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Locandina-Ue-e-Piena-Dis-Occupazionejpgda Economia per i cittadiniSabato 28 novembre alle ore 17 presso la sala consiliare del quartiere Porto di Bologna in via dello Scalo n. 21 si svolgerà il convegno sul tema del lavoro e della disoccupazione organizzato dall’associazione Economia Per I Cittadini (Epic).

Relatori dell’evento saranno Giorgio Cremaschi del Forum Diritti del Lavoro, il professor Claudio Sardoni dell’Università La Sapienza di Roma e l’associazione Epic nella persona di Giacomo Bracci. L’associazione Me-Mmt Italia e gli attivisti emiliano-romagnoli della Me-Mmt hanno il piacere di divulgare l’evento e di invitare chi lo voglia a parteciparvi, considerata la comunanza di obiettivi e la reciproca collaborazione da tempo avviata.

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Punto focale della discussione sarà il tema del lavoro unitamente al problema della disoccupazione. Il convegno mira ad evidenziare il netto contrasto tra l’attuale situazione occupazionale dell’Unione Europea, caratterizzata, secondo rilevazioni Eurostat, da un tasso di disoccupazione superiore al 10%, e la proposta dell’associazione Epic e di tutto il movimento MMT italiano di attuare dei “programmi di lavoro garantito” (Job Guarantee) al fine di raggiungere la piena occupazione ed assicurare un nuovo sistema di welfare. Corroborata dagli studi condotti dalla scuola neo-cartalista, e più precisamente dagli esponenti della Modern Money Theory, tale proposta si fonda sull’assunto che, nel caso in cui il settore privato non sia in grado di creare sufficiente lavoro, debba essere il settore pubblico a sanare la situazione assumendo direttamente chiunque voglia e possa lavorare.

La chiusura dell’impianto di Portovesme da parte della multinazionale Alcoa, il numero di esuberi della Indesit e la vicenda Omsa non sono certo casi isolati nel panorama attuale; rappresentano l’immagine emblematica di una condizione diffusa, che attraversa aree geografiche disparate da sud a nord.

Riportando parte di un’affermazione di Cremaschi a proposito dell’Ilva, “quando la nocività produce morti su morti, fuori e dentro la fabbrica, e i bambini di dieci anni del quartiere Tamburi hanno nei polmoni l’equivalente di quaranta sigarette al giorno”, si assiste ad una drammatica contrapposizione tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro, due diritti parimenti meritevoli di tutela, l’affermazione di uno dei quali non dovrebbe escludere il godimento dell’altro.

L’Ilva, assieme agli altri casi già citati, impone anche una riflessione sul ruolo dei sindacati, sul meccanismo della concertazione e sul processo che li ha portati all’accettazione della riduzione dei diritti e dei salari dei loro rappresentati per ottenere, come contropartita, il riconoscimento e l’istituzionalizzazione dei sindacati stessi. A tal proposito, chi meglio di Cremaschi, il quale ha recentemente restituito la tessera della Cgil dopo 44 anni “perché non vedo nei gruppi dirigenti alcuna volontà di cogliere il disastro in cui è precipitato il mondo del lavoro e le responsabilità sindacali in esso”, può esprimere delle valutazioni sull’accaduto?

Altrettanto rilevante ai fini dell’analisi delle ragioni di tale presente è il contributo del professor Sardoni, le cui considerazioni non portano ad escludere che, tra i tanti fattori all’origine della scarsa dinamicità dell’Unione Monetaria Europea, l’attuale assetto dell’Unione e i vincoli posti dal Patto di stabilità e crescita abbiano un effetto depressivo. “In altre parole, con l’esperienza dell’euro è stato scisso il legame storicamente sempre esistente fra moneta e autorità statale, che esercita la propria sovranità tramite il fisco e la moneta”. Se la Bce ha come unica finalità quella di controllare l’inflazione esercitando la sua funzione di garante della stabilità dei prezzi, d’altro canto non vi è la possibilità di attuare una adeguata politica fiscale, che controbilanci gli effetti potenzialmente depressivi di una rigorosa politica antinflazionistica. In una fase di recessione, i vincoli del Patto di stabilità impongono ai governi l’intervento con misure restrittive (minori spese e/o maggiori entrate), quando invece sarebbero necessarie misure espansive di politica fiscale. Da queste misure restrittive risulterà un’ulteriore contrazione dei redditi, che determinerà a sua volta un peggioramento dei conti.

“C’è una lotta di classe in corso, e i lavoratori non stanno vincendo“. (Bill Mitchell, economista) “C’è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo“. (W.Buffett, magnate finanziario)

Due prospettive differenti, una constatazione univoca.

Altri governi, come quello tedesco, hanno deciso di non rispettare quelle regole. E hanno fatto bene.
Faremmo bene anche noi a non rispettare le stesse regole a cui anche la Germania ci invita a sottostare.

Il 27 maggio a Perugia Me-Mmt ed Epic, il 30 maggio a Pesaro Giulio Betti del Comitato Operativo Me-Mmt illustrerà la struttura istituzionale dell’Unione Europea e come queste abbiano una essenza autoritaria e in contrasto con la nostra Costituzione

Qui il paper integrale di Marc Lavoie, università di Ottawa, Canada, dal titolo “Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo”.
La traduzione è degli amici di Epic. Di seguito un estratto.

Quali sono le argomentazioni o i tratti principali della Modern Money Theory presentata dagli autori neo-cartalisti?
Se ne possono individuare quattro principali.
Il primo, a cui si è già accennato sopra, è la questione dell’origine della moneta e l’affermazione che essa è una creatura dello Stato.
Il secondo tema importante è la tesi che lo Stato debba agire in qualità di datore di lavoro di ultima istanza (Employer of Last Resort o ELR), fornendo un’occupazione a chiunque lo desideri ma non riesca a reperirla sul mercato privato. A ciò si lega anche il tema di come si possa raggiungere un livello occupazionale molto elevato, o una condizione di piena occupazione, senza generare inflazione, poiché secondo i neo-cartalisti il settore pubblico può costituire una riserva di lavoratori occupabili al settore privato, quando questo decida di incrementare l’occupazione al suo interno.
Esiste quindi un’importante distinzione da fare tra le classiche politiche fiscali espansionistiche keynesiane e le politiche basate sul datore di lavoro di ultima istanza, che si concentrerebbero maggiormente in aree a scarsa attività economica.
Un terzo tema è quello della politica fiscale. I neo-cartalisti intendono riaffermare l’importanza della politica fiscale rispetto a quella monetaria, in contrasto con il ruolo a essa riservato dalla teoria macroeconomica dominante. In questo contesto hanno riesumato il ruolo della finanza funzionale in contrasto a quello della finanza solida, facendo ampi riferimenti all’opera di Abba Lerner (1943).
Fanno anche ampio uso del concetto di three-balance identity (i cosiddetti saldi settoriali, ndr) formulato soprattutto da Wynne Godley (1999A) e dalla New Cambridge School, nel tentativo di dimostrare che il settore privato nazionale può accumulare ricchezza finanziaria solamente se lo Stato accetta la crescita del debito pubblico (o, in un’economia aperta, se il paese ha un bilancio corrente in attivo) ed evidenziando così che il disavanzo pubblico non è necessariamente un male.
Un possibile quinto filone del neo-cartalismo, considerando i suoi legami con il pensiero di Hyman Minsky, è quello dell’instabilità finanziaria, delle sue cause e dei suoi rimedi.

Fonte: http://economiapericittadini.it/societa/attualita/562-la-grecia-vuole-salvare-l-europa-ma-puo-convincere-gli-europei

di Pavlina R. Tcherneva

Analisi: Atene vuole rinegoziare il salvataggio convincendo i poteri dell’UE che il contenimento delle politiche di austerità è nei loro interessi.

La maggior parte delle analisi sulla crisi del debito greco ignorano un fatto importante: mentre la Grecia potrebbe essere il cattivo “du jour”, ogni nazione della zona euro si trova irrimediabilmente a corto di contanti. Questo a causa di un difetto ben noto, ma non pienamente apprezzato, nel cuore dell’architettura finanziaria della zona euro, che ha convertito un numero di nazioni senza precedenti nella storia da emittenti della propria valuta ad utenti di una moneta comune.

La Grecia è semplicemente il primo paese a sperimentare le conseguenze estreme della perdita di sovranità monetaria. Senza una fonte indipendente di finanziamento, senza una moneta propria, senza una banca centrale per garantire le passività del governo, questa nazione ha dovuto forzatamente chiedere aiuto agli altri stati. E come condizione per garantire gli aiuti, la Grecia è fino ad ora stata costretta ad acconsentire a politiche di austerità radicali.

Per analogia, si considerino gli Stati Uniti con una moneta comune, ma senza un Tesoro che conduca la politica macroeconomica, la stabilizzazione o lo stimolo alla spesa. Immaginate anche che alla Federal Reserve venga vietato per legge di garantire il debito pubblico. E immaginate che uno stato, per esempio, l’Illinois (pensate la Germania) sia il principale esportatore netto, accumulando dollari (euro), mentre la maggior parte degli altri stati (come è il caso della zona euro) siano importatori netti, perdendo così dollari (o euro). Infine, immaginate che l’Illinois fornisca un prestito alla Georgia a corto di liquidità (come è accaduto alla Grecia), imponendo la privatizzazione dei beni pubblici e tagli drastici ai libri paga statali, alle pensioni e agli altri programmi essenziali. Questo, in sostanza, è la situazione nella zona euro di oggi.

Ma gli elettori greci il mese scorso hanno respinto la prosecuzione di un programma di austerità che ha portato la loro economia in recessione, un voto in un governo determinato a uscire condizioni dalle attuali in cui la Grecia si fa aiutare dalla Troika.

Lunedì sembrava che le trattative avessero raggiunto un vicolo cieco. I membri dell’Eurozona hanno rifiutato di fornire alla Grecia un prestito ponte, chiedendo il rispetto dei termini di austerità per il salvataggio negoziato sotto il governo precedente. Tuttavia, il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis è ancora ottimista che Atene possa rinegoziare le condizioni alle quali essa riceve aiuto da Bruxelles.

Qual’è la posta in gioco?

La Grecia può accettare l’ultimatum europeo o rifiutare l’accordo (come Varoufakis ha detto che avrebbe fatto, in linea con la promessa agli elettori del suo partito). Se ci sarà un compromesso, quasi sicuramente si presenterà sotto la forma di alcune concessioni da parte delle istituzioni europee. Dopo tutto, la Grecia ha già accettato il 70 per cento dei termini precedenti del contratto ed è così venuta incontro all’Europa per oltre la metà.

Ma i funzionari europei, finora, si sono rifiutati di muoversi. Essi stanno scommettendo che la Grecia cercherà di evitare un default a tutti i costi per schivare una possibile crisi bancaria, che potrebbe infliggere più difficoltà sulla popolazione e minare la fiducia nel nuovo governo.

Il default sui suoi debiti non è un’opzione attraente per la Grecia, anche se le conseguenze di una tale mossa potrebbero non essere così disastrose come alcuni si aspettano. La Grecia attualmente gestisce un avanzo primario, e potrebbe avere abbastanza denaro a disposizione per portare avanti le sue riforme di stimolo per un po’ di tempo. Ma ad un certo punto, il problema del finanziamento riemergerà. La Grecia spera che i miglioramenti dell’economia, compresa la rapida crescita in occupazione, redditi e profitti che potrebbero portare a maggiori entrate fiscali e a ridurre la spesa contro la povertà siano abbastanza rapidi da produrre una rapida crescita di breve termine, che migliorerebbe la capacità di Atene di prendere in prestito dai mercati privati per progetti di investimento pubblico di lungo termine. Il problema fondamentale, tuttavia, rimane la perdita della sovranità monetaria.

Un modo per la Grecia per abbandonare l’austerità rimanendo nella zona euro, potrebbe essere il rilascio di un nuovo strumento finanziario (una moneta parallela) da utilizzare a fianco dell’euro. Due simili proposte sarebbero le anticipazioni fiscali (“tax-anticipation notes” un debito emesso per finanziare una spesa che verrà poi ripagata dalla raccolta successiva di tasse) e le obbligazioni fiscali (“tax-backed bonds”), che potrebbero essere utilizzati per il pagamento di imposte nazionali, creando così la domanda per la nuova moneta e alleviando eventuali carenze di euro qualora si verificassero.

I timori di una crisi bancaria in Grecia in caso di inadempienza, però, potrebbero essere sovrastimati. Le banche greche sono tutte già regolate dalla Banca centrale europea (BCE). Continuando l’analogia con gli Stati Uniti, la Fed sarebbe davvero intenzionata a chiudere la Citibank qualora lo stato della Georgia diventasse insolvente e si rifiutasse di pagare i propri debiti?

Quello che è in gioco nei negoziati, tuttavia, non sono solo le prospettive della Grecia, ma la capacità di una nazione della zona euro di finanziare se stessa.

In linea con il sentimento popolare in patria, Varoufakis ha tolto dal tavolo l’opzione Grexit, probabilmente perdendo la sua merce di scambio principale. Ciò lo lascia con la speranza che i suoi omologhi europei rispondano con ragione, buona volontà e rispetto per la gestione del governo greco.

Sembra che egli stia prendendo tempo al fine di presentare un progetto che non solo punti a ripristinare l’economia greca, ma protegga anche gli altri paesi che potrebbero cadere nella stessa situazione. La sua prima sfida, allora, è quella di convincere i suoi interlocutori che ciò che è nel migliore interesse della Grecia è anche nell’interesse dell’Europa.

La Germania potrebbe essere determinata a tenere la zona euro insieme, ma a condizione che si imponga l’ortodossia economica conservatrice in tutta Europa sostenuta per la prima volta dal presidente Ronald Reagan e dal primo ministro Margaret Thatcher. Se, infatti, tutte le parti al tavolo cercano di rendere l’UE un’unione politica, Varoufakis sta sostenendo che ciò non può essere raggiunto sulla base della ricetta Troika, ma attraverso l’implementazione di principi più progressisti e volti alla crescita.

La Grecia ha bisogno di un piano Marshall per ripristinare la crescita economica, ma lo stesso vale per gran parte dell’Europa. Atene sta cercando di esporre un percorso alternativo per l’Europa, di fermare la privatizzazione dei beni pubblici, invertendo le devastanti riforme del mercato del lavoro e sperando di implementare una rete di sicurezza sociale per i disoccupati.

Il vice ministro del lavoro e senior Scholar del Levy Institute Rania Antonopoulos ha elaborato una proposta per un programma greco di piani di lavoro garantiti per affrontare la crisi dell’occupazione. La Commissione europea ha già un simile manifesto per combattere il problema sconcertante della disoccupazione giovanile in Europa, chiamato “garanzia di lavoro giovanile” (Youth Job Guarantee). Ma il programma resta impraticabile perché la sua attuazione dipende dagli stati nazionali a corto di liquidità, piuttosto che su una vera autorità fiscale a livello europeo, con l’accesso ai finanziamenti della BCE.

Per realizzare l’unione politica che tutte le parti dicono di voler costruire sarebbe necessario creare non solo un’ entità fiscale (un equivalente di euro del Tesoro degli Stati Uniti), ma anche istituire una politica macroeconomica coordinata volta alla crescita della zona euro nel suo complesso e, soprattutto, attuare una rete di sicurezza a livello europeo.

La Grecia porta al tavolo dei negoziati il desiderio di arginare la crisi umanitaria creata dall’austerità, evitando l’opzione di uscita dall’euro e della reintroduzione della dracma. Ma convincere i poteri forti della zona euro, e gli interessi che stanno dietro di loro, della necessità di una politica di fondamentale riorientamento verso istanze più progressiste resta un’impresa ardua. Tuttavia, Varoufakis potrebbe essere giustificato pensando come egli stia seguendo le orme di una figura mitologica greca – Sisifo.

18 febbraio 2015


traduzione di Giuliano Toshiro Yajima

fonte: http://america.aljazeera.com/articles/2015/2/18/greece-wants-to-save-europe-but-can-it-persuade-europeans.html#

Grecia

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