo tuttavia utile per i neofiti fare il punto su alcuni concetti fondamentali, che nel corso del tempo avremo senz’altro occasione di spiegare sempre più nel dettaglio mediante fonti nuove e mediante l’aiuto dei nostri economisti di riferimento a livello internazionale.
Prima di ragionare su qualsiasi cosa, non si può omettere di considerare la situazione odierna in cui viviamo. Lo stato italiano a partire dal 2002 di fatto è uno stato che non è più padrone di una sua moneta e vedremo nel corso di questa relazione come questa sia una cosa assolutamente negativa in termini di potere reale del nostro governo di poter concretamente incidere (in positivo) sull’economia del nostro paese. Da allora di fatto la nostra nazione è diventata come un qualsiasi ente locale, come una qualsiasi amministrazione secondaria (una regione, una provincia) che non ha più gli strumenti per decidere in autonomia e in modo flessibile le manovre di cui abbisogna il nostro territorio al fine di poter sviluppare una politica economica di piena occupazione e di pieno benessere sociale per i nostri cittadini. Ciò è la cosa che è accaduta a qualsiasi altro paese d’Europa, a partire dalla sottoscrizione del Trattato di Maastricht all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso.
Il concetto di sovranità monetaria è un concetto assai sottovalutato, spesso non considerato da parte dell’opinione pubblica maggioritaria, che vede la cosiddetta “stampa del denaro” come un escamotage per tamponare una momentanea assenza di risorse finanziarie, causando però una moltitudine di problemi legati a fenomeni quali la svalutazione e l’inflazione.
Capiremo come tali timori siano di fatto infondati, in quanto alimentati dai falsi miti creati ad hoc dal pensiero economico della corrente principale al fine di non far comprendere alle persone le reali potenzialità di un sistema a moneta sovrana fiat (creata dal nulla).
Ora affronteremo uno ad uno ciascuno di questi falsi miti, per evidenziare la loro infondatezza alla luce di prove concrete e di fatti empirici direttamente osservabili in base agli stessi dati forniti da agenzie intergovernative dominate dal pensiero economico globalista e neoliberista, quali il Fondo Monetario Internazionale.
Prima Frode Capitale: il debito pubblico.
Innanzitutto va fatta una distinzione fondamentale, tra cos’è uno stato a moneta sovrana emissore della sua valuta (gli Usa, gli stati dell’Eurozona prima di Maastricht, il Giappone, la Svizzera, ecc.) e cos’è uno stato non padrone della sua moneta, qual è la condizione attuale dei paesi della Zona Euro.
Uno stato a moneta sovrana di fatto non si troverà mai di fronte al problema operativo di fallire nell’onorare il suo “debito”, in quanto è denominato nell’unità di conto che rappresenta la valuta che lui stesso emette e di cui ha il monopolio.
Uno stato a moneta non sovrana di fatto perde questa capacità e per finanziare tutte le sue spese è costretto a indebitarsi coi mercati dei capitali (ai quali dovrà poi restituire i prestiti maggiorati da interessi, raccolti con gli introiti fiscali) o adottando politiche economiche basate sulla competitività al fine di aumentare le entrate tramite una bilancia commerciale positiva (importazioni minori di esportazioni).
Il fatto è che l’ideologia economica mainstream non sembra affatto in grado di distinguere tra stato emissore della sua valuta e stato non emissore.
https://mmtitalia.info/mike-norman-le-falsita-sul-debito-pubblico-del-giappone/
Per affrontare la questione del funzionamento dei sistemo monetari, è utile fare riferimento al seguente schema:
Provi il lettore a chiedersi: chi è che all’interno del settore privato (non governativo o NG per semplicità) può produrre reale ricchezza finanziaria al netto?
È forse il settore privato che col lavoro genera il denaro di cui il governo abbisogna per finanziare tutte le sue spese?
La risposta è no!
Gli attori economici del settore NG si possono classificare in tre categorie: cittadini, imprese e banche.
Poniamo il caso di una moderna economia di mercato: l’impresa per aprire la sua attività chiederà un credito ad una banca commerciale (Banca 1), credito che utilizzerà per acquistare dei beni di produzione presso un fornitore che depositerà quel credito nel conto corrente presso la sua banca (Banca 2).
La Banca 1 quando ha erogato il credito, in verità non ha creato denaro nuovo al netto, né lo ha prelevato dalle sue riserve detenute presso la Banca Centrale. In realtà la banca ha creato un deposito sotto forma di credito, che non rappresenta reale denaro dello stato ma è solo un codice, dal momento in cui, quando quel deposito viene allocato presso il conto corrente del fornitore presso Banca 2, deve essere onorato dalla stessa con riserve reali detenute da Banca 1, che quindi le cederà a Banca 2 affinché la stessa possa mettere quell’ammontare di ricchezza finanziaria a disposizione del suo correntista (il fornitore dei beni di produzione). Questo meccanismo si chiama clearing (compensazione delle riserve tra banche commerciali).
Vediamo quindi che non si è creato all’interno di queste meccanismo reale denaro: in conclusione avrò che una riserva detenuta da Banca 1 si è spostata verso Banca 2; nessuna creazione di reale denaro al netto in questo caso, come spiega bene l’economista Randall Wray nella prima parte della sua serie di post sulle critiche alla MMT:
http://neweconomicperspectives.org/2013/12/mmt-101-reply-critics-part-1.html
Consideriamo ora il caso di un’azienda che vende il suo prodotto o il suo servizio (ad esempio un servizio nel campo dell’edilizia). Senz’altro l’imprenditore ne trae un guadagno in termini di ricchezza finanziaria, ne trae un utile con il quale potrà sia ripagare il debito verso Banca 1, sia ovviamente pagare gli stipendi dei dipendenti. Ma tutto quel denaro che l’impresa guadagna deve necessariamente venire da un altro soggetto all’interno di NG che se ne sia privato del medesimo ammontare, soggetto che a sua volta ha ottenuto tale ricchezza finanziaria grazie alla spesa ancora di un altro attore economico all’interno dello stesso settore ed è chiaro che una regressione all’infinito non è certo possibile.
La domanda che ci si pone allora è la seguente: da dove viene in prima istanza il denaro con cui gli attori economici privati effettuano tutte le transazioni ? Fa forse parte di una dote iniziale all’umanità concessa per mano divina ? Chiaramente ciò razionalmente non può essere vero. Per il pensiero economico neoclassico il “deus ex machina” creatore della ricchezza finanziaria è il risparmio, ma di nuovo si cade nel problema della regressione all’infinito.
E’ chiaro che ci dovrà essere un soggetto esterno al settore privato che materialmente è in grado di immettere ricchezza finanziaria all’interno del settore NG e questo è il ruolo dello stato a moneta sovrana, che crea il denaro all’atto della spesa (ricordiamo che il settore NG legalmente non può generare il denaro al netto).
Si avrà quindi la situazione di un governo (G) che, per fornire alla sua popolazione liquidità al netto con la quale potrà pagare le tasse, risparmiare e spendere, dovrà per primo spendere al netto di quanto tassa, cioè di quanto drena dal settore NG.
Questa operazione prende il nome di spesa a deficit, quella cosa demoniaca che tutti i principali media (tv e giornali) descrivono come il vizio dello stato, un reale debito che dovrà poi essere pagato a non si sa quale misterioso creditore che sta alle spalle del Governo.
Il deficit di bilancio rappresenta la differenza tra entrate e spese dello stato nell’arco di un anno, il cosiddetto debito pubblico è invece la somma di tutti i deficit annuali da quando lo stato praticamente esiste.
Dalla relazione di cui sopra si evince quindi l’importanza della sovranità monetaria per qualsiasi stato che abbia a cuore una gestione effettiva della sua economia. Senza la spesa iniziale da parte di G infatti non ci sarà alcun Prodotto Interno Lordo (PIL), che deriverà dagli scambi commerciali all’interno del settore NG, ma potrà avvenire solo a valle del processo che inizia con la fornitura di liquidità al netto da parte di G.
Il governo sovrano crea la sua valuta all’atto della spesa, con meccanismi invero complessi ma che a questo portano. Un ottimo esempio del meccanismo di spesa dello stato italiano quando possedeva la sua valuta sovrana (lira) lo si trova in questo ottimo articolo redatta da Daniele della Bona (referente economico nazionale ME-MMT):
https://mmtitalia.info/come-si-finanziava-litalia-prima-del-divorzio-fra-tesoro-e-banca-ditalia-parte-5/
Viceversa, uno stato che decida di tassare tanto quanto spenda (pareggio di bilancio) o addirittura di tassare di più di quanto spenda, sarà uno stato che decide (o sarà indotto a decidere) di distruggere la ricchezza finanziaria interna e di conseguenza la sua economia e il benessere della sua popolazione ed è questo il caso della moneta euro, valuta di fatto straniera per tutti gli stati che la utilizzano (la BCE per statuto può finanziare solo i mercati dei capitali e non gli stati ex sovrani), che ha consegnato interi popoli nelle mani degli interessi della grande finanza speculativa internazionale e nelle mani delle grandi aziende neomercantili soprattutto franco-tedesche, che giocano sui meccanismi della svalutazione dei salari e della distruzione della domanda interna al fine di esportare e trarre quindi immense ricchezze che non saranno equamente distribuite tra la popolazione, nel nome della competitività globale.
Di seguito si riporta un esempio di quanto accaduto in Germania, che ha adattato queste politiche regolarmente in seguito all’ingresso nell’Unione Monetaria.
Andamento salari reali Germania:
Andamento PIL Germania:
Come si vede dal 2011 in poi la Germania praticamente ha un tasso di crescita annua che tende a zero, la sua competitività non le consente più di reggere lo sviluppo economico degli anni precedenti, con i paesi importatori del sud Europa che annaspano all’interno della crisi deflazionistica imposta dall’Eurozona. A questo punto l’unico sistema per le aziende tedesche di prosperare è di acquisire le aziende dei paesi debitori (soprattutto dell’Italia) e di poter quindi sfruttare manodopera a basso costo per la competitività globale, cosa che sta costantemente avvenendo da anni, come testimonia questo articolo del Sole 24 Ore (fonte filoeuropeista):
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-06-06/ecco-quanto-germania-guadagna-105240.shtml?
Dall’avvento con Pinochet al successo garantito dai finanziamenti delle élite ai think tank di tutto il mondo: i Chicago Boys di Milton Friedman hanno smantellato le conquiste sociali keynesiane. Deregulation, privatizzazione e attacco allo Stato sociale i suoi capisaldi. La Me-Mmt per uscirne.
Un libro fondamentale, contente le traduzioni di alcuni inediti documenti e contributi dell’economista francese, realizzate dagli attivisti Me-MMT italia.