Accade spesso che nelle Università vengano chiamati ad esporre personaggi di spicco del panorama nazionale ed internazionale su temi di vario genere. Pochi giorni fa all’Università di Urbino è stata la volta di un vero e proprio magnate della finanza, Carlo Salvatori, presidente di Allianz Assicurazioni, Banca Monte Parma e Lazard Italia, nonché membro del Consiglio di Sovrintendenza dello IOR, ex amministratore delegato di Banca Intesa, ex vicepresidente di Mediobanca e amministratore delegato di Unipol Gruppo Finanziario fino al 2010.
Il titolo dell’incontro era questo: “L’Italia e l’Europa. Crisi dell’economia e della finanza. Quale comunicazione possibile?” Il titolo dunque, già di per sé eloquente ci introduce all’argomento: la crisi. Da un incontro del genere ci si potrebbero aspettare dei risvolti interessanti, la prospettiva di una soluzione alla crisi economica, un piano di ripresa, un programma di occupazione.
Nel mondo dei sogni, forse.
In realtà ciò che è stato messo in scena davanti agli occhi inermi degli studenti è stato lo scontato e nauseabondo teatrino ultra-eurista, il cui sipario sembra purtroppo ancora lontano dalla chiusura. Dopo una breve introduzione sull’origine della crisi (ricordiamo, originata dal debito privato) siamo in breve giunti al solito copione sentito e risentito. Si parte da un’iniziale paternale all’Italia per non esser riuscita a contrastare la crisi e a rialzarsi, per poi arrivare alle ricette Made in Ue: meno spesa pubblica, più cessioni di sovranità per porre gli Stati sotto i voleri di autorità sovranazionali indipendenti e, dulcis in fundo, “visto che lo Stato NON ha soldi, sono le aziende private che li devono mettere per investire”.
Nemmeno Maga Magó sarebbe riuscita a creare un simile guazzabuglio di definizioni e a metterle insieme in un unico discorso, dunque complimenti al signor Salvatori, che con questo discorso ha dato ragione del suo curriculum di esperto banchiere.
Dato che l’Italia è stata così poco diligente nell’uscire dalla crisi chiediamoci come hanno invece agiscono altri paesi che ne hanno sofferto meno: Usa, Giappone, Inghilterra, ed altri, hanno forse ridotto la spesa pubblica (come propone questo simpatico esponente della grande finanza)? No. L’hanno aumentata, hanno introdotto liquidità per dare impulso all’economia reale e far riprendere i consumi, per far sì che le aziende potessero comprare le materie prime, pagare i dipendenti e che a loro volta potessero spendere i soldi del proprio stipendio e persino riprendere a risparmiare, dato che il settore privato non può stamparsi il denaro a casa; cosa che invece può fare lo Stato, se sovrano ovviamente, senza contrarre debito con nessuno se non con sé stesso (pertanto il debito non esiste).
Ma qui veniamo ad un tasto dolente: le cessioni di sovranità. “Vengono fatte perché c’è bisogno di controllare e coordinare i paesi”. Certo, e queste autorità sovranazionali ed indipendenti cosa sono se non la grande finanza che egli stesso rappresenta in pompa magna?
Tutto torna. Quando poi la fine della relazione è un panegirico magistralmente architettato alla “ripresa” e alle riforme costituzionali, è ormai palese che non c’è più speranza e che ti trovi di fronte al potere finanziario. Da non dimenticare infine, il consueto isterismo qualora si osi paventare una timida ipotesi di uscita dall’euro da parte del pubblico. Non è assolutamente possibile. Perché? Inenarrabili sciagure, onde anomale, invasioni di cavallette. Disgrazie su disgrazie ma nessun fatto o dato a sostegno di questa tesi, anche qui, come da classico copione eurista. Evidentemente, ahinoi, l’uscita dall’€uro non è mai un finale plausibile in un teatro liberista.
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In Grecia Varoufakis collabora con James Galbraith e Rania Antonopulous è viceministro del Lavoro; Randall Wray traduce il suo libro in spagnolo, va a Madrid e ha contatti con Podemos; negli Usa il senatore Sanders nomina la Kelton e si candida alle presidenziali 2016