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Proseguiamo la nostra serie di video sulla MMT con la seconda parte del Capitolo “I bilanci prima della tua vita”.
Vedremo insieme cosa significa per uno Stato perdere la sua sovranità monetaria e di bilancio, alla luce anche dei recenti fatti di cronaca.
Ti sei mai chiesto cosa rappresenta veramente per te cittadino il debito pubblico ? Sei veramente convinto che il Governo di una nazione deva comportarsi come una famiglia, ossia, spendere di meno di quello che incassa ? Cosa comporta questo per noi settore privato di cittadini ed aziende ? Cosa c’è veramente all’origine della crisi economica iniziata nel 2007, e che ora rischia di inasprirsi nuovamente con conseguenze ancora più gravi ?
Come hanno agito gli Stati dotati di una loro sovranità monetaria per fronteggiare la crisi finanziaria ? Come hanno agito invece l’Italia e l’eurozona ?
A queste ed ad altre domande risponderà il nostro referente economico nazionale Filippo Abbate.
Buona visione ! E buona diffusione !
Di Tiziano Tanari, con la collaborazione di tutto lo staff dei referenti economici dell’Associazione MMT Italia. Postato il 06/03/2020.
Siamo lieti di pubblicare in questa sede il frutto di un lungo e duro lavoro che ha visto coinvolto in primis il nostro Presidente Tiziano Tanari.
Vi presentiamo in esclusiva il Manuale MMT di Macroeconomia per i cittadini, un minipaper che illustra in maniera chiara e sintetica i principi fondamentali della MMT, nonchè le posizioni della nostra Associazione circa l’attuale realtà politica, economica e giuridica in cui versa il nostro Paese. Un documento fondamentale per comprendere il mondo che ci circonda e saper controbattere in maniera efficace alle falsità di economisti e politici mainstream.
Buona lettura !
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Di Marco Cavedon. Postato il 29/12/2018.
Fonte: https://mmtveneto.wordpress.com/2018/12/29/parlando-al-bar-di-economia/
In occasione delle ferie natalizie, pubblichiamo questa raccolta di semplici racconti sottoforma di dialoghi a scopo formativo e divulgativo.
Riteniamo fondamentale rivitalizzare all’interno del dibattito pubblico i concetti fondamentali della Teoria della Moneta Moderna, quali la sovranità monetaria, l’importanza della spesa a deficit nonchè il nostro Programma di Salvezza Economia Nazionale, un documento che risale all’ormai lontano 2012 ma ancora attualissimo considerato il contesto dei nostri giorni.
Da diffondere. Buona lettura !
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Di Marco Cavedon (postato il 09/10/2018)
Fonte: https://mmtveneto.wordpress.com/2018/10/09/nota-di-aggiornamento-al-def-2018/
Si tratta di una delle procedure previste dal Semestre Europeo, una serie di regole entrate in vigore dal 2010 con l’obiettivo dichiarato di favorire il coordinamento in ambito economico delle diverse nazioni europee. Questo tradotto in termini concreti significa ulteriori cessioni di sovranità in ambito UE e l’impossibilità da parte dei singoli stati di varare in autonomia manovre a seconda della specificità della situazione economica di ciascun paese.
Ma come si raffronta il nuovo governo Lega e Movimento 5 Stelle con questo importante appuntamento, in cui è chiamato a comunicare alla popolazione italiana le manovre che intenderà mettere in atto per rispondere alle sue esigenze ?
Purtroppo in questo come in molti altri casi il nuovo governo, soprattutto per quanto riguarda la componente della Lega, non sta affatto mantenendo le promesse fatte per anni di tutelare in primis l’interesse della nostra nazione e lo vediamo dai seguenti dati, tratti proprio dalla Nota di Aggiornamento al DEF 2018 appena pubblicata.
![indicatori_def_2018](https://mmtveneto.files.wordpress.com/2018/10/indicatori_def_20181-e1538949926392.jpg?w=1060)
Per l’anno in corso viene certificata una drastica riduzione del deficit pubblico all’1,8% del PIL, per poi concedere un lieve respiro per il 2019 (2,4% del PIL, lo stesso valore del 2017) e ritornare quindi a ridurre sia deficit che debito fino al 2021. Chi legge questo blog sa cosa significa in verità il deficit ed il debito pubblico in macroeconomia e pertanto le manovre economiche che il “nuovo governo” si appresta a varare non saranno per nulla efficaci per il sostegno della nostra economia, anzi.
Una spesa a defcit (e cioè un conferimento di risorse al settore privato) pertanto del tutto insufficiente per determinare una solida ripresa della nostra economia e risolvere tutta una serie di problemi , quali la povertà dilagante ed in aumento, la differenza di disoccupazione tra nord e sud Italia, una tassazione molto elevata che soffoca domanda ed investimenti. Tanto per citare un dato, la sola flat tax promessa dalla Lega in campagna elettorale comporterebbe un deficit da parte dello stato pari a circa 63 miliardi, mentre il deficit totale promesso per il 2019 non ammonta nemmeno a 44 miliardi. Il tutto senza calcolare le spese extra necessarie per la riforma del sistema pensionistico (che il Governo stima costerà come minimo 6-8 miliardi), il reddito di cittadinanza promesso dal Movimento 5 Stelle (che costerebbe almeno 16 miliardi), le centinaia di miliardi di euro che sarebbero necessari per la ricostruzione delle zone distrutte dai terremoti, la riqualificazione degli edifici in funzione antisismica, una manutenzione efficace delle nostre infrastrutture, cosa più che mai necessaria dati anche i recenti fatti di cronaca e le ingenti risorse necessarie per garantire pensioni dignitose a tutti.
Quel che è ancora peggio è il dato previsto per l’avanzo primario, che considera le entrate meno la spesa pubblica non impiegata per il pagamento dei titoli di debito. Si tratta di risorse che lo stato italiano dall’inizio degli anni ’90 sottrae all’economia reale, per conferirle soprattutto alle grandi banche di investimento nazionali e straniere che prestano il denaro che il governo non più sovrano non può creare dal nulla, arricchendo al netto con la spesa pubblica il settore di famiglie ed aziende. Questo dato è previsto in forte aumento nel 2018, per poi attestarsi ad un valore pressoché pari al 2016 e al 2017 nel 2019 e quindi tornare a salire negli anni successivi.
E che manovre attuerà il governo per continuare a rispettare i vincoli europei ? E’ presto detto. Un contributo verrà infatti dato dalle dismissioni del patrimonio pubblico (leggasi privatizzazioni), come descritto a pagina 6: si parla di entrate per lo 0,3% del PIL (circa 5 miliardi e mezzo) all’anno fino al 2020 ed esse andranno ad alimentare il Fondo di Ammortamento del Debito Pubblico, ulteriore testimonianza di come il governo intende sottrarre risorse all’economia reale per conferirle a quella finanziaria, ovvero ai mercati dei capitali che prestano allo stato ogni singolo euro che spende. E non è una sorpresa, considerando i trascorsi dell’attuale Ministro per gli Affari Europei Paolo Savona.
Altre entrate e tagli sono descritti in dettaglio nella seguente tavola presa dalla pagina 118 della nota di aggiornamento al DEF 2018. Evidenziamo le principali misure, assieme ad altre tipiche dell’ideologia neoliberista che permea anche l’azione di questo governo.
![DEF2018](https://mmtveneto.files.wordpress.com/2018/10/def20181.jpg?w=688&h=918)
In conclusione, davvero non delle buone premesse per un governo che si dipinge come “del cambiamento”.
Clicca qui per scaricare e leggere l’intero documento.
Di Elisabetta Uccello, postato il 21/07/2018. Revisione di Marco Cavedon.
Fonte: https://mmtveneto.wordpress.com/2018/07/15/risposta/
In questo articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore” il 30 maggio 2018, l’autore Enrico Marro analizza quali a suo dire sarebbero le conseguenze dell’ uscita dell’Italia dall’eurozona. Seguendo l’ordine dell’ articolo, elenca:
- Inevitabile fuga di capitali
- Debito del saldo Target 2
- Inflazione a doppia cifra ‘’causata da Bankitalia che inizierebbe a stampare denaro selvaggiamente per sostenere il debito pubblico’’
- Potere d’ acquisto degli Italiani eroso dall’inflazione
- Prezzi delle materie prime alle stelle
- Costi sui prestiti alle aziende alle stelle e le imprese non potrebbero più pagare i dipendenti
- Ipersvalutazione che potrebbe solo avvantaggiare le ditte esportatrici
- Chi vorrà raccogliere capitali sui mercati finanziari dovrà spostare la ditta all’estero
- Nazionalizzazione delle banche solo al fine del salvataggio delle stesse
- Mutui e prestiti esploderebbero a causa dell’inflazione e della svalutazione
- Bollette carissime perché non siamo autosufficienti dal punto di vista energetico
- I titoli di stato perderebbero valore perché divorati dall’inflazione
- Debito pubblico che non verrebbe più comprato da nessuno
….Insomma….una bella mitragliata di terrorismo mediatico. Se quella del “Sole 24 Ore” vuol essere un’analisi , essa risulta fatalmente scorretta, irrazionale, banale.
Ma a queste ventate di isteria telecomandata ormai ci abbiamo fatto il callo ed illustreremo in questa sede con precisione e METODICITA’ cosa succederà quando l’Italia uscirà dall’euro e dall’Unione Europea, APPLICANDO AL DETTAGLIO IL PERCORSO MMT.
Precisiamo dapprima che le conseguenze sopra elencate rappresentano a pieno titolo i cosiddetti FALSI MITI dell’ economia neoclassica, miti che sono lo STRUMENTO principale del pensiero liberista per indirizzare i popoli ad accettare un MODELLO DI SOCIETA’ che si fonda sulla forte competitività, la deregolamentazione dell’economia, la riduzione ai minimi termini dell’intervento dello stato e l’annientamento delle costituzioni sociali del ‘900.
Le teorie neoliberiste si consolidano attorno al dogma della stabilità dei prezzi e dell’indipendenza di chi controlla la creazione della moneta – la banca centrale – dallo Stato.
Riprendiamo una citazione di Milton Friedman del 1962: “le interferenze governative minacciano la libertà economica’’.
Di contro la MMT- TEORIA DELLA MONETA MODERNA – presuppone che l’economia deva essere al servizio dei cittadini: lo Stato DEVE essere padrone della propria moneta ed utilizzare la spesa a deficit per creare occupazione e garantire i diritti dei lavoratori in piena sintonia con l’art 1 della nostra Costituzione Italiana:
“L’Italia e’ una repubblica democratica, FONDATA SUL LAVORO. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Alla base della MMT c’è lo stato sovrano della sua moneta e capacità di spesa, altrimenti non può incidere LIBERAMENTE ed in positivo sull’economia del Paese.
ANALISI SISTEMATICA DEL PROCESSO DI USCITA DALL’EURO GUIDATO DAL PROGRAMMA MMT.
LA SPESA DELLO STATO, IL DEBITO PUBBLICO, I TITOLI DI STATO.
L’Italia esce dall’euro con decreto legge. Questo implica nell’immediato che dal giorno 1 il governo inizia a spendere e tassare nella nuova valuta, chiamiamola LIRA.
Di fondamentale importanza, al pari del ripristino della moneta di stato, il pieno controllo della propria banca centrale: essa è lo strumento principale del governo per poter effettuare la spesa pubblica.
Solo se la banca centrale è SOTTO il controllo del Parlamento e del governo si possono impostare politiche economiche volte alla piena occupazione a alla tutela dello stato sociale.
LA BANCA CENTRALE DEVE ESSERE DIPENDENTE DALLO STATO, NON INDIPENDENTE, nel senso che il governo deve avere il pieno controllo sia della propria politica monetaria che fiscale.
La banca centrale è RAMO BANCARIO DELLO STATO; lavora di concerto con il ministero del Tesoro ma è il ministero del Tesoro ad indirizzare il suo operato.
Alain Parguez chiama questa operazione ‘’ BASE MONETARIA CREATA DAL CANALE DEL TESORO’’.
Anche Luigi Spaventa nel 1984 sottolineava: “Lo stock di base monetaria creato dal Tesoro può essere considerato un debito solo convenzionalmente”.
La MMT considera il meccanismo di emissione dei titoli di stato un retaggio del gold standard: in uno stato a moneta sovrana i titoli non servono a finanziare la spesa pubblica, perché questa deriva dalla creazione di moneta da parte della banca centrale, che accredita il conto corrente che il governo detiene presso la stessa.
Ricordiamo che i titoli di stato servono oggi esclusivamente a controllare il tasso d’interesse overnight, dal momento che le banche commerciali investono le riserve in eccesso (rispetto all’obbligo di riserva presso la banca centrale) in titoli, che fruttano un interesse più alto di quello che maturerebbero se lasciate ‘’ferme’’ presso la banca centrale (vedi qui per approfondimenti).
Dal blog di Bill Mitchell: ‘’ Dal punto di vista della MMT è di gran lunga preferibile eliminare del tutto il meccanismo di emissione del debito e pagare un tasso di sostegno sulle riserve se la banca centrale vuole puntare a un tasso d’interesse a breve termine diverso da zero. Ma ancor più preferibile è lasciare che il tasso di interesse a breve termine scenda a zero non emettendo debito pubblico e non pagando alcun tasso di sostegno sulle riserve in eccesso (presso la banca centrale). Quindi il mercato interbancario porterà il tasso di interesse fino a zero ogni giorno e la politica fiscale diventerebbe il principale strumento di contro-stabilizzazione e il mezzo più efficace per disciplinare le pressioni sui prezzi in specifiche classi di attività.’’
Non e’ da escludere la possibilità di regolare la remunerazione dei risparmi dei cittadini in appositi libretti di risparmio, in modo tale da incentivare o disincentivare la propensione al consumo in base al ciclo economico.
Uno stato a moneta sovrana non potrà mai non onorare il proprio debito (ripagare titoli di stato in scadenza) in quanto è denominato nell’unità di conto che egli stesso emette e di cui ha il monopolio tramite la propria banca centrale.
Uno stato a moneta non sovrana, come l’ Italia oggi in eurozona, per finanziare le proprie spese è costretto ad indebitarsi con le banche private che acquistano i suoi tds (titoli di stato).
A questi operatori lo stato dovrà restituire il prestito con gli interessi.
Questo preambolo è necessario, poichè nell’articolo de “Il Sole 24 Ore” sembra proprio non si faccia distinzione fra le caratteristiche strutturali di uno stato a moneta sovrana e di uno stato a moneta non sovrana.
Il settore bancario privato, deputato alle transazioni orizzontali, crea prestiti e di conseguenza aumenta la circolazione del denaro, cioè delle riserve create dalla Banca Centrale.
Però i prestiti bancari, quando creano un deposito, generano sempre un debito che dovrà essere ripagato: quindi non si ha mai ricchezza finanziaria al netto.
Solo il settore pubblico, cioè lo Stato, può creare veramente il denaro dal nulla, cioè ricchezza finanziaria al netto. E’ il suo ruolo.
Solo dalla spesa dello stato arriva il denaro in prima istanza.
Al contrario la BCE , per statuto e secondo i trattati (Tfue), non può finanziare direttamente gli stati ma solo i mercati dei capitali, cioè le banche private.
Gli stati nell’eurozona sono esautorati di sovranità sia economica che politica.
Questo assetto è lo strumento della corrente liberista per realizzare un modello di società incentrato esclusivamente sulla competitività: gli stati devono applicare politiche volte alla svalutazione salariale e alla distruzione della domanda interna, per fare in modo che la propria offerta di beni e servizi sia competitiva nel libero scambio internazionale; questa resta l’unica soluzione per riuscire ad ottenere moneta, una strategia a tutti gli effetti erede del mercantilismo settecentesco in cui vigeva il gold standard.
Nel modello liberista di società dell’Unione Europea la piena occupazione, la piena produzione di beni e servizi ed il pieno stato sociale non sono al primo posto.
Per realizzare invece il modello di società prescritto nella Costituzione Italiana ed antitetico al modello neoliberista, è necessario sganciarsi dall’euro e dai trattati europei ed applicare il Programma Economico MMT, unico strumento per realizzare la piena occupazione, la piena produzione di beni e servizi per tutti e la piena tutela di tutte le classi sociali.
Il giorno 1 della nuova lira il governo, come già affermato sopra, inizia ad effettuare la propria spesa accreditando conti correnti in lire e a tassare esclusivamente nella nuova moneta, lasciando tutti i depositi in euro.
Questo comporterà una domanda di lire, inizialmente scarse, da parte di tutti i cittadini che dovranno ottenerle per pagare le tasse e poter eseguire tutte le transazioni economiche.
Con l’occasione ricordiamo che la reale funzione della tassazione in uno stato a moneta sovrana non è quella di pagare la spesa pubblica, perchè prima di poter ritirare la sua valuta il governo sovrano la deve creare e spendere. La tassazione ha tuttavia una funzione molto importante, perchè è lo strumento principale dello stato per esercitare il proprio potere d’imperio: i cittadini sono costretti a pagare le tasse nella valuta decisa e dovranno fare in modo di ottenerla vendendo il proprio lavoro. Inoltre la tassazione serve ad indirizzare l’economia: lo stato tassa di più nei settori da disincentivare, meno in quelli da incentivare e regola la quantità di moneta in circolazione, drenandone maggiormente nei periodi di eccessiva inflazione, meno in deflazione.
Il governo non ricorrerà alla conversione forzosa in lire di depositi e prestiti già realizzati ma lascerà a discrezione del cittadino la richiesta della nuova moneta. Di conseguenza questi sarà ad un certo punto costretto, per pagare in primis le tasse, a chiedere lire alla propria banca in cambio di euro.
Questo provocherà una vendita di euro da parte della banca commerciale alla Banca d’Italia ed un acquisto di lire al tasso di cambio vigente al momento.
Il tasso di cambio, in linea con le caratteristiche di una moneta fiat, sarà fissato 1:1 con l’euro solo inizialmente e poi sarà lasciato libero di fluttuare nel mercato dei cambi internazionali.
La vendita di euro per acquisire lire eviterà il deprezzamento della moneta sovrana secondo le leggi di domanda ed offerta del mercato.
Anche in assenza di tale provvedimento, la svalutazione viene stimata tuttavia attorno al 20% secondo la teoria della parità relativa dei poteri d’acquisto, che afferma che la variazione percentuale del tasso di cambio fra 2 valute coincide in ogni periodo con la differenza fra le variazioni percentuali dei livelli dei prezzi nazionali. Secondo invece uno studio di BofA Merrill Lynch del 2012 la svalutazione sarebbe addirittura attorno all’11-12%. Niente iperinflazione quindi, anche perchè la correlazione tra svalutazione ed aumento dei prezzi interni è fatalmente scorretta (vedi qui).
Gli euro diventeranno riserve in valuta estera possedute dalla nostra banca centrale.
Cosa comporterà questo?
Il governo si ritroverà gradualmente ad avere a disposizione moltissime riserve in euro, utili per saldare a scadenza i titoli di stato emessi denominati in euro, a meno che il creditore non faccia espressamente richiesta di essere rimborsato in lire convertendo il proprio credito nella nuova valuta nazionale.
Questo meccanismo inciderà sul tasso di cambio lira- euro: se la Banca d’Italia non avesse potuto disporre di riserve in euro, avrebbe dovuto vendere lire per acquistare euro per saldare i titoli di stato e questo avrebbe potuto provocare svalutazione. Va tuttavia sottolineato che la conversione dei titoli in lire non è un problema neppure nei confronti dei creditori stranieri, per il principio della lex monetae (vedi qui).
Evidenziamo inoltre che la lira, anche se si svalutasse nei confronti dell’euro (ipotesi quantomai remota, se non irrealizzabile), non e’ detto che si svaluti nei confronti di altre valute con cui l’Italia intrattiene rapporti commerciali. Uno dei principali partner commerciali dell’Italia sono gli USA per le esportazioni, la Cina per le importazioni.
Il tasso di cambio effettivo e’ una media di tutti i tassi di cambio bilaterali principali.
LA SVALUTAZIONE DELLA LIRA.
Secondo la manipolazione mediatica liberista, con una svalutazione della lira del 30% avremmo un’inflazione interna della stessa entità a causa dell’ aumento del costo delle materie prime.
Precisiamo invece che le materie prime, prima di diventare prodotto finito, vengono lavorate internamente alla nazione importatrice e pertanto il costo finale risente relativamente della svalutazione.
Considerando come bene importato solo la materia prima, i costi interni riguardano la trasformazione, la lavorazione, il profitto privato e la tassazione.
Certamente la svalutazione incide sul costo delle importazioni, ma anche in presenza di ipotesi di forte dipendenza dall’estero con importazioni che incidano per il 40% dei costi di produzione, una svalutazione del 20% comporterebbe un aumento dei prezzi dell’8%. In termini reali, le materie prime e le fonti energetiche incidono sul totale delle importazioni per nemmeno l’11%.
Lo Stato italiano può sempre diminuire discrezionalmente il livello di tassazione per le imprese costrette ad importare e penalizzate dall’aumento dei costi, in modo da lasciare inalterato il loro profitto finale.
- La svalutazione in genere comporta maggiori afflussi di capitale dall’estero per acquistare merci il cui prezzo si è abbassato proprio grazie ad essa. Considerando solo la bilancia commerciale (quindi al netto dei movimenti di capitale) la valuta nazionale verrebbe richiesta di più e di conseguenza tornerebbe ad apprezzarsi.
- Il coefficiente di trasferimento pass-trought è l’intensità con cui una variazione del tasso di cambio si trasferisce sul prezzo dei beni nazionali. Per esempio , se in seguito ad una svalutazione del 10%, l’inflazione aumenta del 5% si calcola il pass-trought al 0,5 (cioè al 50%).
Il coefficiente pass trought italiano è stato stimato da uno studio del 2012 di Goldfajn e Werlang attorno al 36% in un anno: per cui, ipotizzando anche una svalutazione del 20% (scenario considerato poco attendibile), solo il 36 % di tale svalutazione si tradurrebbe in un’inflazione del 7,2%. Valori del tutto controllabili e calcolati comunque in assenza di politiche fiscali del governo, semmai questa percentuale moderata fosse considerata pericolosa.
L’ INFLAZIONE.
Per quanto riguarda l’inflazione, è necessario definirla in modo da fare definitivamente chiarezza in merito a quest’altro falso mito che l’economia liberista utilizza per costringere i popoli a legittimare cessioni di sovranità e ad adottare politiche liberiste.
L’ inflazione è un aumento dei prezzi annuale.
L’ iperinflazione e’ un aumento dei prezzi mensile superiore al 50%.
Riprendiamo l’equazione che in economia regola l’inflazione: MxV=PxY
M: rappresenta l’offerta di denaro disponibile in un determinato periodo temporale, che dipende in prima istanza dalla spesa a deficit da parte del governo
V: rappresenta la velocità di circolazione del denaro nello stesso periodo temporale preso come riferimento, in pratica rappresenta quante volte il denaro passa di mano in mano in quel periodo.
P: rappresenta il prezzo medio dei beni e dei servizi prodotti in quel determinato periodo (ricordiamo che per il calcolo dell’inflazione solitamente si utilizza la base annuale).
Y: rappresenta la quantità di beni e servizi prodotti da un determinato paese nel medesimo periodo temporale.
L’economia neoclassica tende a considerate V e Y costanti (pertanto ad un aumento dell’offerta di moneta necessariamente segue un pari aumento dei prezzi di beni e servizi), mentre l’economia eterodossa considerano il fatto che la velocità di circolazione del denaro non può mai essere costante in quanto strettamente correlata all’offerta di moneta; una minore ricchezza finanziaria farà si che la popolazione in generale aumenti la sua propensione al risparmio e quindi diminuisca la domanda aggregata (potere di spesa), il che necessariamente determina un calo anche di Y.
Al contrario, una maggiore ricchezza finanziaria (M) nelle mani della popolazione può determinare un aumento della domanda aggregata, che causerà sia un aumento di V che di Y, in quanto gli ordinativi aumentano. Il reale limite di Y è dato dalla quantità di forza lavoro disposta ad operare per aumentare l’offerta a fronte di un incremento della domanda. Possono sussistere pertanto le condizioni tali per cui ad un aumento di M si verifichi un aumento sia di V che di Y, lasciando il fattore P immutato o comunque determinandone un incremento non direttamente proporzionale ad M e non necessariamente problematico per quanto concerne l’impatto sulla domanda aggregata; se stipendi e salari aumentano ad un tasso superiore a quello dei prezzi, il reale potere di acquisto non ne risente.
Il solo aumento dei prezzi non è inflazione: l’inflazione è il continuo aumento dei prezzi, cronico rispetto alla reale capacità di produzione.
Per controllare l’inflazione ci sono 2 metodi:
- Il metodo neoliberista scelto dalla Commissione Europea: il NAIRU (Non-Accelerating Inflation Rate of Unemployment), cioè mantenere uno “stock di riserva di disoccupati”. L’inflazione in questo caso viene controllata tramite politiche monetarie e di bilancio restrittive, che creano una disoccupazione che STRUTTURALMENTE deve attestarsi ad una determinata percentuale. La disoccupazione strutturale comporta non avere redditi ed essere disposti a lavorare per bassi salari, pertanto determina il crollo della domanda interna con conseguente abbassamento dei prezzi dei beni e servizi prodotti.
- Il sistema proposto dagli economisti post-Keynesiani MMT, il NAIBER (non-accelerating inflation buffer employment ratio) o “stock di scorte di occupati“. La piena occupazione viene garantita dai lavori di stato; il governo garantirà quindi la piena occupazione e salari minimi dignitosi, i quali avranno la funzione di stabilizzare i prezzi in quanto legati alla produzione di beni e servizi reali.
La tassazione è lo strumento principale per controllare la domanda e regolare l’inflazione.
L’occupazione nel settore pubblico dev’essere elastica ed anticiclica, fermo restando che i lavori nei servizi pubblici essenziali devono essere fissi e rigidi.
Con la proposta MMT del “job guarantee” lo stato assorbe i disoccupati in lavori pubblici quando l’attività del settore privato diminuisce: lo stato ‘’conserva’’ il lavoratore nel settore pubblico. Viceversa quando l’ economia è in una fase di espansione, lo stato permette al lavoratore di reimpiegarsi nel settore privato. LA POPOLAZIONE RIMANE SEMPRE OCCUPATA. CAMBIA SOLO IL RAPPORTO FRA OCCUPAZIONE PUBBLICA E PRIVATA.
TARGET 2.
Il Target 2 e’ un sistema di pagamenti interbancari che vale in tutti i paesi dell’Unione Europea.
Vari economisti (tra cui l’attuale Presidente della BCE Mario Draghi) ipotizzano che, in caso di uscita di un paese dall’euro, dovrà essere saldato per intero il deficit della sua banca centrale nei confronti della Banca Centrale Europea.
Come funziona la cosa ? Semplicemente, quando qualsiasi attore economico di un paese che ha adottato l’euro realizza un acquisto presso un’altra nazione dell’eurozona tramite il denaro depositato presso la sua banca, viene convenzionalmente conteggiato un pari deficit della banca centrale del paese dove ha sede l’acquirente nei confronti della BCE, mentre la banca centrale del paese del fornitore vanterà un credito nei confronti della BCE.
Facciamo un esempio. Un acquirente italiano che possiede un conto corrente presso Banca A desidera acquistare un’automobile da un venditore tedesco, che avrà un conto corrente presso Banca B. In questo caso, la Banca d’Italia accrediterà le riserve presso la Bundesbank (la banca centrale tedesca) addebitando il conto dell’acquirente italiano presso Banca A. La Bundesbank potrà quindi mettere quelle riserve a disposizione della Banca B e in questo modo onorare il debito che possiede con la stessa.
Si è forse creato un vero debito della Banca d’Italia nei confronti della BCE ? Questa ha forse bisogno delle riserve di Banca d’Italia da accreditare alla Bundesbank, che a sua volta le accrediterà a banca B ? Assolutamente NO, dal momento in cui, come abbiamo visto, Banca d’Italia ha già fornito le riserve di cui la Bundesbank ha bisogno e le posizioni debitorie e creditorie delle varie banche centrali dell’eurozona nei confronti della BCE rappresentano solo un dato contabile, che registra i movimenti di riserve in euro creati dalle varie banche centrali in uscita ed in entrata tra le rispettive nazioni. Prova ne è il fatto che non esiste un limite al “debito” o al “credito” che le singole banche centrali possono detenere nei confronti della BCE, nè tale “debito” deve essere mai onorato. Se così non fosse, questo automaticamente dovrebbe comportare il fatto che, quando l’acquirente italiano acquista un bene da un fornitore straniero, questo venga pagato due volte, la prima volta dalla Banca d’Italia, la seconda dalla Banca Centrale Europea, il che è assurdo. Tra l’altro, per i paesi dell’UE che aderiscono a questo sistema pur non appartenendo all’eurozona, non viene assegnato alcun “debito” alle loro banche centrali nei confronti della BCE, perchè queste non possono creare euro e quindi le transazioni avvengono tramite il mercato dei cambi; in questo caso non si pone quindi il (falso) problema della necessità da parte della BCE di approvvigionarsi di riserve per accreditarle alle banche centrali dei paesi fornitori.
Casomai si potrebbe presentare un problema politico nel momento in cui, in caso di uscita dall’euro, le istituzioni UE ci chiedano di saldare quel “debito”. Ma l’Italia avrà tutte le armi dalla sua parte, sia da un punto di vista tecnico che giuridico, per rifiutarsi di pagare un “debito” che, per il semplice fatto di utilizzare la valuta euro, non è mai stato considerato veramente tale. Da nessuna parte nei trattati europei sta scritto che i saldi target 2 in deficit nei confronti della BCE siano da onorare, nemmeno in caso di cambio della valuta nazionale.
LA COMPETITIVITA’.
Altro dogma cavallo di battaglia delle teorie liberiste è la competitività, inneggiata a principio cardine sul quale basare l’economia di una nazione e codificata in ogni trattato comunitario come il ferreo obiettivo delle politiche europee.
Come già affermato sopra, l’ arricchimento di una nazione e lo sviluppo economico sono dovuti principalmente alla spesa pubblica, che è lo strumento politico per mettere in moto l’economia ed indirizzarla al sostegno dei servizi alla comunità e del sistema produttivo. La moneta di stato è una leva nel concetto di produttività post-keynesiano, in antitesi al concetto di scarsità neoclassico.
Le esportazioni di beni e servizi di certo apportano ricchezza finanziaria all’interno di una nazione ma questo processo è una variabile e non è la via principale con cui uno stato si arricchisce. Solo grazie alla spesa pubblica a deficit positivo si può immettere ricchezza al netto nel settore privato di cittadini ed aziende senza ricorrere alla competitività nei confronti delle altre nazioni, basata sull’abbassamento dei prezzi possibile a sua volta solo con la svalutazione dei salari e l’indebolimento della domanda interna.
FUGA DI CAPITALI E FUGA DI PRODUZIONE.
La fuga di capitali è un falso problema: la valuta ‘’in fuga’’ passa da un conto corrente all’altro ma il saldo dei conti riserva presso la banca centrale resta invariato; cambia solo il titolare del conto corrente, che può essere anche un residente presso una nazione estera che ha acquistato lire da un venditore italiano. Tutte le lire rimangono comunque all’interno dei conti riserva che le banche commerciali detengono presso la nostra banca centrale e sono pertanto sempre soggette alla nostra giurisdizione.
Ciò che potrebbe preoccupare è la fuga di produzione. Gli imprenditori che non avranno capito che la moneta sovrana porterà solo vantaggi alle aziende private, sposteranno la loro produzione all’estero.
Ma non saranno necessarie misure di protezione e controllo dei capitali se non probabilmente nel primo periodo, tramite una legislazione che persegua la responsabilità sociale delle imprese di rilevanza sistemica o tramite la nazionalizzazione dei settori strategici.
Perché non saranno necessarie misure di protezione e controllo speciali ?
Mantenendo saldo il focus sulla piena occupazione e dal momento che la moneta non è più una risorsa scarsa, in quanto lo stato è monopolista della propria valuta, il fatto che il capitale privato possa andarsene dal paese non diventa più un problema per l’economia.
Lo stato implementa programmi di piena occupazione rivolti soprattutto ai servizi sociali e tutelerà la domanda interna garantendo diritti e salari dignitosi, mentre le imprese che delocalizzano per produrre beni di consumo a prezzi bassi di fatto rappresenteranno un impoverimento in termini reali per quei paesi in cui si recheranno, disposti a consentire politiche di sfruttamento della manodopera e svalutazione delle condizioni di lavoro, nel nome della competitività globale. Anzi, quei beni reali che produrranno saranno consumati dai nostri cittadini e questo per noi rappresenterebbe un arricchimento in termini reali.
TITOLI DI STATO ED INTERESSE.
La cedola di un titolo di stato è determinata dall’emittente (il governo). Può essere fissa o variabile ma è sempre determinata dall’emittente. Oggetto di contrattazione e’ invece il prezzo dei titoli.
L’interesse, cioè il guadagno, è uguale alla cedola più lo scarto d’emissione (cioè la differenza fra prezzo di emissione e prezzo di rimborso del titolo).
Uno stato che ha il controllo dell’emissione della propria moneta STABILISCE in piena autonomia la cedola, senza doverla aumentare per attirare investitori nelle operazioni di riapertura, per il collocamento dei titoli rimasti invenduti alla prima asta.
UNO STATO A MONETA SOVRANA NON PUO’ MAI INCORRERE NEL RISCHIO DI INSOLVENZA IN UNA VALUTA DA LUI STESSO EMESSA.
La banca centrale tornerebbe ad essere dipendente dal Tesoro ed obbligata ad acquistare i titoli invenduti sul mercato primario (come prima del divorzio Tesoro –Banca d’Italia del 1981) o quelli presenti sul mercato secondario (Quantitative Easing).
Il prezzo di rimborso si alzerà e l’interesse si abbasserà. E’ importante che la cedola sia sempre regolata esclusivamente dallo stato in base agli obiettivi di politica economica: alzerà la cedola quando vuole incoraggiare il risparmio privato e disincentivare il reinvestimento nell’economia reale e viceversa, abbasserà la cedola quando vorrà incoraggiare la spesa del denaro nell’economia reale e disincentivare il risparmio.
E’ importante notare che, quando la banca centrale agisce sul mercato aperto acquistando titoli tramite riserve che lei stessa emette, questo non genera alcuna inflazione, dal momento che si tratta di denaro conferito al solo settore finanziario, che a sua volta lo presterà al settore dell’economia reale (famiglie ed aziende) solo in presenza di politiche fiscali espansive (spesa a deficit) che tutelino la domanda interna. E di domanda interna al momento ne abbiamo estremo bisogno, causa un sottoimpiego dei fattori produttivi con disoccupazione stabile all’11%.
La proposta MMT comunque prevede la totale abolizione dei titoli di stato, in quanto il governo nuovamente sovrano potrà accreditare direttamente conti correnti di famiglie ed aziende e pagare stipendi senza dover ricorrere al farraginoso meccanismo della loro emissione.
MUTUI.
Perché l’aumento del rendimento sui titoli di stato incide sui mutui e i prestiti?
Nel sistema attuale succede che se il titolo di stato viene declassato dalle agenzie di rating, gli investitori se ne sbarazzano in grande quantità: aumenta il rendimento (differenza fra prezzo di acquisto e di rimborso, che cala).
Una banca commerciale conferisce titoli di stato alla banca centrale a garanzia delle operazioni di rifinanziamento principali (i prestiti di riserve che chiede direttamente alla banca centrale).
La banca centrale applica un ‘’ taglio’’, detto hair-cut. A fronte di una garanzia di 1000 in titoli di stato ad es. la banca centrale applica un hair-cut del 5%, cioè presta 950 Euro.
Se i TDS hanno un rating declassato, l’ hair-cut aumenta all’11-12% ad esempio.
Quindi le banche cercano di disfarsi di quei titoli declassati e cercarne altri con un rating migliore ed ottenere pertanto rifinanziamenti dalla BCE a condizioni più vantaggiose.
Questa ‘’penale’’ ha conseguenze quindi sugli interessi che le banche applicheranno a mutui e prestiti per garantire i propri profitti.
Ma con una moneta sovrana ed uno stato che applica il programma economico MMT anche questo ricatto può essere serenamente evitato, in quanto il valore dei titoli sarà sempre garantito e il governo sarà libero di applicare la legislazione in materia di politica monetaria che ritiene più efficace; la regola dell'”hair cut” potrebbe tranquillamente decadere assieme alla prassi dell’emissione dei titoli di stato, come prima abbiamo evidenziato.
Pertanto, anche basandoci su una semplice e razionale valutazione costi-benefici e tralasciando per un attimo le considerazioni politiche sulle quali ci siamo già espressi, ne consegue che nulla giustifica la permanenza dell’Italia all’interno della zona euro, con buona pace degli “esperti” de “Il Sole 24 Ore”.
Le stesse fonti neoliberiste, nei loro rari attimi di lucidità, smentiscono loro stesse.
Pubblichiamo questo ottimo video di Alex Casella del Gruppo Territoriale Piemonte.
Il pezzo di cui sopra è tratto dal convegno “Responsabilità generazionale, un patto repubblicano per il 2018”, organizzato dal partito “+ Europa” e che ha visto come relatrice l’ex Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del Governo Monti Elsa Fornero (vedi qui).
La parte in questione si focalizza sul tema dei fondi pensione privati. La stessa Fornero ammette l’inadeguatezza di questo sistema quando venne adottato nell’America Latina, ad ulteriore testimonianza del fallimento della gestione privata nel garantire i servizi essenziali alla popolazione.
Ma come del resto era facile attendersi, considerato anche il titolo dell’evento, il barlume di lucidità si spegne dopo pochi minuti. L’ex Ministro prosegue poi la sua esposizione basandosi sui falsi miti neoliberisti in base ai quali lo stato deve fare come il buon padre di famiglia e non deve spendere a deficit per la tutela del sociale (pensioni nel caso specifico), il tutto ovviamente senza accennare minimamente alla differenza tra nazioni sovrane della loro moneta e quelle non, qual è appunto la condizione attuale dei paese dell’eurozona. Anzi, in questo frangente si invoca ancora “più Europa”.
Queste sono appunto le politiche che portano le persone ad investire nei fondi pensione privati, con tutte le drammatiche conseguenze che la stessa Fornero ha evidenziato probabilmente più per convenienza politica che non per onestà intellettuale, considerata la sua ambiguità (vedi qui).
Di Marco Cavedon. Fonte: http://memmtveneto.altervista.org/articoli/contatore_debito.html Dal 13 febbraio 2018 fino alla fine della campagna elettorale, sugli schermi Maxi-Led delle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina è apparso il “contatore del debito pubblico” di cui all’immagine sopra. Si tratta di un’iniziativa promossa dall’Istituto Bruno Leoni (che di seguito per semplicità chiameremo IBL), una think tank neoliberista nata nel 2003 […]
Di Marco Cavedon. Fonte: http://memmtveneto.altervista.org/articoli/elezioni_2018.html
A meno di due settimane dalle prossime elezioni politiche, forniamo un’analisi delle posizioni dei vari partiti in materia economica alla luce del pensiero dell’MMT.
Guardando ai programmi dei maggiori partiti politici che con ogni probabilità si contenderanno la maggioranza dei seggi in Parlamento ne emerge un quadro alquanto sconfortante. Partiamo dai tre favoriti dai sondaggi come intenzioni di voto, ossia, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia.
Partito Democratico.
Un programma con posizioni assolutamente contrarie ad una vera politica per la piena occupazione e il benessere sociale della popolazione italiana, se non addirittura eversive. Come un po’ in tutti i programmi, un sacco di buone intenzioni sulla carta (sostengo alle famiglie, ai redditi, alle pensioni, alla scuola), ma del tutto vanificate dal pieno rispetto delle regole dell’eurozona e dell’Unione Europea, che pongono la competitività di matrice neoliberista al di sopra di ogni possibilità di realizzare una vera politica a tutela del sociale. Esaminiamo alcuni passi del programma:
– “La nostra Europa è quella di Ventotene, dove il sogno europeista venne rilanciato nel momento più buio della nostra storia. È l’Europa di Maastricht e degli sforzi fatti per arrivare alla moneta unica. Ed è l’Europa di Lisbona, una forza che prova a farsi Unione politica e dell’innovazione”.
Al di là dell’ignoranza sul reale messaggio del Manifesto di Ventotene, assolutamente eversivo per quanto riguarda il rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione e della stessa democrazia (vedere a tal proposito queste ottime considerazioni da parte dell’avvocato Marco Mori), c’è la piena conferma del sostengo all’Europa derivante dal Trattato di Maastricht e di Lisbona, quindi all’Europa che nasce dalle logiche neoliberiste e antisociali che trovano consolidamento nel funzionamento dell’euro, una moneta straniera per tutti gli stati che la utilizzano e per le stesse istituzioni europee, che favorisce solo il guadagno dei mercati dei capitali e sottrae le risorse all’economia reale (vedi qui).
– “l’attuale proposta di direttiva che punta a sostituire il Fiscal Compact, e che introduce al posto dell’obbligo di pareggio strutturale di bilancio un meccanismo pluriennale di definizione e attuazione di un percorso di riduzione del debito, ancorato ai parametri di Maastricht e all’evoluzione della spesa pubblica, potrà essere discussa solo nel quadro di una parallela riforma del Patto di stabilita e crescita”.
Si contrasta il Fiscal Compact ma non al fine di applicare politiche espansive di spesa in deficit, bensì per introdurre “un meccanismo pluriennale di definizione e attuazione di un percorso di riduzione del debito, ancorato ai parametri di Maastricht”. Un’ulteriore difesa quindi del trattato fondante di questa Unione Europea e delle politiche macroeconomiche che impongono la distruzione dell’attivo del settore privato, con la riduzione costante di deficit e debito pubblico in maniera meno spinta di quella imposta dal Fiscal Compact, ma pur sempre applicata. Della serie, facciamo morire il malato non con l’eutanasia ma con una lenta agonia. Per capire cos’è in realtà un deficit o un debito pubblico, vedi qui.
– “L’obiettivo del Partito Democratico è ridurre gradualmente ma stabilmente il rapporto tra debito pubblico e Pil al valore del 100% entro i prossimi 10 anni. Quello che serve per rassicurare i mercati, che ci prestano ogni anno mediamente 400 miliardi per rifinanziarci, non è tanto il livello del debito, né sicuramente annunci roboanti e poco credibili, che anzi hanno l’effetto opposto. La cosa veramente importante è realizzare una riduzione graduale ma costante.”
Viene confermato anche in questo caso come i proclami da parte degli esponenti del PD per quanto riguarda la cosiddetta “riforma dell’Europa” (ipotesi alla quale comunque siamo contrari, vedi qui) siano solo fumo sugli occhi. Non serve parlare infatti di potenziamento del bilancio comunitario o di eurobond quando l’intenzione è quella di delegare potere ad una sovrastruttura, per permetterle in modo ancora più agevole di attuare tutte quelle politiche macroeconomiche che sono la prima causa della crisi e della stagnazione economica in cui ci troviamo. Vige infatti il concetto sbagliatissimo dello “stato buon padre di famiglia”, che deve levare al settore privato con la tassazione più risorse di quelle che conferisce con la spesa pubblica.
Così come il sostegno del welfare descritto in altri punti (pur tuttavia sempre ribadendo la difesa della “sostenibilità finanziaria”) è del tutto inutile, con uno stato che non fa altro che spostare soldi di tasca in tasca ma non spende a deficit per aumentare l’attivo al netto e quindi la capacità di spesa del settore non governativo di famiglie ed aziende.
Movimento 5 Stelle.
Molte idee ma anche molta confusione e poca coerenza. A nemmeno un mese dalle elezioni politiche, questo partito si presenta con un programma non definitivo (vedi qui) basato sulla partecipazione diretta dei cittadini che, tramite il sistema on-line Rousseau, hanno la possibilità di proporre e votare le varie tematiche. Tra l’altro i punti del programma sono in costante aggiornamento, per cui non è nemmeno detto che nel momento in cui leggerete il presente articolo quanto sotto riportato sia ancora attuale (e il tutto con le elezioni alla porta).
Alla voce “sviluppo economico” e “vincoli europei” evidenziamo i seguenti punti:
– “Costruire innanzitutto gruppi di pari, cioè stati omogenei, e a quel punto stabilire non solo la velocità a cui andare verso le mete dei parametri di equilibrio internazionali, europei, ma quali sono le mete da raggiungere, che non possono necessariamente essere il 3% di rapporto deficit/Pil e il 60% del rapporto debito/Pil, perché ogni stato ha caratteristiche, come le imprese, diverse”.
– “Che significa fondamentalmente fare in modo che, ad esempio, i tassi di interesse sui loro debiti non producano spread eccessivi e percezioni di rischio squilibrate tra un paese e l’altro”.
– “Quindi per arrivare ad una reale situazione di condivisione e anche di armonia nella definizione dei sacrifici, ma soprattutto delle strategie di crescita di ogni paese, è necessario, userei questo termine per capirci meglio, personalizzare i parametri di riferimento, come si fa in economia”.
Si sottolinea pertanto la volontà di creare un’Europa a più velocità, in cui “gruppi di stati omogenei” procedano verso un percorso di risanamento dei conti pubblici ma a velocità e in modi diversi. Manca in questi ragionamenti alquanto astratti e confusi la concezione di cosa sia veramente un debito pubblico con sovranità monetaria (e cioè l’attivo e non il passivo del settore privato di cittadini ed aziende) ed in più si continuano ad alimentare paure infondate su problemi creati artificiosamente dal sistema euro, quali appunto lo spread e la necessità di procedere comunque verso un percorso di “equilibrio” dei conti pubblici.
D’altronde, le recenti dichiarazioni di Luigi di Maio (attuale candidato premier del Movimento 5 Stelle) circa la piena adesione all’euro e all’Unione Europea non fanno certo ben sperare circa la reale volontà di opporsi a questo sistema e tutelare l’interesse della nazione Italia (vedi qui e qui). Addirittura di Maio auspica che la Commissione Europea abbia il potere dell’iniziativa legislativa, cosa che in verità esiste già, mentre nutre profonda fiducia in maggiori poteri concessi al Parlamento Europeo, non rendendosi conto di come questo di fatto non abbia mai contrastato le politiche neoliberiste di austerity (vedi qui).
Alleanza di centro-destra.
L’Alleanza Lega, Fratelli D’Italia e Forza Italia ha stilato un programma condiviso (vedi qui), che tuttavia su molti punti è alquanto generico ed in più vari sono i diversi punti di vista tra i tre candidati leader di questi partiti (rispettivamente Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi).
Innanzitutto nella prima e l’ultima pagina di questo programma compare il solo logo di Forza Italia con la scritta “Berlusconi Presidente” e questo non fa affatto ben sperare circa il peso che in questa coalizione avranno i candidati premier maggiormente critici nei confronti dell’Unione Europea.
Riportiamo alcuni passi commentandoli:
– “Riforma del sistema tributario con l’introduzione di un’unica aliquota fiscale (Flat tax) per famiglie e imprese con previsione di no tax area e deduzioni a esenzione totale dei redditi bassi e a garanzia della progressività dell’imposta con piena copertura da realizzarsi attraverso il taglio degli sconti fiscali”.
Ne abbiamo già parlato qui. Al di là del fatto che non c’è condivisione circa il livello che questa “flat tax” dovrà raggiungere (Berlusconi dice il 23%, Salvini il 15%), si tratta di una misura che in assenza di sovranità monetaria sarebbe del tutto inutile, dal momento in cui non potendo emettere denaro necessariamente un taglio delle tasse dovrà essere recuperato da maggiori entrate o da un maggiore indebitamento, che all’interno della cornice dell’eurozona rappresenta un reale problema. E infatti al presente punto si recita “con piena copertura da realizzarsi attraverso il taglio degli sconti fiscali”, quindi si permane nel paradosso macroeconomico del dare più soldi con una mano e levarli con l’altra.
– “No alle politiche di austerità, No alle regolamentazioni eccessive che ostacolano lo sviluppo, Revisione dei trattati europei, Più politica, meno burocrazia in Europa, Riduzione del surplus dei versamenti annuali italiani al bilancio UE, Prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitario, sul modello tedesco (recupero di sovranità), Tutela in ogni sede degli interessi italiani a partire dalla sicurezza del risparmio e della tutela del Made in Italy, con particolare riguardo alle tipicità delle produzioni agricole e dell’agroalimentare”.
Anche qui si permane piuttosto sul vago da una parte, mentre dall’altra non si ha il coraggio di opporsi pienamente ad un sistema criminale (quello europeo ed in particolare dell’eurozona) che sta uccidendo la nostra economia e il nostro benessere sociale, parlando genericamente di “riformare i trattati” e non di stracciarli, come appunto si dovrebbe fare considerando la realtà politica di questa Europa (vedi anche qui e qui).
Non si parla ad esempio in modo esplicito di ritorno alla sovranità monetaria, che rappresenta de facto l’unica soluzione concreta per poter difendere in primis l’interesse del nostro paese, spendendo a deficit nell’economia reale per tutelare la domanda, gli investimenti, l’occupazione e il benessere della nostra popolazione.
– “Azzeramento della legge Fornero e nuova riforma previdenziale economicamente e socialmente sostenibile”.
Unico punto sul quale probabilmente Matteo Salvini è riuscito a strappare una concessione da Berlusconi, nonostante le idee dei due permangano alquanto diverse, su questo come su altri temi (vedi qui e qui).
Da sottolineare tuttavia quell’”economicamente sostenibile”, che denota l’incomprensione di fondo che esiste anche nel centro-destra circa la reale funzione di spesa a deficit di uno stato sovrano della sua moneta, che mai deve pensare a “far cassa”, ma soltanto alle reali necessità della sua popolazione (sul tema pensioni vedi anche qui).
Destra, Sinistra, Altri.
Tra gli altri partiti minori candidati alle elezioni ricordiamo quello di Emma Bonino che si presenterà con simbolo “Più Europa” e che rappresenta senz’altro la scelta peggiore per chi è interessato a concetti fondamentali in democrazia quali la difesa dell’autodeterminazione dei popoli e il contrasto alle politiche neoliberiste che vogliono ridurre al minimo il ruolo dello stato, eliminando ad esempio la sua capacità di intervenire nell’economia con la spesa a deficit.
Nel programma (vedi qui) si parla infatti di procedere verso un’unica nazione federale europea (che la loro propaganda definisce in forma “leggera”) dotata di un suo esercito più potente degli eserciti nazionali (cioè la distruzione totale delle attuali nazioni con annessa l’autodeterminazione dei loro popoli), di un bilancio europeo miserrimo (4-5% del PIL) e si definisce addirittura stucchevole la polemica anti-austerità affermando che l’economia europea e italiana vada bene (vedi qui). D’altronde per rendersi ben conto dell’ignoranza (o più facilmente della malafede, date le sue affiliazioni) del leader Emma Bonino, basta leggere questo articolo. Citiamo la seguente frase: “La prima cosa che fa una famiglia responsabile che si è troppo indebitata è, se non ridurre le proprie spese, perlomeno evitare di aumentarle ancora. E questo deve fare la famiglia Italia. La legge Fornero va lasciata così”. Per capire invece l’importanza fondamentale della spesa pubblica, rimandiamo a questo nostro articolo.
Veniamo ora alle posizioni di Liberi e Uguali, il partito nato dalla scissione dei cosiddetti dissidenti interni del Partito Democratico.
“La nostra è una scelta chiaramente europeista ma vogliamo combattere la deriva tecnocratica che ha preso l’Europa restituendo respiro alla visione di un solo popolo europeo. Vogliamo un’Europa più giusta, più democratica e solidale. Occorre superare la dimensione intergovernativa che detta i doveri e non garantisce i diritti con politiche di dura austerità. Vogliamo dare maggiore ruolo al Parlamento europeo che elegga un vero governo delle cittadine e dei cittadini europei affinché possano tornare ad abitare la loro casa.”
Anche in questo caso, come già visto nel programma del PD, si confermano quindi le tendenze eversive volte a promuovere la costituzione di fatto di un’unica nazione europea e addirittura di un solo popolo, in barba ai principi della Costituzione Italianache parlano di limitazioni e non di cessioni di sovranità e per il solo fine di garantire la pace e la giustizia tra le nazioni, non di distruggere le stesse. Scorrettissima anche l’affermazione secondo la quale la “deriva tecnocratica” dell’Europa sarebbe una cosa recente, quando invece è sempre stato il metodo di governo insito fin dalle origini. Basti pensare che la CECA (la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, da cui ebbe poi origine la Comunità Europea), già includeva in sé l’assetto istituzionali attuale, con un’Alta Autorità alla quale spettavano i poteri deliberativi e i cui membri non erano eletti direttamente dai cittadini (l’embrione da cui trae origine l’attuale Commissione Europea, vedi qui).
Comunque anche in questo caso nessun richiamo esplicito alla spesa a deficit per attuare manovre anticicliche, mentre anche nel capitolo sociale troviamo vari buoni (ma non coraggiosi) propositi generici e comunque impossibili da attuare all’interno della cornice dell’UE e dell’Eurozona.
Riportiamo ad esempio questo passo, nel quale si testimonia la non volontà di annullare le forme di lavoro precarie:
“La nostra proposta è tornare a considerare il contratto a tempo indeterminato a piene tutele, con il ripristino dell’art.18 (che oggi continua a valere solo per gli assunti prima del Jobs Act e per i dipendenti pubblici), come la forma prevalente di assunzione. Ad esso possono affiancarsi il contratto a tempo determinato e il lavoro in somministrazione, esclusivamente con il ripristino della causale, che giustifichi la necessità di un’assunzione a scadenza.”
Da sottolineare infine la presenza dentro questo partito di quelli che sono tra i maggiori artefici e sostenitori del sistema eurozona e delle politiche neoliberiste promosse dall’UE, tra i quali sono degni di menzione Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani.
E alla fine, due sorprese.
Nel programma del Partito Comunista di Marco Rizzo si legge quanto segue:
“uscita dell’Italia dall’Unione Europea e dalla Unione Monetaria Europea (sistema dell’euro), ripristino della sovranità politica e economica (commerciale e monetaria) al fine di sviluppare tutte le potenzialità di sviluppo del nostro paese, per non sprofondare ulteriormente nell’indebitamento e nella recessione”.
Una posizione quindi molto coraggiosa ed interessante per quanto riguarda l’ambito in cui si muove la nostra Associazione, anche se va sottolineata l’incomprensione di ciò che rappresenta in verità il debito pubblico, cosa che con sovranità monetaria non è mai un problema.
Per renderci conto di ciò, riportiamo i seguenti passi:
“L’indebitamento pubblico è stato uno degli strumenti principali con cui, nelle fasi di ripresa, il capitale ha sostenuto il tasso di profitto, attraverso politiche di sgravi fiscali e contributivi alle imprese, di agevolazioni creditizie, di finanziamenti di questo o quel settore industriale. I costi di questo “assistenzialismo” alla rovescia vengono oggi scaricati sulla classe operaia e sui lavoratori, che dovrebbero pagare il conto dell’arricchimento della borghesia. La crisi attuale non è quindi dovuta all’indebitamento pubblico, il quale è conseguenza dell’incapacità del capitale a riavviare il ciclo di riproduzione-accumulazione.”
Nel passo “dove prendere le risorse” si parla di nazionalizzazioni estese, di lotta all’evasione fiscale e alla corruzione e di abolizione di privilegi fiscali. Manca pertanto anche in questo caso la comprensione di cosa sia una moneta sovrana e del reale ruolo della tassazione (vedi qui).
Dedichiamoci infine al programma di Casa Pound, un partito nettamente di destra che ha messo in chiaro vari punti molto importanti quali l’uscita dall’euro, dall’Unione Europea, separazione tra banche commerciali e di investimento finanziario, cancellare il Pareggio di Bilancio dalla Costituzione per operare spese in deficit e pianificare crescita, sviluppo e ricchezza, abolizione del precariato, ricostituzione delle aziende di stato nei settori strategici e per la fornitura dei beni essenziali, sanità gratuita, aumento delle pensioni minime, sostegno alla scuola pubblica, difesa della Costituzione Italiana del 1948, con particolare riferimento all’articolo 46 (partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende), articoli 1, 4 e 35 (tutela del lavoro), articolo 36 (retribuzioni dignitose) e articolo 37 (parità di diritti e retribuzioni tra uomo e donna).
Significativi anche i richiami agli articoli 41, 42 e 43 “in cui si stabilisce che l’impresa economica privata e la proprietà privata devono avere un indirizzo di utilità sociale e in cui si prefigura la possibilità da parte dello Stato di espropriare imprese e monopoli che coincidono con un interesse pubblico generale”.
La domanda che a questo punto sorge legittima è: “quali tra le diverse opzioni in campo scegliere” ?
Il nostro obiettivo è quello di fornire al lettore le informazioni necessarie per poter scegliere in totale autonomia qual è la prospettiva migliore, tenendo conto che la scelta non si potrà basare solo su considerazioni di politica economica, perché ci sono altri temi molto importanti per il nostro vivere quotidiano e degni di dibattito, che tuttavia travalicano i limiti della nostra discussione.
A voi la scelta !
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