Fonte: https://memmttoscana.wordpress.com/2018/04/24/traditi-sottomessi-invasi-come-liberarsi-dalla-dittatura-europea/
Chi siamo? Da dove veniamo? Dove stiamo andando?
Il nuovo libro di Antonio Socci è un viaggio appassionato in ciò che significa ITALIA e svela ciò che vuol dire Unione Europea.
Non è solo economia ciò che stiamo perdendo, ma molto di più. L’estinzione di un popolo senza figli, senza lavoro, senza futuro.
Eppure, cambiare si può.
Come?
Proveremo a scoprirlo insieme:
“TRADITI, SOTTOMESSI, INVASI”. COME LIBERARSI DALLA DITTATURA EUROPEA.
Firenze, Sabato 5 maggio 2018 ore 17,30
Sala Meeting Malaspina
Relais Hotel Centrale Residenza d’Epoca
Via dei conti, 3
PROGRAMMA:
Introduzione di Maria Luisa Visione, Presidente MMT Toscana.
Presentazione del libro: “Traditi, Sottomessi, Invasi”
Antonio Socci, giornalista e scrittore;
Fabio Dragoni, dirigente ed editorialista “La Verità”
“Come uscire dalla dittatura europea” – Filippo Abbate, Presidente MMT Italia
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La partecipazione all’incontro è gratuita ed aperta alle istituzioni. La cittadinanza è invitata a partecipare.
Per ulteriori informazioni: toscana@memmt.info
Scarica la locandina in formato PDF, clicca qui.
Articoli
Fonte: http://sienanews.it/economia/il-rischio-sistemico-del-sistema-bancario-europeo-quali-soluzioni/
Conoscere la natura e i risvolti del rischio sistemico è chiave di interpretazione importante per comprendere come oggi gli eventi del mondo finanziario ed economico siano tra loro fortemente interconnessi. Per definizione il rischio sistemico ha, in sé, l’effetto contagio, sapientemente descritto in letteratura nel 2000 da De Bandt e Hartmann, come “propagazione particolarmente forte dei problemi economici da un istituto, un mercato o un sistema ad un altro”. In sintesi, un evento singolo è in grado di generare una crisi globale, propagandosi anche all’economia reale.
Ciò che spaventa, dunque, è l’effetto domino. L’evento, però, è sistemico, se provoca conseguenze strutturali su altri sistemi economici, passando da locale a nazionale e, infine, a internazionale.
L’aspetto che voglio sottolineare è che, oltre a variazioni di fondamentali dell’economia, esistono cambiamenti nelle opinioni degli investitori, di tipo psicologico e comportamentale che incidono su tale rischio. Qualsiasi banca diventa vulnerabile se i depositanti, percependo il rischio, ritirano in massa i risparmi costringendola a liquidare le attività anche in perdita e riducendone la possibilità di concedere o mantenere i prestiti attivi verso privati e aziende.
Il punto è che il rischio sistemico esiste, ma non sappiamo con certezza quando e come si manifesterà. Per questo gli innumerevoli modelli di gestione e controllo di tale rischio si evolvono in continuazione. Si discute di come affrontarlo prima e come gestirlo poi, senza chiarire bene perché non si faccia semplicemente intervenire all’occorrenza la banca centrale come prestatore di ultima istanza.
La resilienza delle banche, ovvero la loro capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici riorganizzando tempestivamente la propria vita, oggi è misurata dagli stress test, cioè da un processo di simulazione, basato sui requisiti di Basilea II, che misura statisticamente la capacità di una banca solvente di sopportare una grave crisi economica futura.
Siamo tutti concentrati sulle banche italiane; intanto, dopo la Brexit, la più grande banca tedesca, Deutsche Bank con sede a Londra, nella dichiarazione del FMI “sembra essere il maggior contribuente netto al rischio sistemico”. Il 30 giugno la Federal Reserve annuncia che la banca tedesca ha fallito gli stress test della Fed in USA; conseguenza: discesa della quotazione del titolo, ai minimi dagli ultimi 30 anni. A dimostrazione che i problemi delle banche, nati spesso da cattiva gestione e inefficace controllo delle autorità di vigilanza, si amplificano in un contesto di crisi economica e finanziaria globalizzato. La differenza la fanno la gestione finanziaria e informativa del rischio, nonché gli interventi regolatori del sistema attraverso le politiche monetarie e fiscali.
In altri paesi come l’America, dopo il fallimento della Lehman Brothers e di altri, lo Stato è entrato d’imperio nel sistema bancario sostenendo la liquidità, riparando alle perdite e restituendo agli istituti bancari stabilità e redditività. Inoltre, Bernanke, ex presidente della Fed, specificò che, i soldi impiegati non provenivano dalle tasse dei contribuenti, ma dal potere dello Stato di emissione monetaria.
Ancora una volta non si inventa nulla: la soluzione tecnica è a portata di mano e guarda all’interesse di tutti.
Il resto è interpretazione politica.
Maria Luisa Visione
fonte: http://sienanews.it/in-evidenza/caro-spread-ti-scrivo/
Oggi tutti sanno che il termine spread indica il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato decennali italiani (BTP) e i Bund tedeschi, ritenuti più affidabili. E’ curioso, tuttavia, che prima che la grande banca d’affari americana Lehman Brothers dichiarasse fallimento, lo spread dei titoli di Stato italiani non avesse mai superato i 30-40 punti base. Quel fallimento innescò la corsa, tanto che nel gennaio del 2009 lo spread toccava i 170 punti.
In realtà erano appena iniziati i tempi delle “nuove” crisi; la Grecia, non una banca, ma uno Stato, mostrava fragilità finanziaria. Così montava la preoccupazione del contagio di Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo e, di diretta conseguenza, crescevano gli spread dei paesi periferici dell’Eurozona. Per la prima volta si metteva in discussione la tenuta dell’area euro.
Il 9 novembre del 2011 lo spread italiano toccò il massimo record, ancora oggi mai raggiunto, di 574 punti base. Conseguenza: cambio di Governo e riforme lacrime e sangue per noi italiani. Ne seguì, per il caro spread, un andamento altalenante, poi di nuovo il livello sopra i 500 punti – prima dell’intervento di Draghi e i programmi della BCE per sostenere la moneta unica – e, dopo, l’abbassamento, tanto da non sentirne quasi più parlare.
Finché il ministro dell’Economia Padoan, nel corso di un’audizione sulla legge di bilancio davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato dichiara che lo spread italiano ha invertito la tendenza e che ciò dipende dai timori nel mercato che si interrompi l’azione di politica economica del Governo. Di fatto, dopo mesi di discesa, lo spread italiano in chiusura della scorsa settimana sale e raggiunge 160 punti. Inversione di tendenza? Sono diverse le partite sul piatto: l’aumento del deficit e le risorse necessarie per la manovra finanziaria; le politiche di austerity che non sembrano aver giovato ai dati economici dei paesi interessati e soprattutto il referendum costituzionale.
L’interrogativo ancora in sospeso è questo: come mai il rapporto debito pubblico su Pil nel 2011, anno di massima rilevazione dello spread era al 120,1% e quello previsionale della Commissione UE del 2016 è pari al 132,7%?
La solvibilità del nostro Paese è migliorata anche se il debito pubblico è aumentato? Quella variabile che dovrebbe essere influenzata prevalentemente da dati economici sembra invece essere strettamente legata alla politica. Lo spread italiano diventa un termometro più o meno sensibile rispetto alle necessità politiche da conciliare con le direttive europee. Anche la disoccupazione pari all’8,9% nel 2011 (dato allora più alto dal 2004) è ormai un ricordo nei confronti dell’attuale rilevazione a due cifre (11,7% ultimo mese rilevazione Istat). Ma il ministro dell’Economia valuta “la discesa dello spread in questi 30 mesi come l’apprezzamento, tra le altre cose, per la politica economica”.
Caro spread, chissà se sentiremo ancora parlare di te.