Innanzitutto, desidero ringraziare a nome di tutta l’associazione Memmt Italia la redazione di Keynesblog, per aver pubblicato lunedì 20 Luglio, l’articolo riguardante la proposta dei Certificati di credito fiscale (CCF), formulata da Marco Cattaneo e da Giovanni Zibordi. Una proposta questa, simile, ma differente a quella dei Mosler bonds sviluppata a sua volta da Warren Mosler e da Philip Pilkington. L’ articolo pubblicato contiene parimenti un successivo commento di carattere prettamente critico, rivolto da parte di Guido Iodice e di Thomas Fazi alla proposta dei CCF.
Desidero inoltre premettere, che personalmente ritengo che il presupposto di base per il progresso civile della società, sia costituito dallo stimolante confronto dialettico avente ad oggetto diversi e/o a volta, simili punti di vista, i quali rappresentano in tal caso al più, marginali divergenze rispetto a più ampie visioni e approcci largamente condivisi.
In questo articolo, cercherò semplicemente di scomporre in più parti, una porzione dell’articolo scritto da Guido Iodice e da Thomas Fazi, in cui appare una critica ad un assunto base della teoria neo-cartalista (o memmt), circa precisamente il ruolo e gli orientamenti rispettivamente assunti e generati all’interno di un’economia monetaria di produzione, da parte dello strumento della tassazione. Rispondendo man mano a ciascuna parte di tale critica, proverò ad enunciare il punto di vista e la spiegazione analitica fornita in merito, dalla Mosler economics.
La parte del testo presa in esame esordisce come segue:
“In sostanza, i promotori sopravvalutano una affermazione della Modern Money Theory, secondo la quale la moneta legale ha valore perché con essa si pagano le tasse.”
A tal proposito, è doveroso specificare, che la Mosler economics spiega che le tasse guidano la moneta, riprendendo in tal senso, il principio fondamentale della teoria cartalista di G.F. Knapp. Con tale assunto, la Memmt intende affermare che, tramite l’imposizione ai propri cittadini di un’obbligazione fiscale pagabile esclusivamente nell’unità di conto emessa dallo Stato sovrano, quest’ultimo riesce ad orientare il comportamento dei suoi cittadini, i quali in virtù di tale imposizione saranno indotti ad accettare l’utilizzo della valuta di Stato con cui poter pagare le tasse e quindi, una parte di loro, sarà disposta ad offrire al governo o la propria forza lavoro o dei beni e servizi in cambio della moneta di Stato, con cui successivamente poter pagare le tasse e redimere questa passività.
Dunque, parimenti si inducono i cittadini di quel territorio, a destinare parte delle proprie risorse reali, ossia forza lavoro e/o beni e servizi di vario genere, al potere pubblico, il quale a sua volta sarà in grado di mobilitare tali risorse reali con il semplice obiettivo istituzionale di svolgere quelle attività ed attuare quelle politiche socio-economiche, che risiedono alla base del patto fondativo di una società democratica e civile, nonché alla base dei principi cardini sanciti dalla nostra Costituzione.
Penso ad esempio, alla garanzia perenne e all’erogazione universalmente e gratuitamente efficaci, di tutta una serie di servizi essenziali, quali ad esempio, l’istruzione, la sanità, la rete idrica, quella igienico-sanitaria, le rete ferroviaria, delle telecomunicazioni, il servizio postale ecc…. nonché la promozione dello sviluppo di tutta una serie di beni e servizi ritenuti strategici per il Paese, non tanto in termini competitivi, ma piuttosto in termini d’indipendenza economico-produttiva, la quale prelude poi a stabilire un’indipendenza e democrazia nazionali effettive.
Accettare dunque, l’utilizzo di una semplice unità di conto priva di valore intrinseco (ciò che in effetti è la moneta “fiat” o moneta moderna), per mezzo tra l’altro di un’imposizione, è qualcosa di completamente differente rispetto ad un giudizio di valore, rinvenibile nella fiducia e nel cosiddetto valore attribuiti in modo libero e spontaneo, da parte degli agenti economici nei confronti di una specifica moneta.
“Nella realtà la moneta legale, come qualsiasi moneta priva di valore intrinseco, è fiduciaria e quindi ha valore in base alla credibilità di chi la emette. Chi ha una banconota da 100 euro in tasca sa che c’è un impegno, da parte dell’emittente, a fare in modo che essa sia scambiabile tra un mese o un anno con un paniere di prodotti il cui valore reale sarà, nel peggiore dei casi, solo di poco inferiore a quello odierno (è questo il senso del target inflazionistico).”
Nel caso della valuta “fiat” (a tasso di cambio variabile quindi), l’unica promessa fatta dall’autorità statale emittente, è quella di convalidare al portatore della moneta di Stato, l’eventuale pagamento presso il dipartimento del Tesoro di un ammontare di tasse pari al valore nominale scritto su una banconota o riportato sul c/c bancario di un cittadino.
E’ molto importante, distinguere tra colui il quale emette la moneta, ossia lo Stato e coloro i quali non possono far altro che usare la moneta di Stato, ossia i cittadini.
Qualsiasi emettitore può fornire una quantità potenzialmente illimitata dei suoi IO-TI-DEVO e può concordare con i suoi cittadini di accettare indietro i suoi IO-TI-DEVO per il pagamento delle tasse. Il problema, riconosciuto dallo stesso Minsky, è indurre i cittadini ad accettare queste promesse future di pagamento, ossia questi IO-TI-DEVO emessi dallo Stato. Imponendo delle tasse o comunque altre tipologie di obbligazioni, quali ad esempio tariffe e ammende, il governo sovrano si assicura tale accettabilità da parte dei cittadini. E fintanto che il governo prometterà unicamente di accettare di riprendersi indietro i suoi IO-TI-DEVO per il pagamento delle relative obbligazioni, esso non potrà in alcun modo essere forzato a dichiarare default su tale promessa.
Tutti gli strumenti monetari sono strumenti finanziari e perciò, devono obbedire alle regole della finanza per avere un “valore”, ossia per poter essere accettati dalla popolazione. Infatti, un mezzo essenziale per conferire “valore” ad uno strumento finanziario è rappresentato dalla necessità per l’emettitore di tale strumento, di riprendersi indietro in futuro, quello stesso strumento finanziario che egli ha emesso.
A tal proposito, desidero riprendere una legge fondamentale della finanza formalizzata da Alfred Mitchell Innes, il quale sostiene che “la vera natura del credito in tutto il mondo, è il diritto riconosciuto al portatore di quel credito (al creditore), di restituire al soggetto emittente di quella passività (al debitore), le obbligazioni o il riconoscimento di debito del primo” (Innes 1914, 161).
Ciò che al contrario, determina fiducia in tale moneta, è la possibilità di godere dei più ampi benefici reali e/o monetari (beni reali acquistabili e/o profitti futuri realizzabili), all’interno dell’economia in cui quella moneta viene emessa (dal settore governativo) e viene utilizzata (dal settore privato non governativo). E quale miglior modo di consolidare la fiducia in tale moneta, se non attraverso l’adozione di tutta una serie di politiche macroeconomiche volte a garantire la piena occupazione e la stabilità dei prezzi!? Ossia la costruzione di un ambiente socio-economico florido e stabile su cui fare affidamento. Quindi, è in ultima istanza, la presenza di piena condizione lavorativa a generare fiducia in una determinata unità di conto e non l’imposizione di passività fiscali sui cittadini di uno Stato.
Sottolineo dunque, che fiducia e valore verso una moneta non sono strettamente collegate verso il significato e l’utilità operativa che caratterizza invece, lo strumento della tassazione in sé.
“Se fosse così semplice, allora nessun paese soffrirebbe mai di crisi monetarie e di iperinflazione, né vedremmo economie che ruotano di fatto intorno a valute estere (basti pensare all’Islanda prima della crisi del 2008).”
Sì è vero, anche le crisi valutarie fanno perdere la cosiddetta fiducia in quella valuta; o meglio, è proprio la perdita di fiducia da parte dei mercati finanziari nella capacità di uno Stato di mantenere alcune promesse politiche, come quelle rinvenibili ad esempio, in un regime di tassi di cambio fissi o semi-fissi o come era il caso del gold standard, a determinare la crisi valutaria e quindi, un eventuale default dello Stato in questione. E’ anche vero che, finché quel governo non sarà costretto a dichiarare default, i cittadini di quel Paese continueranno ad utilizzare la moneta di Stato, a meno che non si tratti di un Paese addirittura dollarizzato, ma quella è un’altra storia.
E’ altresì vero, che le crisi valutarie non possono colpire e riguardare degli Stati che emettono monete “fiat” a tasso di cambio variabile e che sfruttano a pieno, la discrezionalità e l’indipendenza in termini di spazio di libertà politica, che la moneta “fiat” conferisce al Parlamento e al Governo di un determinato Stato sovrano. E sfruttare a pieno tale “potenza di fuoco”, significa implementare delle tipologie di politiche socio-economiche volte a generare una condizione di piena occupazione e di stabilità dei prezzi e quindi, una conseguente fiducia verso le potenzialità e le opportunità offerte da quella unità di conto.
Di nuovo, la memmt spiega che se, contrariamente a quanto avviene con una moneta “fiat”, un determinato governo promette di convertire i suoi IO-TI-DEVO in metalli scarsi o in valute straniere, ad un prezzo relativo fisso, allora esso potrà in tal caso, essere obbligato a dichiarare default su questa sua promessa, in quanto l’onere delle eventuali perdite subite dai mercati finanziari verranno scaricate sull’agente monetario del governo, ossia sulla banca centrale, la quale sarà costretta a difendere costantemente il tasso di cambio per poter mantenere credibilmente tale promessa politica.
Allo stesso modo, il fenomeno dell’iperinflazione non è qualcosa che può verificarsi dall’oggi al domani, a meno che non si generino quelle contingenze che hanno accomunato i diversi casi storici di iper-inflazione, quali ad esempio una (prima) guerra mondiale o comunque una guerra civile, una capacità produttiva quindi distrutta ed inesistente, un debito di Stato denominato in valuta estera o in oro e così via. Infine, il caso dell’Islanda è particolare, in quanto nessun cittadino o entità stranieri hanno imposto allo Stato Islandese di attribuire al proprio sistema bancario nazionale la facoltà di stipulare contratti in valuta estera. Qui si tratta di una mera scelta politica che alla fine, e penso di concordare pienamente con i due autori su questo, si è rivelata completamente sbagliata, disastrosa e frutto d’incompetenza tecnica. Proprio a tal proposito, Warren Mosler si è espresso più volte contro la possibilità per il sistema bancario nazionale, di emettere o comunque di stipulare contratti in valuta estera, ossia in una moneta non emessa dallo Stato in questione.
“O che, se non bassa, l’inflazione sia almeno stabile e perciò prevedibile. Viceversa i cittadini di paesi che sperimentano tassi di inflazione elevati e crescenti per lungo tempo, alla fine, perdono fiducia nella moneta legale esattamente come la perderebbero in un assegno firmato da un noto protestato, e si rivolgono alle monete emesse da soggetti più affidabili (tipicamente gli Stati Uniti).”
Sì, giusto. E’ bene che l’inflazione, ossia il tasso di crescita del livello generale dei prezzi, sia stabile e comunque prevedibile. E proprio a tal proposito, la Memmt propone l’adozione di Programmi di Lavoro Garantito (PLG), con il governo che agirebbe come Datore di Lavoro di ultima istanza (o di prima istanza, a seconda dell’orientamento politico perseguito). La logica e l’innovazione di base di tale proposta (formulata da Hyman Minsky e riadattata in chiave moderna dalla Memmt), sarebbe quella di conferire al governo di uno Stato che detiene il MONOPOLIO PUBBLICO DI EMISSIONE DELLA PROPRIA MONETA “FIAT”, il ruolo di “market maker”, ossia di amministratore/gestore specialista del mercato del lavoro, volto a soddisfare in maniera infinitamente elastica, tutta la domanda e l’offerta di lavoro residuali. Si renderebbe così il mondo del lavoro, un mercato capitalistico completamente sviluppato con un “market-maker”, ossia il governo, che agirebbe in qualità di acquirente e/o offerente residuale di forza lavoro, assumendo tutti coloro i quali sono disoccupati, sono in grado e hanno voglia di lavorare. Il governo fisserebbe un salario minimo di base e stabilizzerebbe quindi, sia il livello dei salari e sia il livello generale dei prezzi. Di conseguenza, esso non fisserebbe i prezzi e i salari in modo da lasciarli invariati, ma ne ridurrebbe la rispettiva volatilità. Infatti, in questo caso stabilità è sinonimo di bassa variabilità.
“Sia chiaro, non si sta dicendo qui che l’Italia farebbe la fine dello Zimbabwe, ma semplicemente che un dubbio sul valore futuro dei CCF li renderebbe pressoché inservibili come stimolo alla domanda.”
Ovviamente anche noi crediamo che un Paese come l’Italia non farebbe in alcun modo la fine dello Zimbabwe e se mi è consentito aggiungere una mia opinione, il nostro Paese all’interno di questa gabbia delle torture che prende il nome di Eurozona, ha attualmente in mano un biglietto di sola andata per lo Zimbabwe (con tutto il profondo rispetto per tale Paese e per gli abitanti di tale Nazione), con destinazione prevista tra non più di 20’anni circa.
Concludo affermando che, la proposta dei CCF, se saputa gestire dal punto di vista tecnico, consentirebbe temporaneamente e quindi, nel breve termine, allo Stato italiano di agire in maniera anti-ciclica, al fine di generare quella spinta reflattiva di cui l’economia domestica ha urgentemente bisogno e per rendere anche più fluida, un’eventuale transizione dall’euro alla nuova moneta sovrana.
Articoli
Pubblichiamo le precisazioni di Warren Mosler della Mosler Economics Modern Money Theory in merito all’articolo “Caro Mosler, non si può fare“. Di seguito l’articolo integrale con le aggiunte scritte da Mosler e tradotte da Daniele Della Bona, in neretto rosso e anticipato dalla sigla WM.
Si ricorda il precedente intervento di Mosler nell’articolo “Bravo Di Maio: se torniamo alla lira possiamo tenere i risparmi in euro”
Warren Mosler ha risposto al nostro articolo sulla proposta avanzata da Luigi Di Maio (M5S) di uscire dall’euro lasciando i risparmi degli italiani denominati in euro.
Mosler spiega che:
[la] mia proposta era quella di non ridenominare niente nel bilancio della banca, lasciando prestiti e depositi come sono attualmente, ossia principalmente in euro ma anche alcuni in dollari. In questo modo la banca resta ‘in equilibrio’ rispetto a rischi di tipo valutario.
La nostra obiezione su tale proposta era la seguente:
Così facendo il problema si sposta sui mutuatari: essi infatti percepiranno i loro redditi (stipendi, salari, redditi da lavoro autonomo) in lire, mentre dovranno pagare il mutuo in euro. Una situazione del genere, ma di dimensioni modeste, si produsse nel 1992 quando la lira uscì dallo SME e mise in difficoltà chi aveva mutui in ECU. In questo caso però riguarderebbe la generalità dei mutuatari e non solo una minoranza, con effetti potenzialmente molto gravi sui bilanci di milioni di famiglie.
A tale proposito Mosler risponde:
Sono d’accordo. Quelli che hanno un mutuo dovrebbero essere incoraggiati a convertire i loro debiti in euro con debiti in lire (al tasso di cambio corrente). Il governo lavorerà con le sue banche nazionali per garantire che ciò avvenga in modo ordinato.
Ma ovviamente chi ha debiti in euro ha già tutto l’interesse a convertirli in lire, visto che ipotizziamo che percepisca redditi in lire. Non ha bisogno di alcun incentivo per farlo. Il problema si pone per la banca, la quale non avrebbe alcun obbligo ad accettare tale conversione e anzi avrebbe tutta la convenienza a non farlo, perché stiamo contemporaneamente ipotizzando che le sue passività – i depositi – rimangano in euro. Pertanto nessuna banca, se non obbligata per legge, accetterebbe tale conversione, perché non potrebbe più garantire l’equilibrio che richiama lo stesso Mosler.
WM: Per favore non è ciò che ho detto: “al tasso di cambio corrente” sopra.
Ciò significa che la banca agisce solo come agente, facendo incontrare coloro che hanno un mutuo con coloro che sul mercato vogliono andare nell’altra direzione, come viene evidenziato “sul mercato” dove c’è un prezzo più alto a cui qualcuno è disposto ad acquistare (“bid ”) e uno più basso a cui qualcuno è disposto a vendere (“offer”). E, allo stesso tempo, come descritto in precedenza, ci sarà un “eccesso di compratori” di lire se i depositi non verranno “convertiti” per decreto. Ciò significa che la Banca d’Italia potrà tenere la lira stabile offrendosi di acquistare euro e vendere lire al prezzo di mercato corrente, aiutando così coloro che desiderano convertire il loro debito da euro a lire allo stesso prezzo di mercato corrente. La banca stessa, per evitare rischi, ha dei manager addetti alla gestione delle passività che lavorano per assicurare che le passività siano denominate nella stessa valuta delle attività, ciò include per esempio swaps valutari necessari ad eliminare esposizioni di tipo valutario.
Please not that I stated: (at current exchange rates) above. This means the bank acts only as agent, matching the mortgage holder with market participants already wishing to go the other way, as evidenced by ‘the market’ which is a ‘bid’ as well as an ‘offer’. And at the same time, as previously described, there will be ‘excess buyers’ of lira if no deposits are ‘converted’ by decree. This means the Bank of Italy can keep the lira stable by offering to buy euro and sell lira at current prices, thereby facilitating those desiring to convert their euro debt to lira debt at the same current market price. The bank itself, to remain risk neutral, has liability managers who work to insure their liabilities are in the same currency as their assets, which includes cross currency swaps, for example, as needed to eliminate currency exposure.
Da questa contraddizione non si esce.
Ma ciò che ci ha lasciati stupiti maggiormente della risposta di Mosler è altro.
Scrive Mosler:
Bpt e Cct non sono niente più che depositi in euro all’interno dell’Eurosistema. Io propongo di non convertire nemmeno quelli.
Ma i titoli di stato sono la stragrande maggioranza del debito pubblico. Questo significa che il debito pubblico italiano rimarrebbe denominato in euro. Il debito pubblico italiano è uno dei più grandi al mondo sia che lo si consideri in percentuale sul PIL (siamo oltre il 130%) sia che lo si consideri in termini assoluti (2168 miliardi di euro). Il governo si troverebbe quindi improvvisamente un enorme debito in valuta estera, non nella valuta che emette, debito che non potrebbe ripagare in alcun modo contando sulle proprie forze o su quelle del paese, perché può solo stampare lire e ottenere dalle tasse lire (a meno che non si voglia requisire i depositi ancora denominati in euro, con una patrimoniale che non avrebbe precedenti storici e manderebbe immediatamente al tappeto l’intera economia nazionale). In sostanza ci troveremmo in una situazione simile a quella dell’Argentina dopo la fine della parità col dollaro, che infatti dovette dichiarare default e ancora oggi è inseguita dai fondi avvoltoio. Con una differenza però: l’Argentina alla vigilia dello sganciamento aveva appena il 44% di debito/PIL, mentre noi già partiamo con più del 130%.
WM: Sì, ciò è vero. Ed è già la condizione attuale! Ulteriori considerazioni comprendono: 1) L’Italia può “convertire” prontamente il suo debito in ogni momento con facilità nel momento in cui la lira sarà introdotta, con le stesse considerazioni legali e finanziarie. 2) Il “debito”/credito d’imposta in circolazione in lire sarà inizialmente pari a zero, e la volontà di avere “risparmi”/attività finanziarie denominate in lire sarà immediatamente alta. 3) La tendenza all’apprezzamento della valuta, dovuta a coloro che avendo depositi in euro venderanno euro per avere depositi in lire, permetterà all’Italia di acquistare euro e vendere lire al “prezzo di mercato corrente”; ciò genererà stabilità e consentirà di creare riserve in euro per l’Italia, che potranno essere utilizzate per ripagare le obbligazioni in euro dell’Italia.
Yes, that is true. And it is already the case! Further considerations include: 1. Italy can just as readily ‘convert’ its debt at any time just as easily as when the lira is introduced, with the same legal and financial considerations. 2. The initial lira ‘debt’/outstanding tax credits will be 0, and the desire for lira ‘savings’/financial assets will immediately be high 3. With the currency tending to appreciate due to some of those holding euro deposits sell them for euro deposits Italy can buy euro and sell lira at ‘current market’ prices which both provides stability and builds euro reserves for Italy that can then be used to pay down Italy’s euro obligations.
Peraltro in una situazione del genere verrebbe a mancare l’ipotesi base della MMT stessa, almeno per come è sempre stata spiegata, ovvero che lo stato emetta, spenda e si indebiti (con la banca centrale, cioè con se stesso) nella sua valuta. Se invece è indebitato pressoché totalmente in valuta estera, il governo diventa simile ad una famiglia indebitata e non gode più di una piena sovranità monetaria. E, lo ripetiamo, con un’aggravante rispetto ad oggi: ora il governo tassa in euro, quindi ottiene euro con cui rimborsare il debito, mentre dopo l’uscita dall’euro il governo stamperebbe lire e otterrebbe tasse in lire.
WM: Sì, ma nuovamente questa è la condizione che già oggi vive l’Italia. E dopo il primo anno, probabilmente, seguendo la precedente “politica di transizione”, il debito in euro sarà presumibilmente enormemente ridotto. E, in ogni caso, l’Italia può continuamente valutare la situazione a livello macro e fare degli aggiustamenti che siano adatti allo scopo pubblico, a cominciare dal sostenere la piena occupazione, una produzione ottimale e ottimizzare i termini reali di scambio.
yes, but again, that’s already the case for Italy. And after the first year, perhaps, following the above ‘transition policy’ the euro debt is likely to be greatly reduced, and in any case Italy can continuously evaluate the macro situation and make adjustments that suite public purpose, beginning with sustaining full employment, optimal output, and optimizing real terms of trade.
E no, non si potrebbe pensare di stampare lire per comprare euro perché questo svaluterebbe drammaticamente la lira (ad ogni scadenza dovremmo stampare miliardi di lire per comprare euro ai prezzi di mercato).
WM: Come descritto in precedenza, l’Italia acquisterebbe euro dai depositanti che vorranno venderli, vendendo lire a coloro che vorranno acquistarle; ciò “si adatterebbe” alla domanda come evidenziato dal fatto che l’Italia lascerebbe che la propria offerta di lire sia fissata in base alle richieste del mercato, piuttosto che vendere sul mercato, un po’ come Cina e Giappone hanno fatto quando per esempio hanno affrontato pressioni al rialzo sulla propria valuta.
***As previously described, Italy would be buying euro from depositors wishing to sell, and selling lira to depositors wishing to buy, which ‘accommodates’ demand as evidenced by Italy getting it’s offers of lira taken by the market, rather than ‘hitting bids’ in the market, much like China and Japan, for example, have done when faced with upward currency pressures.
Noi non citiamo mai l’iperinflazione dello Zimbabwe e della Repubblica di Weimar, ma questo è davvero il caso. Difatti una situazione del genere si presentò in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, quando il governo della Repubblica di Weimar, costretto a pagare i debiti di guerra, pensò bene di stampare marchi e comprare oro e valuta estera con cui pagare le riparazioni. Sappiamo cosa ciò comportò:
A partire nel mese di agosto 1921, la Germania cominciò ad acquistare valuta estera con i marchi a qualsiasi prezzo,
WM: Sì, questa è la differenza. Non avverrebbe a “qualsiasi prezzo” ma solamente al prezzo desiderato dall’Italia, che, per i primi mesi o più, sarebbe probabilmente – ma non necessariamente – approssimativamente 1:1 rispetto all’euro.
Yes, that’s the difference. This would not be ‘at any price’ but only at the price desired by Italy, which, for the first few months or more, would likely -but not necessarily- be approximately 1:1 with the euro.
ma ciò aumentò la velocità con cui il marco si svalutava. Più in basso il marco affondata sui cambi, più marchi erano necessari ad acquistare la valuta estera richiesta dalla Commissione delle riparazioni.
Durante la prima metà del 1922, il Marco si stabilizzò a circa 320 marchi per dollaro. Nel mentre, si svolgevano le conferenze internazionali sulle riparazioni, tra cui una nel giugno del 1922 organizzata dal banchiere statunitense JP Morgan, Jr. Quando questi incontri non produssero una soluzione praticabile, l’inflazione divenne iperinflazione e il Marco scese a 800 marchi per dollaro nel dicembre 1922. L’indice del costo della vita era 41 nel giugno del 1922 e 685 nel mese di dicembre, un aumento di 15 volte.
Nel gennaio 1923 le truppe francesi e belghe occuparono la Ruhr, la regione industriale della Germania nella valle dell’omonimo fiume, per garantire che le riparazioni fossero pagate in beni, come il carbone della Ruhr e di altre zone industriali della Germania. Poiché il Marco era praticamente inutile, era diventato impossibile per la Germania acquistare valuta estera o oro con marchi di carta. Invece, le riparazioni venivano pagate in beni. L’inflazione si aggravò quando i lavoratori della Ruhr andarono in sciopero generale, e il governo tedesco stampò più denaro per continuare a pagarli per “resistere passivamente.”
Nel novembre 1923, il dollaro americano valeva 4.210.500.000.000 marchi tedeschi.
WM: Sì, meglio non perdere una guerra e affrontare riparazioni per quella guerra…
yes, best not to lose a war and face war reparations…
La situazione eccezionale prodotta da quello scellerato comportamento è sottolineata anche da Randall Wray.
Scrive ancora Mosler:
Le banche rimarranno aperte fintanto che il governo fornirà liquidità (in lire), come farebbe nella mia proposta, e solo i depositi in lire saranno assicurati dal governo, cosa che darà anche un incentivo per convertire euro con lire.
Ma se solo i depositi in lire verranno assicurati, allora la cosa più razionale da fare per tutelare i propri risparmi in euro non sarebbe quella di convertirli in lire ma di spostarli su una banca di un paese euro, ad esempio la Germania, operazione che al giorno d’oggi può permettersi chiunque in breve tempo e a costi minimi.
WM: Sì, può avvenire, ma non è necessariamente un problema.
Yes, that can happen, but it’s not necessarily a problem.
Tale spostamento, che sarebbe senz’altro di grandi proporzioni, costituirebbe una fuga di capitali che deprezzerebbe la lira massicciamente,
WM: Perché causerebbe una svalutazione della lira? Non avviene alcuna vendita di lire quando si spostano depositi bancari da una banca a un’altra.
Why would that cause lira depreciation? There is no selling of lira involved in moving bank deposits from one bank to another?
mettendo ancora di più in difficoltà quanti percepiscono un reddito in lire, ma devono pagare il mutuo in euro.
In conclusione, l’ipotesi di mantenere mutui e depositi in euro dopo essere usciti dalla moneta unica è impraticabile.
WM: E concludo dicendo che la conversione è molto meno pratica, come la storia ha dimostrato ripetutamente.
And I conclude that converting is far more impractical, as history has shown repeatedly.
;)