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Articolo pubblicato su La Voce di Romagna sabato 6 novembre
Su un totale di 8092 comuni quelli classificati ad alto e medio rischio sismico sono più di tremila. 
Il piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico per gli anni che vanno dal 2010 al 2016 è di 965 milioni di euro: la protezione civile stima che questi fondi probabilmente non coprono nemmeno l’1% del fabbisogno complessivo.
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Servirebbero dunque investimenti per 95 miliardi di euro; la spesa pubblica è di circa 800 miliardi, quindi dovremmo tagliarla del 12%.
 
Occorrerebbe un taglio drastico di servizi già ridotti al lumicino o aumentare le tasse.
 Per garantirci che al prossimo terremoto il tetto non ci cada in testa ci sarebbe la terza via, ovvero effettuare questa quota di investimenti aumentando il deficit pubblico di circa 5 punti percentuali, che potremmo spalmare su 5 anni con conseguente aumento del debito pubblico.
Ora mi viene da chiedere per alzata di mano a tutti gli abitanti di questi tremila comuni: 
”Ma voi aumentereste di un punto percentuale all’anno il deficit in modo da garantirvi la vostra incolumità?”
 Che in altre parole è come dire: 
“Temi più le politiche fiscali espansive rispetto ad un sisma 6.5 della scala Richter?”
Qualcuno obietterà: “Così creeremmo nuovo debito che graverà sulle future generazioni?”, ma bisogna scegliere se è meglio lasciare ai figli maggior debito pubblico o un cumulo di macerie.
La proposta MMT inoltre ribadisce che questo “deficit” è fittizio, basti pensare che la Bce sta emettendo 80 miliardi al mese, e con soli 35 giorni potrebbe coprire le esigenze di finanziamento anti-sismico dell’Italia. Basta volerlo.

Analisi del Def. Nel 2016 lo Stato Italiano, per ogni 100 lire di tasse incassate, ne ha spese 98,5 in servizi come sanità o investimenti come strade, nel 2017 su 100 lire di tasse la spesa sarà di 98,3 (e ne promette 96,8 nel 2019). Come fosse una gara di poker, nel 2016 lo Stato avrebbe vinto qualcosa come 25,7 miliardi. Chi perde? Lavoratori e imprese.