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Giuliano Amato, due volte Presidente del Consiglio, più volte ministro, tra gli estensori del Trattato di Lisbona, risponde ad una domanda posta da Claudio Pisapia del Gruppo Cittadini Economia di Ferrara, registrato da Radio Radicale.

Secondo Giuliano Amato uno Stato che controlla la propria Banca Centrale rischia anch’esso di fallire, “come l’Argentina”. Probabilmente Amato confonde qualcosa nella vicenda argentina, il cui fallimento del 2001 fu dovuto proprio ai vincoli esterni posti sulla moneta nazionale dalla parità forzata con il dollaro.
Giuliano Amato

LA FEDELTA’ NON E’ OBBEDIENZA

ovvero

Il DIRITTO DI RESISTENZA NELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Articolo 54 Costituzione Italiana

Prendendo spunto da uno scritto di Giorgio Giannini (Centro Studi Difesa Civile) e dalla lettura delle discussioni in Costituente, nel 70° anniversario della Liberazione, vorremo riportare l’attenzione sul diritto alla Resistenza. In fase costituente erano stati proposti e sostenuti favorevolmente da diversi insigni Padri Costituenti dei commi all’art. 54 che la legittimassero.

La norma è proposta dall’On. democristiano Giuseppe Dossetti e dall’On. demo-laburista Cevolotto, che si erano ispirati ad altre Carte Costituzionali, in particolare all’art.21 della Costituzione francese del 1946, che stabilisce: “Qualora il governo violi la libertà ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti ed il più imperioso dei doveri”.

La proposta era:

proposta costituzione diritto resistenza

Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione è discusso nel plenum dell’Assemblea Costituente, alcuni Deputati, appartenenti soprattutto al Partito Liberale e al Partito Repubblicano, pur non dichiarandosi, in linea di principio, contrari al riconoscimento costituzionale del diritto di resistenza, sollevano dei dubbi sull’opportunità del suo inserimento nella Costituzione.

Erano stati proposti anche altri emendamenti, che cito perché ognuno aveva delle sfumature degne di nota:

On. Pietro Mastino: «Ogni cittadino ha l’obbligo di difendere contro ogni violazione le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».

On. Mortati: «È diritto e dovere dei cittadini, singoli o associati, la resistenza che si renda necessaria a reprimere la violazione dei diritti individuali e delle libertà democratiche da parte delle pubbliche autorità».

On. Benvenuti: «Non è punibile la resistenza opposta dal cittadino ad atti compiuti dai pubblici poteri in forza di atti legislativi incostituzionali».

On. Caroleo: «Non è punibile la resistenza ai poteri pubblici, nei casi di violazione delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione».

Nel dicembre 1947, quando si esamina l’art.50 del Progetto di Costituzione, anche i democristiani si oppongono all’inserimento del diritto di resistenza nel testo definitivo della Costituzione.

Così, quando si vota il testo dell’art.54, che ha sostituito l’art.50 del Progetto, il diritto di resistenza è soppresso, nonostante il voto favorevole dei comunisti, dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente sull’esito del voto influirono motivazioni di opportunità politica ed anche una certa confusione di interpretazione tra il concetto di Resistenza e quello di Rivoluzione. Invece tra i due termini c’è una profonda differenza: la rivoluzione tende al rovesciamento del regime politico; invece, la resistenza mira alla conservazione del regime politico e quindi è uno strumento di garanzia per la sua esistenza.

L’articolo 139  prevede che “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” pertanto vorrei capire come possa una Repubblica inserirsi in un contesto politico sovranazionale che di repubblicano non ha nulla e come i recenti Governi Italiani abbiano potuto spingere il  Parlamento – e questo abbia deliberato favorevolmente – a cessioni di sovranità massicce in tal senso.   

LA SOVRANITA’ POPOLARE FONTE DEL DIRITTO DI RESISTENZA

Secondo autorevoli costituzionalisti (tra cui Mortati e perfino Giuliano Amato), anche se non è espressamente stabilito dalla nostra Carta Costituzionale, il “diritto di resistenza all’oppressione” è implicitamente legittimato, essendo una delle garanzie di difesa della Costituzione, in caso di violazione dei principi fondamentali in essa stabiliti.

Infatti, il diritto di resistenza trova la sua legittimazione nel principio della “sovranità popolare” , sancito nell’art. 1 della nostra Costituzione, che quindi rappresenta la legittimazione all’intero Ordinamento giuridico

La nostra suprema carta è oggetto di modifiche la cui legittimità verrà prima o poi giudicata dalla magistratura o dalla storia (vedremo chi per primo). Sappiate che da tempo gira uno studio n°469/2008 effettuato dalla Commissione di Venezia (think-tank giuridico dell’Unione Europea) e commissionato dal Consiglio d’Europa su come modificare le Costituzioni senza fare troppo rumore…

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Tuttavia, la Commissione di Venezia ritiene che per modifiche costituzionali maggiori, una procedura politica deliberativa e democratica sia preferibile ad un approccio puramente giuridico.

LA FEDELTÀ NON È OBBEDIENZA

Fonti:

http://www.pacedifesa.org/documenti/Diritto%20di%20Resistenza.pdf

http://www.nascitacostituzione.it/02p1/04t4/054/index.htm?art054-011.htm&2

http://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL%282009%29168-e

Al riguardo l’On. Costantino Mortati nella sua dichiarazione di voto sul 2°comma dell’ art 50 del Progetto di Costituzione, afferma: “La resistenza trae titolo di legittimazione dal principio della sovranità popolare perché questa, basata com’è sull’adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati nella Costituzione, non può non abilitare quanti siano più sensibili a essi ad assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando ciò si palesi necessario per l’insufficienza e la carenza degli organi ad essa preposti”.

Riguardo alla resistenza collettiva, il Prof. Giuliano Amato, un costituzionalista molto acuto (chiamato il “dottor sottile”), commentando le due sentenze di condanna emesse dai tribunali penali di Palermo e di Catania in seguito ai gravi moti di piazza del luglio 1960 contro il Governo dell’On. Tambroni, sostenuto dal partito di destra Movimento Sociale Italiano (peraltro i moti popolari portarono alla caduta del Governo), nel 1961 scriveva che i poteri che sono esercitati dallo Stato-governo “ non
fanno capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari in via permanente, dal popolo”. Pertanto, “l’esercizio di quei poteri deve svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare una permanete conformità dell’azione governativa agli interessi in senso lato della collettività popolare: sì che, quando tale conformità non sia perseguita da quell’azione, è perfettamente conforme al sistema, cioè legittimo, il comportamento del popolo sovrano che ponga fine alla situazione costituzionalmente abnorme”. Sostiene inoltre che “la resistenza collettiva può indirizzarsi anche contro il Parlamento” qualora la sua azione sia illegittima. Pertanto, “potrebbe il popolo, nel mancato funzionamento dei meccanismi di garanzia predisposti all’interno dello Statogoverno, ripristinare con altri mezzi il rispetto del suo sovrano volere, che nella Costituzione trova la sua massima espressione”.

Inoltre, Giuliano Amato scrive nel 1962, in La sovranità popolare nell’ordinamento italiano, che in caso di non funzionamento degli organi di controllo e di garanzia, se cioè lo stesso Stato-apparato fosse “partecipe dell’azione eversiva”, compiendo “atti difformi dai valori e dalle finalità fatti propri dalla coscienza collettiva ed indicati nella Costituzione”, allora sarebbe legittimo il ricorso alla resistenza, individuale o collettiva. Afferma inoltre: “ove circostanze particolari lo impongano, come può disconoscersi al popolo, che della sovranità è titolare e che ne controlla l’esercizio… da parte dello Stato-governo, il potere di ricondurre alla legittimità, con mezzi anche non previsti, questo esercizio, ove irrimediabilmente se ne discosti”. 

Draghi, D’Alema, Ciampi, Prodi hanno venduto (o svenduto) il patrimonio pubblico negli anni ’90. Nessuna conseguenza positiva su salari, Pil, e altri indicatori economici. Anzi: i prezzi di tutti i servizi privatizzati sono aumentati: così i cittadini prima hanno visto vendere beni pubblici, e poi hanno pagato tariffe superiori