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Lo scrive chiaro e tondo Fubini sul Corriere.it: la Commissione chiede di “spostare la contrattazione salariale sempre più verso i territori e le aziende. Altrimenti il Jobs Act sarà privo di una gamba essenziale. Renzi deve scegliere”.

Edoardo è un ingegnere aerospaziale, ha 29 anni, e una storia da raccontare, come molti fra noi.
La sua riguarda il lavoro, riguarda il suo futuro. E con il futuro non si scherza: se hai la ventura di averne uno, beh, per sua natura ti raggiunge e allora prega che non sia cattivo…

Un anno fa con tre articoli noi “gufi” della Me-Mmt prevedemmo l’insuccesso della “trovata” di Renzi. Impossibile creare lavoro e ridurre il deficit pubblico contemporaneamente. Un articolo della Reuters impietoso: “L’Italia ha creato più posti di lavoro nel 2014 che nel 2015”

Era il 1948 quando George Orwell, limitandosi ad invertire le ultime due cifre di quell’anno, scrisse quello che venne definito il romanzo distopico per eccellenza:, ovvero 1984. Egli immaginò un evoluzione della società futura, simbolicamente attorno agli anni ’80, estremizzando le espressioni negative di tutta una serie di tendenze sociali, politiche e tecnologiche che l’autore osservava a suo tempo. Orwell esasperò il peggior male del secolo, la dittatura, estendendola anche alla mente, coniando per essa il termine neo-lingua, ovvero un lessico ri-creato ad hoc dal Partito per erigere mediante codici comunicativi ben precisi, tutta una serie di immagini che dovevano poi sedimentarsi nella mente collettiva, quella che oggi chiameremmo pubblica opinione. Tali immagini, vere e proprie storielle, miravano a mistificare la realtà e contestualmente annichilire la memoria storica del popolo stesso.

Tutt’oggi, una sorta di neo-lingua orwelliana è il latinorum utilizzato dalla stampa economico e finanziario. Il vero potere, che non risiede più da decenni nei Parlamenti e Governi Nazionali, trova la legittimazione delle manovre dolorose ma necessarie, nel terreno fertile dello stato di piena emergenza sociale create dallo stesso e la neo-lingua 2.0 è il veicolo volto a mistificare la realtà tangibile creandone nella percezione collettiva una virtuale e completamente distaccata.E così come Giovanni Reale ha magnificamente descritto nel suo Platone alla ricerca della sapienza segreta; il rivoluzionario periodo di  passaggio dalla preminenza dell’oralità alla scrittura vissuto dal filosofo, così noi oggi possiamo senza dubbio asserire di trovarci in un altro periodo rivoluzionario: quello del passaggio dalla prevalenza della scrittura alla comunicazione massmediatica, dove regna l’immagineE in tale palcoscenico i media svolgono l’unico ruolo istituzionale di creatori di immagini autorevoli, le quali penetrano l’opinione pubblica e sempre secondo tale schema i principali esponenti della coalizione partitica vanno in tv e giornali, a raccontarci come l’Italia sia in crisi perché non ha fatto a suo tempo le dovute riforme strutturali, termine da sostituire sistematicamente con: sacrifici.E ci tengo a ricordare che l’Italia è uno dei Paesi Ocse che sin dagli anni ’90 ha realizzato la maggior quantità di riforme strutturali ovviamente di benefici non ve ne è minimamente l’ombra: ed ecco la neo-lingua orwelliana 2.0, che impedisce con la sua grancassa mediatica, la voce autorevole al dissenso che possa smontare le balle da lei trasmesse. Con questo sistema i grandi gruppi economico-finanziari dopo aver volutamente creato la crisi attuale e quindi il terreno fertile su cui poter imporre i propri esclusivi interessi, legittimano nell’opinione pubblica quelle dolorose ma necessarie politiche con cui piegare unilateralmente la società ai propri scopi, utilizzando una neo-lingua ed il consenso univoco per nascondere e legittimare le stesse ricette veleno che ci hanno portato sin qui.
https://peruneconomiasolidale.files.wordpress.com/2014/10/protezione-del-lavoro-epl-fonte-ocse.jpg?w=542&h=421

Le stesse che da oltre vent’anni stanno sistematicamente aggravando la nostra condizione economica e la dignità di cittadini:
Quindi, io prima creo il problema, mediante precise scelte di politica macro-economica e poi propongo come soluzione ai problemi che io stesso ho creato, quelle medesime ricette che paradossalmente hanno condotto interi popoli al disastro che tutti noi oggi vediamo con i nostri occhi e proviamo sulla nostra pelle.

Ma cosa sono le riforme strutturali?

Non sono altro che delle misure di politica macroeconomica che mirano appunto a riformare la struttura della società, spaziando dal mondo del lavoro al settore dei servizi di pubblica utilità quali sanità, energia, assicurazioni, previdenza, telecomunicazioni, trasporti.

Mercato del lavoro flessibile = meno protezioni per i lavoratori e salari più bassi
Su tali riforme sono stati spesi negli ultimi anni fiumi d’inchiostro. In questo articolo mi limito a ricordare il Pacchetto Treu, la legge Biagi, la Riforma Fornero e ora il nuovo Jobs Act, altra espressione riconducibile ad una sorta di neo-lingua orwelliana 2.0 attraverso cui parole anglosassoni, rendono nuovo e appetibile ciò che da vent’anni è sempre lo stesso veleno imposto.

Al massimo tali riforme agiranno sui flussi di occupati, ossia: un anno Luca lavora, a 600-700 euro al mese e Matteo sta a casa; l’anno dopo Matteo lavora allo stesso salario e Luca se ne sta a casa. Pensate quale meraviglioso futuro potremo costruirci noi giovani. Non intendo dilungarmi molto sulla fallacia e gli effetti disastrosi che tali riforme hanno in diversi ambiti, quali ad esempio: la produttività del lavoro, la qualità e la dignità economico-morale del lavoro, gli stipendi, i fatturati delle piccole e medie imprese, la distribuzione della ricchezza e la vita di milioni di esseri umani mi limito ad indicarvi maggiori approfondimenti quiqui e qui.

Ovviamente tali riforme servono ai grandi esportatori italiani e soprattutto esteri, come le maggiori industrie neo-mercantili franco-tedesche. Vi basterà sapere che in questi giorni il Fondo Monetario Internazionale, non certamente il soviet della provincia di San Pietroburgo, ha ribadito nel suo World Economic Outlook che non ci sono “correlazioni statisticamente significative” tra la deregolamentazione delle assunzioni, licenziamenti e la capacità di crescita dell’economia. Ergo: il Jobs Act non porterà nel complesso a nessun aumento dell’occupazione.

Ciononostante i media di regime, a reti unificate, ci hanno giusto mese scorso nuovamente ricordato che grazie al Jobs Act, a cui è attribuita ormai qualsiasi cosa, rispetto ai primi due mesi del 2014, sono state generate 79 mila nuove assunzioni a tempo indeterminato. Di nuovo, ci troviamo di fronte ad uno scarto impressionante tra la narrazione orwelliana dei media e la viva realtà. Il Partito Unico dell’Euro vi informa che grazie alle riforme (sacrifici) e alla tenacia del governo Renzi, i risultati stanno concretizzandosi, e come se non bastasse vi raccontano per il settimo anno consecutivo che la crescita sta per arrivare.

Ma basta andare verificare le notizie per scoprire l’Inps ha rilevato sì un aumento di nuove assunzioni “a tempo indeterminato” (+20,7%) e le conversioni di contratto di apprendista (+7,4%), ma contestualmente sono diminuite sia le trasformazioni di rapporti a termine (-11,2%), sia le assunzioni a termine (-7%), sia i nuovi contratti di apprendistato (-11,3%).

Risultato: la variazione statistica nel complesso è stata nulla, a dispetto degli sgravi contributivi contenuti nella legge di Stabilità. Ed infine ‘Inps ci informa che rispetto al 2014, i rapporti di lavoro attivati sono stati “ben 13”. Beh che dire: il Governo ha proprio fatto 13 e di questo passo raggiungeremo sì la Piena Occupazione, ma solo nel 2589! Del resto cosa vi aspettavate dalle direttive dei principali club di estrema destra finanziaria, che abbiamo la fortuna e l’onore di “ospitare” in Italia da 30 anni?

Stiamo parlando di E.R.T. (European roundtable of industrialists) e B.E. (Business Europe) che sono a tutti gli effetti il nostro governo ombra come direbbe Edward Bernays. Infine, mi preme sottolineare che le nuove tipologie di contratti “a tempo indeterminato” nascondono tutta una serie di novità non proprio sollevanti per i neo-assunti ed a tal proposito rimando qui ai dovuti approfondimenti. Come scrisse un mio caro compaesano Luigi Pandolfi nel suo blog sull’Huffington Post: “Da domani in Italia sarà facilissimo licenziare, aumenterà il potere di ricatto dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori, i giovani avranno meno tutele dei colleghi più anziani e aumenterà il precariato. Ma il governo dice che sta lavorando per le nuove generazioni e per un paese più equo. Siamo nel 2014, ma sembra il 1984 (quello di George Orwell, ovviamente)”. Come potete notare anche lui ha a cuore il buon Orwell.

Con il nuovo anno è arrivato quello che da tempo aspettavamo, cioè l’ormai famigerato Contratto a Tempo Indeterminato a Tutele Crescenti dal quale ci si aspetta un vero e proprio miracolo. Dopo tante anticipazioni vediamo di cosa si tratta in concreto

La ricerca scientifica documenta con pochi dubbi come questo genere di riforme ha come unico effetto quello di aumentare l’avvicendamento al lavoro tra disoccupati (che diventano nuovi occupati) e occupati (che diventano nuovi disoccupati). Così la crisi occupazionale diventa totalizzante

La sostanza della proposta del governo Renzi per rimediare alla elevata disoccupazione e alla mancanza di lavoro è quella di introdurre strumenti legali che facilitino il licenziamento dei lavoratori. L’idea sembra essere questa: “Se è più facile licenziare sarà più facile assumere“.
Vediamo cosa dicono le numerose pubblicazioni anche nel solo nell’ambito dell’economia ortodossa (quella che viene insegnata in gran parte delle università e utilizzata come guida dalle istituzioni internazionali come il Fondo Monetario per intenderci) per fare chiarezza sulla questione.
Partirei, quindi, da un testo di Tito Boeri (sì, quel Tito Boeri) e Jan Van Ours del 2008, il titolo è “The economics of imperfect labour market” (link: http://ceko.yalova.edu.tr/docs/mukayese/kitabintamami.pdf) in cui i due insospettabili scrivono che “pochi studi trovano effetti significativi fra i regimi di protezione dell’impiego (misurata in genere utilizzando l’indice OCSE fra diversi paesi) e gli stock di occupazione e disoccupazione” (p. 212). Nella tabella della stessa pagina (Tab. 10.3) potete vedere che su 13 studi analizzati sul tema fra il 1998 e il 2005, solamente UNO segnala che una diminuzione delle tutele sul lavoro fa diminuire la disoccupazione, addirittura tre segnalano il contrario, mentre gli altri danno un risultato indeterminato.
Un altro studio significativo a riguardo è quello di Olivier Blanchard (capo economista del Fondo Monetario Internazionale e autore di uno dei volumi di macroeconomia più usato nelle università) del 2005, “European Unemployment: The evolution of Facts an Ideas”. Recita il testo: “le differenze nei regimi di protezione dell’impiego sembrano comunque largamente incorrelate rispetto alle differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari Paesi” (p. 20) .
Qui il link: http://www.nber.org/papers/w11750.pdf.
Tanto per dire che non serve scomodare chissà quali economisti “alternativi”. La stessa “ortodossia” economica non trova riscontro empirico in quello che dice la propria teoria. Della serie: “Dico di non essere cornuto, salvo poi scoprire che mia moglie si intrattiene con l’intero condominio”. Si capisce forse perché certi economisti preferiscono ignorare bellamente ciò che vedono nella propria ricerca sul campo.
Chiudo con il grafico allegato (dati OCSE), che mette in relazione la media dell’indice di protezione dell’impiego e il tasso di disoccupazione dal 1985 al 2013 per verificarne il grado di correlazione. Ebbene risulta dai dati OCSE che su un campione che comprende i 27 paesi OCSE il grado di correlazione è dello 0,7 per cento (R² = 0,007).
Indice di protezione del lavoro e disoccupazione, fonte Ocse
Calcolandolo fra il 1985 e il 2010 (qualcuno potrebbe azzardare l’ipotesi che i dati siano influenzati dall’esplosione dei tassi di disoccupazione degli ultimi anni) la correlazione in effetti sale all’1 per cento.
Insomma se ci pensate bene nulla di sorprendente nel fatto che il mondo vada così.
È un po’ come dire: “Manca cibo e siete affamati? La soluzione è fare in modo che sia più facile togliere cibo a quelli che già ce l’hanno“.
Se come vediamo oggi manca cibo e ci sono affamati in giro la soluzione al problema può realisticamente essere di fare in modo che sia più facile togliere cibo a quelli che già ce l’hanno?
Questo è quello che propone, infatti, il governo Renzi sulla falsariga del pensiero economico che oggi ci schiavizza attraverso assunti palesemente privi di senso.
Al contrario la MMT (Teoria della Moneta Moderna) suggerisce una soluzione più logica: “Se manca del cibo e ci sono persone affamate, allora creiamo altro cibo, finché tutti non saranno adeguatamente nutriti“.
Come? Attraverso uno Stato che aiuti le persone (che siano imprese o singoli) a vivere in un contesto in cui possano lavorare serenamente, mantenere nel tempo ciò che faticosamente hanno creato con le proprie mani, aiutare le aziende a creare ulteriore lavoro per gli altri ed eventualmente intervenire direttamente a livello governativo per aiutare quelli rimasti ancora senza cibo.
Adesso sapete che (anche) questo governo affamerà voi e i vostri figli e che esiste una soluzione efficace, autorevole e scientifica che potrebbe sfamare tutti noi domani mattina e nutrirci in futuro.
A voi la scelta.
 

Il Ministro dell’Economia messo alle strette dal collega tedesco Schäuble ammette: “Sul mercato del lavoro sarà introdotto un cambiamento significativo che aumenterà la flessibilità in entrata e anche nel licenziamento dei lavoratori”.