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Fonte:
https://mmtveneto.wordpress.com/2019/04/10/come-funziona-lunione-europea/
Cosa è fondamentale sapere in vista delle imminenti elezioni.
Di Elisabetta Uccello, postato il 10/04/2019. Revisione di Marco Cavedon.
In vista delle prossime elezioni per il Parlamento Europeo del 26 maggio 2019, è necessario fare ancora una volta chiarezza sui suoi reali poteri e funzioni e sul procedimento di riforma dei trattati europei .
Attenzione: questo scritto non vuole rappresentare un articolo a favore di una riforma dell’attuale assetto dell’Unione Europea, al fine di introdurre meccanismi maggiormente democratici; più volte ci siamo espressi circa le problematiche enormi da un punto di vista politico nel procedere di fatto verso la creazione di un superstato europeo, seppur formalmente democratico. Tuttavia è utile informare le persone del perché, anche chi condivide questo percorso, si troverà di fronte ad ostacoli tecnicamente e politicamente pressoché insormontabili.
E’ fondamentale avere il quadro completo del contesto per comprendere che i messaggi dei partiti candidati alla competizione elettorale sono errati, e si avvalgono della carente preparazione giuridica dei cittadini per portare a se’ voti.
Illustreremo:
- COS’E’ L’UNIONE EUROPEA: definizione giuridica, da dove nasce e come vuole evolvere il proprio ordinamento.
- GLI ORGANI DELL’UNIONE EUROPEA: nello specifico poteri, funzioni e composizione di Parlamento e Commissione.
- PROCEDURA DI RIFORMA DEI TRATTATI.
- GLI OBIETTIVI DELL’UNIONE EUROPEA.
Le nozioni qui riportate sono tratte esclusivamente dai trattati istitutivi dell’ Unione Europea e dai siti ufficiali della stessa.
Le integrative spiegazioni giuridiche sono riportate dai dizionari giuridici italiani accreditati.
1 – COS’E’ L’UNIONE EUROPA.
L’ Unione Europea è un’organizzazione SOVRANAZIONALE.
Il trattato di Maastricht istituisce l’ Unione Europea, programmata evoluzione delle precedenti comunità europee (la CECA, l’Euratom e la CEE), organizzazioni formalmente intergovernative ma sostanzialmente sovranazionali.
Ma che differenza c’e’ fra organizzazione intergovernativa e sovranazionale?
Il metodo intergovernativo di associazione a livello internazionale è quello che non prevede alcun sacrificio di sovranità da parte degli Stati che vi aderiscono. In un’organizzazione di tipo intergovernativo il meccanismo decisionale si fonda esclusivamente o comunque in modo prevalente sulla regola del consenso unanime degli Stati partecipanti, con la conseguenza che ciascuna nazione, manifestando il proprio dissenso, esercita sostanzialmente un diritto di veto.
Il metodo intergovernativo prevede che gli Stati collaborino oppure che al massimo si consultino e il metodo che adoperano per coordinarsi è quello dell’unanimità. Quindi è sufficiente il veto di un solo Paese per bloccare le proposte.
Intergovernativo è il metodo classico, confederale di relazioni tra i governi nazionali e le diplomazie. Il processo decisionale è affidato ad organi di Stati, all’interno dei quali gli individui agiscono nell’interesse e secondo le istruzioni del proprio Paese di appartenenza. Una decisione comune viene adottata solo quando è nell’interesse di tutti portarla avanti, evitando che le volontà di alcune nazioni vengano imposte a tutte le altre.
Ogni Stato è sovrano ed indipendente, le relazioni che sorgono fra le nazioni sono su un piano di parità, sia per diritti che per doveri.
Sovranazionale è un metodo che prevede un’autorità centrale sopra le nazioni e quindi più centralizzato. Gli Stati membri trasferiscono agli organismi comunitari la loro sovranità in determinate materie, attribuendo ad essi il potere di emanare disposizioni pienamente vincolanti e, in taluni casi, direttamente applicabili.
Le decisioni sono approvate non all’unanimità ma a maggioranza.
Il processo decisionale è affidato ad organi composti da individui, i quali possono esprimere le loro opinioni in modo indipendente rispetto agli Stati di provenienza.
Inoltre, decidendo di cedere la propria sovranità, gli Stati si sono vincolati al rispetto del principio maggioritario, in base al quale è possibile l’adozione di atti applicabili a tutti i Paesi aderenti, assunti tuttavia senza il loro consenso unanime.
(Con il caso van Gend & Loos del 1960 l’allora Comunità Economica Europea si eleva ad un rango diverso da quello su cui si ponevano le comuni organizzazioni internazionali, poiché il caso ha costituito il fondamento del principio di efficacia diretta di alcune categorie di norme comunitarie, cioè la ‘non applicazione’ della normativa nazionale contrastante con quella europea competente in materia).
Aggiungiamo un’ulteriore caso: lo Stato Federale .
Lo Stato federale è qualcosa di più perché c’è un unico Governo centrale e i vari Paesi diventano “Stati federati”, cioè “regioni” con una certa dose di autonomia, tuttavia molto limitata in quanto dipendente in prima istanza dalle decisioni prese dal “centro”. Ad esempio, la regione Veneto, così come lo Stato della California, pur potendo tassare e spendere (possono quindi operare delle politiche fiscali), non possono espandere il proprio bilancio a piacimento, dipendendo in prima istanza dalla moneta creata ed immessa dalle istituzioni centrali nell’economia attraverso la spesa pubblica.
L’Unione Europea non è un punto d’arrivo ma solo una tappa nel processo di creazione degli Stati Uniti d’Europa; e’ un soggetto che evolve nel tempo con l’incremento delle competenze ad essa attribuite.
Mettiamo in evidenza che uno Stato è libero oppure no di cedere la propria autorità ad un’entità sovranazionale. Nel caso della Costituzione Italiana tuttavia si parla di limitazioni e non di cessioni di sovranità, per il solo fine della pace e della giustizia tra nazioni. All’UE gli Stati hanno singolarmente e volontariamente deciso di cedere parte della propria sovranità approvandone e ratificandone i trattati. Ed è anche vero che il singolo Paese può in ogni momento decidere di riprendersela uscendo appunto dall’UE, cosa non possibile all’interno di uno Stato federale in cui il potere di imperio del governo centrale è garantito da una polizia federale e da un esercito. Purtroppo in questo caso, il singolo Paese per separarsi non ha altra strada che quella di scegliere una vera e propria rivolta, con possibili risvolti violenti.
L’ UE avanza per fasi, cioè per obiettivi volti al raggiungimento di uno scopo finale, gli Stati Uniti d’ Europa.
Espressioni contenenti una chiara allusione alla auspicata “Federazione europea”, oppure agli “Stati Uniti d’Europa” non sono recenti: Il termine “Stati Uniti d’Europa” fu usato da Victor Hugo al congresso internazionale di Parigi nel 1849.
Tra i promotori di questo progetto, nominando solo alcuni, troviamo anche Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi, Winston Churchill (anni ‘30), Giovanni Agnelli e infine il politico italiano Filippo Turati il quale consigliava all’Europa di seguire l’esempio Statunitense: se la federazione europea e quella americana si fossero unite, saremmo diventati i “padroni economici” del globo terrestre per vincere la concorrenza asiatica. E questo è proprio il concetto neoliberista della competizione tra Paesi, nella quale per sopravvivere bisogna massimizzare le esportazioni ed il saldo finanziario con l’estero a scapito degli altri. Quella logica che non tiene conto di come sia possibile utilizzare una moneta sovrana per creare occupazione tutelando la domanda interna, e che ha rappresentato spesso la vera causa dei conflitti tra nazioni che si sono succeduti nella storia.
Luigi Einaudi già nel 1918 propose alla Società delle Nazioni una sorta di super Stato fornito di una sovranità diretta sui cittadini dei vari Paesi, con il diritto di stabilire imposte proprie, mantenere un esercito Super-Nazionale, con una propria amministrazione. Nel 1935 Carlo Rosselli del futuro Partito d’Azione propose l’elaborazione di una costituzione europea e la necessità di portare l’idea del federalismo europeo a contatto con le masse popolari.
Nulla di nuovo insomma. Gli Stati Uniti d’ Europa sembrano proprio progettati da tempo e l’UE ne è solo una tappa. Tuttavia questo processo è stato caratterizzato fin dall’inizio da una metodologia alquanto elitaria ed antidemocratica e lo si ravvisa anche nelle dichiarazioni degli attuali leader delle istituzione europee.
“Noi prendiamo una decisione in una stanza, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede. Se non provoca proteste o rivolte, è perché la maggior parte delle persone non ha idea di ciò che è stato deciso; allora noi andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno.“ — Jean-Claude Juncker, attuale presidente della Commissione Europea dal 1º novembre 2014.
2- GLI ORGANI DELL’ UNIONE EUROPEA: QUALI SONO E CHE FUNZIONI HANNO.
I principali organi dell’UE sono Parlamento Europeo, Consiglio Europeo, Commissione Europea, Consiglio dell’Unione Europea, Corte di Giustizia Europea, Banca Centrale Europea, Corte dei Conti Europea.
Ci soffermiamo in quest’ articolo ad analizzare soprattutto il ruolo di Parlamento e Commissione.
IL PARLAMENTO EUROPEO.
E’ definito l’organo legislativo ma non ha potere di iniziativa legislativa:
Cosa fa il Parlamento europeo?
1 – ADOTTA la legislazione dell’UE, insieme al Consiglio dell’UE, sulla base delle proposte della Commissione Europea.
Come si svolge il lavoro legislativo?
In seno a una commissione parlamentare, il deputato elabora una relazione su una proposta di “testo legislativo” presentata dalla Commissione Europea, la quale ha il monopolio dell’iniziativa normativa. La commissione parlamentare vota su tale relazione, eventualmente modificandola. Il Parlamento definisce la propria posizione apportando modifiche al testo e votandolo in Aula. Questo processo viene ripetuto una o più volte, a seconda del tipo di procedura e in base al raggiungimento o meno di un accordo con il Consiglio UE.
Per l’adozione degli atti legislativi, si distinguono la procedura legislativa ordinaria (codecisione), che pone il Parlamento allo stesso livello del Consiglio UE, e le procedure legislative speciali (detta non legislativa o consultazione), che si applicano esclusivamente a casi specifici in cui il Parlamento svolge soltanto un ruolo consultivo.
Il Parlamento è ‘’colegislatore’’ su un piano di parità con il Consiglio UE nella maggioranza dei settori (procedura legislativa ordinaria), ma per determinate questioni (ad esempio, la fiscalità), il Parlamento Europeo esprime soltanto un parere consultivo (procedura di consultazione).
Il comitato di conciliazione, che riunisce rappresentanti del Consiglio UE e altrettanti rappresentanti del Parlamento, ha il compito di giungere ad un parere comune su un progetto entro un termine di ventuno giorni dalla convocazione.
Se il comitato di conciliazione non giunge a un accordo su un progetto tra Parlamento e Consiglio, oppure il Parlamento respinge il progetto, la Commissione presenta una nuova proposta di legge.
L’iniziativa legislativa spetta alla Commissione.
Il Trattato di Maastricht, rafforzato dal trattato di Lisbona, ha ‘’addirittura’’ concesso al Parlamento Europeo un diritto di iniziativa legislativa che gli consente di chiedere alla Commissione di presentare una proposta. Ma……a norma dell’articolo 225 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, la Commissione può rifiutare di elaborare la proposta legislativa richiesta dal Parlamento. E qui finisce l’iniziativa legislativa del Parlamento Europeo.
Si, quello eletto direttamente dai cittadini.
2- Partecipa alla programmazione annuale e pluriennale.
La Commissione avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale e prepara un progetto di bilancio, che viene sottoposto al Parlamento e al Consiglio UE.
Il Parlamento adotta una risoluzione sulla programmazione annuale e il suo Presidente chiede al Consiglio di esprimere un parere sul programma di lavoro della Commissione e sulla risoluzione del Parlamento. Il Consiglio adotta la sua posizione sul progetto di bilancio e la comunica al Parlamento.
Se il Parlamento approva la posizione del Consiglio o non delibera, il bilancio si considera adottato. Tuttavia solitamente il Parlamento approva degli emendamenti e il testo emendato è trasmesso al Consiglio. In questo caso il Presidente del Parlamento convoca senza indugio il comitato di conciliazione. Il comitato di conciliazione non si riunisce se, entro un termine di dieci giorni dalla trasmissione, il Consiglio comunica al Parlamento che approva tutti gli emendamenti.
Se il comitato di conciliazione non giunge ad un accordo su un progetto comune oppure il Parlamento respinge il progetto, la Commissione presenta una nuova proposta di bilancio.
Anche in questo caso quindi il Parlamento Europeo non ha un potere di iniziativa, né esercita una potestà esclusiva circa l’approvazione del bilancio.
Nota: il Consiglio Europeo è composto dai capi di Stato o di governo, dal suo Presidente – eletto per due anni e mezzo con mandato rinnovabile una volta – e il Presidente della Commissione europea. Il Consiglio ‘’definisce l’orientamento politico generale e le priorità dell’Unione’’.
Il Consiglio dell’Unione Europea invece è composto, ai sensi dell’art. 16 del Trattato sull’Unione europea, da un rappresentante di ciascun Stato membro a livello ministeriale che possa impegnare il governo dello Stato membro, scelto in funzione della materia oggetto di trattazione. Assieme al Parlamento Europeo e alla Commissione esercita la funzione legislativa e di bilancio.
COMMISSIONE.
I poteri della commissione sono ben riassunti nell’articolo 17 TUE.
1- La Commissione promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Vigila sull’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei trattati. Vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Dà esecuzione al bilancio e gestisce i programmi. Esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dai trattati. Assicura la rappresentanza esterna dell’Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dai trattati. Avvia il processo di programmazione annuale e pluriennale dell’Unione per giungere ad accordi interistituzionali.
2 – Un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano diversamente. Gli altri atti sono adottati su proposta della Commissione se i trattati lo prevedono.
3 – Il mandato della Commissione è di cinque anni. I membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza. La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza. Fatto salvo l’articolo 18, paragrafo 2, i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo. Essi si astengono da ogni atto incompatibile con le loro funzioni o con l’esecuzione dei loro compiti.
4 – A decorrere dal primo novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il Presidente e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio Europeo, deliberando all’unanimità, non decida di modificare tale numero. Il Consiglio Europeo dell’11 e 12 dicembre 2008 ha deciso che il sistema di rotazione nella scelta dei membri della Commissione non entrerà in funzione.
Quindi il compito dei commissari è quello di difendere gli interessi generali dell’Unione, non gli interessi dei singoli Paesi. Agiscono in piena indipendenza dai governi nazionali e hanno il potere di iniziativa legislativa, potere che in un contesto almeno formalmente democratico dovrebbe spettare al Parlamento Europeo, l’organo rappresentativo dei cittadini.
Nomina della Commissione: CHI NOMINA CHI.
– ) il Consiglio europeo (CAPI DI STATO o DI GOVERNO degli Stati membri), deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento Europeo un candidato alla carica di Presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento Europeo a maggioranza dei membri che lo compongono. Se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio Europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento secondo la stessa procedura.
-) Il Presidente della Commissione nomina i vicepresidenti.
-) I commissari sono membri di gruppi di lavoro guidati dai vicepresidenti, che si occupano di settori politici specifici.
-) Il Consiglio, di comune accordo con il Presidente eletto, adotta l’elenco delle altre personalità che propone di nominare membri della Commissione, sulla base delle nomine proposte da ognuno degli stati membri.
-) Ogni candidato deve presentarsi di fronte alla commissione parlamentare competente sul portafoglio per il quale viene proposto.
-) A seguito del voto del Parlamento che approva la Commissione, i commissari vengono nominati dal Consiglio Europeo.
Ricordiamo il criterio di scelta: ’’I membri della Commissione sono scelti… tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza’’ ( n. b: indipendenti dagli Stati membri). Pertanto chi vi dice che tramite le elezioni europee sarà possibile nominare dei commissari che faranno l’interesse del popolo italiano sta semplicemente mentendo.
Un appunto…
L’ articolo 11 del TUE prevede iniziative popolari o consultazioni pubbliche su determinate questioni e rimanda all’articolo 24 del TFUE per le procedure.
Peccato che iniziative e consultazioni debbano essere rivolte alla Commissione (i cui membri non sono eletti dai popoli) e non al Parlamento che dovrebbe essere ( e non è) l’organo legislativo e di accoglimento delle istanze dei cittadini, in un contesto, ricordiamolo, almeno formalmente democratico.
3 – REVISIONE DEI TRATTATI SULL’UNIONE EUROPEA.
Le procedure di revisione sono illustrate all’articolo 48 del Trattato sull’Unione Europea. A prescindere dalla procedura avviata, i paesi dell’UE devono esprimersi all’unanimità sulla revisione delle disposizioni del trattato interessate.
Le due procedure: ordinaria e semplificata.
1 – La procedura di revisione ordinaria.
Riguarda le modifiche più importanti apportate ai trattati, quali l’aumento o la riduzione delle competenze dell’UE. Funziona nel modo seguente.
Qualsiasi governo nazionale di un paese dell’UE, il Parlamento Europeo o la Commissione possono presentare proposte di modifica dei trattati al Consiglio UE, che a sua volta le presenta al Consiglio Europeo (formato dai capi di Stato e di governo dei paesi dell’UE). Anche i parlamenti nazionali vengono informati.
Se il Consiglio Europeo decide positivamente, viene convocata una Convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dai capi di Stato o di governo dei paesi dell’UE, dal Parlamento Europeo e dalla Commissione. E in caso di modifiche al settore monetario anche la Banca Centrale Europea. La Convenzione esamina le proposte di modifica e decide per consensus.
Viene poi convocata una Conferenza di rappresentanti dei governi dei paesi dell’UE da parte del Presidente del Consiglio, con l’obiettivo di adottare di comune accordo le modifiche ai trattati. Tali modifiche entrano in vigore solo dopo essere state ratificate da tutti i paesi dell’UE.
2 – La procedura semplificata.
Si applica per la revisione delle politiche e azioni interne dell’UE (riguardanti ad esempio l’agricoltura e la pesca, il mercato interno, i controlli alle frontiere, la politica economica e monetaria).
Tale procedura evita che ci sia la necessità di convocare una Convenzione europea e una Conferenza intergovernativa.
Il Consiglio Europeo delibera all’unanimità dopo aver consultato la Commissione, il Parlamento Europeo e la Banca Centrale Europea se la revisione riguarda questioni monetarie. Le modifiche dei trattati entreranno in vigore solo se saranno state ratificate da tutti i paesi dell’UE.
Le competenze dell’UE, tuttavia, non possono essere ampliate per mezzo di una procedura di revisione semplificata.
Pertanto, chi vi dice che è importante partecipare alle elezioni del Parlamento UE al fine di riformare l’Europa, vi sta semplicemente prendendo in giro. Per cambiare le regole di funzionamento della moneta euro ad esempio (limiti al deficit e al debito pubblico), condizione indispensabile per poter attuare politiche economiche espansive, non è sufficiente insediare all’interno delle istituzioni UE delle persone scelte dai partiti vincitori. In prima istanza, l’iniziativa legislativa rimane in carico alla Commissione UE, i cui membri, ricordiamolo, vengono nominati sulla base del principio dell’assoluta indipendenza dall’interesse di ciascuna nazione. In secondo luogo, cosa ancora più importante, per cambiare le regole dell’euro o concedere maggiore sovranità agli Stati nazionali pur rimanendo all’interno dell’UE, come recitano i cosiddetti sovranisti, si rende necessaria una modifica dei trattati fondanti dell’Unione Europea, la qual cosa può avvenire solo previo unanime consenso di tutti i Paesi della comunità, e quindi le elezioni europee non servono proprio a nulla, oltre al fatto che si tratta di un’istanza politicamente improponibile. Che interesse avrebbe ad esempio la Germania a cambiare le attuali regole, che consentono alla stessa un surplus finanziario col settore estero a scapito delle economie soprattutto del sud Europa ? Se non bastasse, ecco un altro esempio recente.
4 – OBIETTIVI.
Rileggiamo l’ articolo 3 TFUE (ex articolo 2 del TUE) .
- L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.
- L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima.
- L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociale, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.
L’approccio comunitario che si è rivelato tanto vicino al riconoscimento dei diritti civili quanto distante dal riconoscimento dei diritti sociali fondamentali contenuto nella nostra Costituzione Italiana.
L’articolo 3 della Costituzione, come noto, recita:
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
All’ articolo 3 del TFUE si ricollegano i due articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che trattano dell’uguaglianza davanti alla legge all’art. 20 e della non discriminazione etnica, religiosa o sessuale all’art. 21.
Si riesce con facilità ad individuare una prima differenza consistente nella mancanza all’interno dell’ art. 3 del TFUE e degli articoli 20 e 21 della Carta di Nizza di un riferimento specifico a quel principio di uguaglianza sostanziale, che rappresenta invece una parte fondamentale della Costituzione italiana: la necessità di eguagliare le persone non soltanto sul piano del trattamento giuridico ma anche sul piano dei fatti.
Questa differenza ha un notevole peso: l’assenza di un principio di eguaglianza sostanziale nell’ordinamento comunitario implica un modello di forma di governo in cui l’intervento dello Stato (o super Stato se vogliamo guardare alle ambizioni federaliste dell’UE) è quasi inesistente.
Montesquieu aveva messo in evidenza la necessità che le tre funzioni fondamentali dello Stato, legislativa, esecutiva, giudiziaria, fossero affidate a organi diversi, in posizioni di reciproca indipendenza tra loro, al fine di evitare che potesse essere minacciata la libertà.
I modelli di Stato possibili sono tre.
ASSOLUTO
In questo Stato la Corona esercitava il potere sovrano coprendo sia il ruolo esecutivo che quello legislativo (cioè sia di governo che di produzione delle leggi).
Il potere giudiziario era invece esercitato da giudici nominati dal Re.
Ci sono elementi di questa forma di governo all’interno dell’UE, in quanto, come abbiamo già dimostrato, il potere legislativo è nelle mani di un oligopolio di commissari non eletti direttamente dai cittadini, e spesso al servizio delle grandi lobbies finanziarie ed economiche che esercitano la loro influenza a Bruxelles.
LIBERALE
Lo Stato è garante delle libertà individuali. Lo Stato è minimo, cioè si astiene dall’intervenire al di fuori della sua funzione minimale di garante delle libertà individuali: la proprietà privata, la libertà di pensiero e di stampa, la libertà contrattuale e la libertà personale.
Astenendosi dall’intervenire nell’economia e nel sociale con la creazione diretta di posti di lavoro pubblici e astenendosi dal garantire istruzione, sanità e previdenza a tutti i cittadini gratuitamente, lo Stato non tutela i diritti sociali esimendosi così dal promuovere il pieno sviluppo della persona umana, garantito invece nel comma 2 art. 3 della nostra Costituzione Italiana. E lo Stato Liberale, che tutela solo in apparenza i diritti sociali e non di fatto, è proprio la forma prevalente dell’Unione Europea, nella quale i governi democraticamente eletti non possono liberamente spendere in una loro moneta sovrana al fine di promuovere la domanda interna, la piena occupazione e la piena produzione di beni e servizi disponibili per tutti, nel nome della tutela della libertà assoluta di concorrenza all’interno del settore privato.
SOCIALE
E’ la forma di governo prevista nella Costituzione Italiana, i cui principi sono incompatibili con i trattati europei, la cui applicazione dovrebbe pertanto essere messa al bando. Lo Stato in questo caso difende la libertà del privato, ma la limita e la coordina al fine di favorire soprattutto l’interesse pubblico. I diritti delle persone vengono tutelati non solo da un punto di vista formale, ma anche di fatto proprio grazie all’intervento di un governo eletto democraticamente dai cittadini, dotato di una sua moneta sovrana con la quale poter attuare politiche macroeconomiche di spesa pubblica espansive, al fine di promuovere la piena occupazione ed il benessere e la dignità di tutte le classi sociali.
Riferimenti:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:12012E/TXT&from=IT
Riprendi in mano il tuo Paese: la festa del 2 Giugno deve essere la tua riscossa. Assumetevi le vostre responsabilità. Smettetela di giustificarvi accusando chi è entrato in casa vostra quando avete lasciato la porta aperta e un cartello con scritto “i soldi e i gioielli li tengo qui”. Loro sono dei ladri, ma voi siete dei fessi. Dove eravate?
La Monsanto (e altre corporation) dettano, la Commissione ricopia e poi il Parlamento approva anche se non c’è una maggioranza favorevole. Il lobbismo testuale e protetto: “La competenza degli esperti fornita dai lobbisti è una risorsa”. La faccia anti-democratica della burocrazia europea
Giacomo Bracci di Epic e Giuseppe Nasone del gruppo Me-mmt Emilia Romagna terranno una conferenza mercoledì 29 aprile alle ore 21 in collaborazione con il circolo locale di Santarcangelo
LA FEDELTA’ NON E’ OBBEDIENZA
ovvero
Il DIRITTO DI RESISTENZA NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
Prendendo spunto da uno scritto di Giorgio Giannini (Centro Studi Difesa Civile) e dalla lettura delle discussioni in Costituente, nel 70° anniversario della Liberazione, vorremo riportare l’attenzione sul diritto alla Resistenza. In fase costituente erano stati proposti e sostenuti favorevolmente da diversi insigni Padri Costituenti dei commi all’art. 54 che la legittimassero.
La norma è proposta dall’On. democristiano Giuseppe Dossetti e dall’On. demo-laburista Cevolotto, che si erano ispirati ad altre Carte Costituzionali, in particolare all’art.21 della Costituzione francese del 1946, che stabilisce: “Qualora il governo violi la libertà ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti ed il più imperioso dei doveri”.
La proposta era:
Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione è discusso nel plenum dell’Assemblea Costituente, alcuni Deputati, appartenenti soprattutto al Partito Liberale e al Partito Repubblicano, pur non dichiarandosi, in linea di principio, contrari al riconoscimento costituzionale del diritto di resistenza, sollevano dei dubbi sull’opportunità del suo inserimento nella Costituzione.
Erano stati proposti anche altri emendamenti, che cito perché ognuno aveva delle sfumature degne di nota:
On. Pietro Mastino: «Ogni cittadino ha l’obbligo di difendere contro ogni violazione le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».
On. Mortati: «È diritto e dovere dei cittadini, singoli o associati, la resistenza che si renda necessaria a reprimere la violazione dei diritti individuali e delle libertà democratiche da parte delle pubbliche autorità».
On. Benvenuti: «Non è punibile la resistenza opposta dal cittadino ad atti compiuti dai pubblici poteri in forza di atti legislativi incostituzionali».
On. Caroleo: «Non è punibile la resistenza ai poteri pubblici, nei casi di violazione delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione».
Nel dicembre 1947, quando si esamina l’art.50 del Progetto di Costituzione, anche i democristiani si oppongono all’inserimento del diritto di resistenza nel testo definitivo della Costituzione.
Così, quando si vota il testo dell’art.54, che ha sostituito l’art.50 del Progetto, il diritto di resistenza è soppresso, nonostante il voto favorevole dei comunisti, dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente sull’esito del voto influirono motivazioni di opportunità politica ed anche una certa confusione di interpretazione tra il concetto di Resistenza e quello di Rivoluzione. Invece tra i due termini c’è una profonda differenza: la rivoluzione tende al rovesciamento del regime politico; invece, la resistenza mira alla conservazione del regime politico e quindi è uno strumento di garanzia per la sua esistenza.
L’articolo 139 prevede che “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” pertanto vorrei capire come possa una Repubblica inserirsi in un contesto politico sovranazionale che di repubblicano non ha nulla e come i recenti Governi Italiani abbiano potuto spingere il Parlamento – e questo abbia deliberato favorevolmente – a cessioni di sovranità massicce in tal senso.
LA SOVRANITA’ POPOLARE FONTE DEL DIRITTO DI RESISTENZA
Secondo autorevoli costituzionalisti (tra cui Mortati e perfino Giuliano Amato), anche se non è espressamente stabilito dalla nostra Carta Costituzionale, il “diritto di resistenza all’oppressione” è implicitamente legittimato, essendo una delle garanzie di difesa della Costituzione, in caso di violazione dei principi fondamentali in essa stabiliti.
Infatti, il diritto di resistenza trova la sua legittimazione nel principio della “sovranità popolare” , sancito nell’art. 1 della nostra Costituzione, che quindi rappresenta la legittimazione all’intero Ordinamento giuridico
La nostra suprema carta è oggetto di modifiche la cui legittimità verrà prima o poi giudicata dalla magistratura o dalla storia (vedremo chi per primo). Sappiate che da tempo gira uno studio n°469/2008 effettuato dalla Commissione di Venezia (think-tank giuridico dell’Unione Europea) e commissionato dal Consiglio d’Europa su come modificare le Costituzioni senza fare troppo rumore…
Tuttavia, la Commissione di Venezia ritiene che per modifiche costituzionali maggiori, una procedura politica deliberativa e democratica sia preferibile ad un approccio puramente giuridico.
LA FEDELTÀ NON È OBBEDIENZA
Fonti:
http://www.pacedifesa.org/documenti/Diritto%20di%20Resistenza.pdf
http://www.nascitacostituzione.it/02p1/04t4/054/index.htm?art054-011.htm&2
http://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL%282009%29168-e
Al riguardo l’On. Costantino Mortati nella sua dichiarazione di voto sul 2°comma dell’ art 50 del Progetto di Costituzione, afferma: “La resistenza trae titolo di legittimazione dal principio della sovranità popolare perché questa, basata com’è sull’adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati nella Costituzione, non può non abilitare quanti siano più sensibili a essi ad assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando ciò si palesi necessario per l’insufficienza e la carenza degli organi ad essa preposti”.
Riguardo alla resistenza collettiva, il Prof. Giuliano Amato, un costituzionalista molto acuto (chiamato il “dottor sottile”), commentando le due sentenze di condanna emesse dai tribunali penali di Palermo e di Catania in seguito ai gravi moti di piazza del luglio 1960 contro il Governo dell’On. Tambroni, sostenuto dal partito di destra Movimento Sociale Italiano (peraltro i moti popolari portarono alla caduta del Governo), nel 1961 scriveva che i poteri che sono esercitati dallo Stato-governo “ non
fanno capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari in via permanente, dal popolo”. Pertanto, “l’esercizio di quei poteri deve svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare una permanete conformità dell’azione governativa agli interessi in senso lato della collettività popolare: sì che, quando tale conformità non sia perseguita da quell’azione, è perfettamente conforme al sistema, cioè legittimo, il comportamento del popolo sovrano che ponga fine alla situazione costituzionalmente abnorme”. Sostiene inoltre che “la resistenza collettiva può indirizzarsi anche contro il Parlamento” qualora la sua azione sia illegittima. Pertanto, “potrebbe il popolo, nel mancato funzionamento dei meccanismi di garanzia predisposti all’interno dello Statogoverno, ripristinare con altri mezzi il rispetto del suo sovrano volere, che nella Costituzione trova la sua massima espressione”.
Inoltre, Giuliano Amato scrive nel 1962, in La sovranità popolare nell’ordinamento italiano, che in caso di non funzionamento degli organi di controllo e di garanzia, se cioè lo stesso Stato-apparato fosse “partecipe dell’azione eversiva”, compiendo “atti difformi dai valori e dalle finalità fatti propri dalla coscienza collettiva ed indicati nella Costituzione”, allora sarebbe legittimo il ricorso alla resistenza, individuale o collettiva. Afferma inoltre: “ove circostanze particolari lo impongano, come può disconoscersi al popolo, che della sovranità è titolare e che ne controlla l’esercizio… da parte dello Stato-governo, il potere di ricondurre alla legittimità, con mezzi anche non previsti, questo esercizio, ove irrimediabilmente se ne discosti”.
Rivedi tutti gli interventi. Me-Mmt Italia ha partecipato con le relazioni di Riccardo Tomassetti e Chiara Zoccarato, intitolate rispettivamente “L’eredità di Jean Monnet e la messa al bando della democrazia come metodo istituzionale. Unione Europea, una questione di deficit” e “Legittimità divina. Ovvero la Borsa e la Spada. Quale resistenza civile è possibile“.
Un sacco di gente avrà bisogno di carità, perché non ci sarà più lo Stato democratico che interverrà per raddrizzare le cose: gli Stati non hanno più i soldi, li hanno solo i ricchi