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È un Monti in forma quello che ha tenuto banco per circa un’oretta all’Arena del Sole di Bologna, nell’ambito della kermesse la Repubblica delle idee. Il solito aplombe centroeuropeo, il solito periodare lento e monocorde, ma un’insolita propensione all’ironia: un umorismo che solo in pochi, in sala, erano in grado di considerare più vicino al black humour piuttosto che al cabaret da prima serata. Dopo le solite e cardinalizie domande del moderatore Claudio Tito in merito al futuro dell’Italia e dell’Eurozona, il premier ha puntato infatti su una serie di argomenti “tosti”: il senso del rigore, le ragioni della crisi, la moneta unica, il lavoro.
Fra una battuta e l’altra, Monti ha lanciato un messaggio chiarissimo ai policymaker mondiali, circa la possibilità, prospettata da una consistente frangia di economisti e movimenti americani ed europei (fra cui noi di DemocraziaMMT), di utilizzare la leva del deficit spending per uscire a testa alta da questa crisi. Favorito anche dall’infelice assist (o forse dovremmo dire dall’autogol) fornitogli di recente dall’ex premier Berlusconi, Monti ha ribadito più volte che immettere liquidità nel sistema non è soluzione alla crisi, salvo poi precisare nel finale che i sistemi bancari spagnolo ed irlandese hanno un disperato bisogno di liquidità.
Insomma, come scrisse George Orwell in La fattoria degli animali, tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri: e nello specifico chi beneficerà di questa maggiore uguaglianza sarà, come al solito, il sistema bancario. Ci si sarebbe aspettati, da un esecutivo europeo fedele al dogma della libera concorrenza, un percorso fatto di entrata ed uscita dal mercato anche per il settore bancario. Questa concorrenza però sembra non piacere ai governi dell’Eurozona: le banche vanno salvate, alla faccia di Schumpeter, il quale invece è stato tirato in ballo dal nostro premier…parlando di posti di lavoro! Proprio così, è sbagliato che alcune banche incapaci, maldestre e in malafede falliscano, con un processo di distruzione creatrice che, si spera, dia spazio a operatori bancari migliori; ma è invece giustissimo che i posti di lavoro più traballanti e meno tutelati spariscano, almeno interpretando le parole del premier, che ha utilizzato il termine ciclo schumpeteriano riferendosi al processo di precarizzazione del lavoro verificatosi negli ultimi dieci anni. Ma il meglio è arrivato quando si è parlato in termini più specifici della crisi finanziaria.

Interpellato da Tito sulla possibilità di investire di più per risollevare il Paese, sempre mediante emissioni di liquidità, il premier ha liquidato la questione sostenendo che se il maggiore indebitamento avesse davvero effetti benefici, l’Italia dovrebbe aver beneficiato di una crescita formidabile in questi anni, con la sua enorme montagna di debito (ha usato davvero questi termini). Applausi in sala.
Ora, come mostra l’infografica di Linkiesta.it di cui sopra, a partire dal 1992 non vi è stato alcun aumento forsennato del debito; piuttosto, una leggera flessione fino al 2008 e una leggera crescita in seguito. Ci si potrebbe chiedere, perciò, dove il premier abbia visto questi aumenti sensibilissimi del debito negli ultimi anni.
Ma, d’un tratto, è giunto Scalfari a “mettere una toppa” sulla questione, precisando fieramente che l’esplosione del debito pubblico è colpa di quel cattivone di Craxi e della sua idea malavitosa di un’Italia da bere, fatta di tanto clientelarismo e tanti manigoldi alla corte del satrapo. Mega applausi in sala. Qui potete trovare la reale dinamica e le vere motivazioni dell’esplosione dello stock di debito pubblico italiano. È facile accorgersi che quelle di Scalfari sono le solite panzane piddine che tanto piacciono ai “progressisti” nostrani, e che piuttosto le ragioni risalgano al divorzio fra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro avvenuto nel 1981, voluto da Ciampi ed Andreatta. Ma non basta.
Monti ha tenuto a sottolineare il fatto che, se fosse davvero il disavanzo pubblico il motore della crescita, non si spiega perché l’Italia sia rimasta ferma al palo mentre la Germania, Paese in cui pure il debito è aumentato sensibilmente (ma a causa dell’unificazione, precisa il premier), abbia avuto una crescita così rapida.
Forse proprio perché noi siamo rimasti al palo, ho pensato su due piedi. E’ la moneta unica che ha garantito una maggiore competitività ai prodotti tedeschi, la quale di conseguenza ha aumentato la produttività nazionale tedesca, facendo crollare la nostra (che già era in calo a causa di politiche monetarie e fiscali pessime, promosse da tecnici di area neoliberista). Non il contrario. Marx avrebbe chiamato questa inversione fra causa e conseguenza misticismo logico.
E il premier, non contento, ha espresso il desiderio che gli italiani si sentano fortunati di avere al timone un uomo gradito a Berlino; è grazie al vento delle virtù fiscali che spira dalla Germania che l’Italia può liberarsi dal vizio dell’indebitamento di stampo anglosassone (come non ricordarsi di Parguez quando si ode cotanta saggezza?).
Per i tedeschi, secondo il premier, fare economia è ancora una questione di filosofia morale: una concezione di morale abbastanza singolare, direi, visto che in Grecia, soprattutto grazie alle politiche di Bruxelles, 439 mila bambini soffrono la fame. Picchi di autolesionismo in salsa Savonarola, infine, quando sempre il buon Scalfari ha elogiato il presidente Napolitano per aver nominato d’emergenza Mario Monti, in quel tormentato novembre che fu. Sì, perché secondo Eugenio Scalfari il fatto che Napolitano abbia nominato un governo di non eletti è ancor più rispettoso della Costituzione reale rispetto a quella materiale, quella cioè dettata dalla prassi secondo cui il Presidente del Consiglio viene scelto sulla base di una consultazione con i partiti a seguito delle elezioni. Nella Costituzione, all’art. 95, c’è scritto chiaramente che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio, il quale ha poi il compito di formare il governo. Astenendomi da ulteriori commenti, consiglierei a Scalfari di rileggersi l’art. 1 della Costituzione, tanto per prendere coscienza di una sezione della Carta Costituzionale leggermente sovraordinata rispetto a quella cui egli si riferisce.