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Prima di parlare ancora della politica di austerity, vorrei dire al mio compagno (in tutti i sensi) Riccardo (Bellofiore, nda), che quello che ha detto sugli economisti di sinistra italiana è vero; in Francia forse non sono mai davvero esistiti degli economisti di sinistra. Sono esistiti solo alcuni ignoranti fautori della regulation, il loro unico scopo era però quello di diventare consiglieri di Mitterrand.
Non si può più parlare nemmeno di social-liberismo qui in Francia, e temo che la Merkel sia persino più a sinistra di Francois Hollande.
Il neo-mercantilismo tedesco consente alla Germania di esportare beni di consumo ad alto contenuto tecnologico, e questa è un’eredità del regime nazista. La politica di infrastrutture e piena occupazione di Adolf Hitler, di cui si sente spesso parlare, non è mai esistita: ciò era invece un’eredità delle riforme promosse durante la Repubblica di Weimar.
A partire dal 1933, i tre quarti della crescita economica tedesca erano inerenti agli ordini militari fatti dallo Stato. Questo spiega anche la volontà di valorizzare il programma volto a creare questo grande impero tedesco, che doveva estendersi fino agli Urali. Alla fine del 1944 le aziende tedesche disponevano di utili giganteschi riciclati in Svizzera. Il ministro Albert Speer, fanatico nazista, dette alle aziende tedesche la possibilità di specializzarsi in tecniche e prodotti ad altissimo livello tecnologico. È da li che prende origine questo grande vantaggio dell’export tedesco, nell’ambito dell’export di beni infrastrutturali.
Nel libro di Adam Tooze “The Wages of Destruction”, un intero capitolo è dedicato alla questione dei profitti dell’economia tedesca. Un articolo del 1943 parla delle Economics of the Final Solution, è stato scritto dal Presidente dell’Associazione degli economisti tedeschi, che mantenne il suo posto di lavoro anche dopo la caduta del regime: in esso vi sono considerazioni tremende, si riuscivano addirittura a stimare il numero di slavi da sterminare per far crescere l’impero tedesco ed aumentare il tasso di profitto tedesco.
Gli ultimi punti per inquadrare la crisi dell’Eurozona:
ñ  Il principale fornitore di valuta estera per il regime nazista era la Banca di Francia. Annie Lacroix-Riz a pag. 224 del suo libro, spiega che ciò si evince dalla lettura degli archivi della Banca di Francia, mentre il Front Populaire aveva appena ipotizzato un programma di riforma sociale. Il governatore della Banca di Francia aveva imposto di non concedere nemmeno un franco ai socialisti, ma di fornire credito illimitato per la Reichsbank.
ñ  Nel 1945, il partito Comunista, anche se ancora abbastanza stalinista, impone le riforme sociali e il generale De Gaulle crea la previdenza sociale (non per bontà d’animo, ma per timore della rivoluzione). I democristiani tedeschi invocano la co-gestione perché la classe operaia, schiacciata dal regime nazista, rinasce. Si assiste ad un aumento dei salari, della messa in atto di riforme sociali e di spesa pubblica, e di aumento del numero degli iscritti: e parallelamente ricompare l’idea di Europa.
L’idea di Europa appare in Francia tra gli anni ‘30 e ‘40. Perroux, Jean Monnet, Robert Schumann ne sono i principali architetti. In alcuni testi si fa riferimento a ciò: Daniel Lindenberg – “Gli anni sotterranei”, e Bernard Bruneteau, 2003, “La nuova Europa di Adolf Hitler, la nascita dell’ideologia europea” (non tradotti in italiano).
Perroux è un personaggio assolutamente cruciale: studia a Vienna accanto ad Hayek, odiando invece Keynes. Nel 1944 viene ripubblicata una sua opera completa, “Generalizzazione della TG”, una infamia accademica che però segnerà profondamente Jacques Attali. Perroux scrisse di Keynes: “Egli non è un economista serio, è omosessuale e non capisce nulla della scienza vera”; era intimo amico di Papa Pacelli, odiava la Repubblica e la democrazia e voleva creare una società che avrebbe resuscitato l’Ancièn Regime.
Nel libro di Lindenberg, si dice che Perroux accusasse Hitler e i nazisti di essere troppo socialisti e moderni. Per Perroux, come ogni regime progressista, perirà: nel nuovo ordine europeo regnerà la Francia.
C’è una altro testo importante, articolo del dicembre 1943 nella rivista appoggiata da Petain dal titolo“Rivista dell’ordine economico”: l’articolo si chiama “La moneta nell’economia europea organizzata”. In esso possiamo riconoscere degli elementi fondamentali del Trattato di Maastricht e del Patto di crescita e di stabilità. Recita infatti che l’obiettivo è ridurre il ruolo dello Stato a solo strumento che imponga le leggi di mercato, e quindi è necessario togliergli il monopolio della moneta. E Perroux aggiunge: grazie a questo progetto che realizzerà il futuro, il potere sarà esclusivamente nelle mani di un “Direttorato” fatto di saggi e tecnocrati, e la democrazia verrà abolita per sempre.
Dopo essere stato salvato in extremis dalle persecuzioni naziste, grazie al fatto che la vedova di un ministro di Blum si era innamorata di lui, diviene consigliere del generale De Gaulle, ed è chiamato a dirigere l’economia francese fino all’avvento di Mitterrand, quando compare sulla scena Attali, che si disfa di di lui.
Un secondo personaggio d’importanza cruciale è Robert Schumann. Nell’istituto di ricerca parigino, ci sono delle foto in cui Schumann è ritratto con Salazar, professore di economia e poi dittatore portoghese, in compagnia di Mussolini e Pio XII. Ci sono documenti in Vaticano al riguardo, ovviamente inaccessibili.
Alcuni discorsi possono essere consultati, come quelli conservati negli archivi dell’Azione Cattolica francese (che sarebbe diventata la Democrazia Cristiana in Francia, finanziata dal Comitee de Forge e dalla Banca di Francia). A pag. 259 del libro di Annie Lacroix-Riz, c’è una citazione di Schumann del 1945 presso l’assemblea dell’Azione Cattolica francese: “Bisogna abolire una volta per tutte alcune leggi infami che sono opera repubblicana: bisogna ristabilire la libertà religiosa e finirla con la Scuola laica, lo Stato laico, il potere dei massoni e degli istitutori di scuola”. I suoi sforzi sarebbero stati dedicati a realizzare la grande Europa futura, in questo senso.
In un libro anonimo chiamato “Pertinax”, citato da Annie Lacroix-Riz, che ella ha trovato grazie a James Galbraith presso la libreria del Congresso, e dalla biografia di Franklin Roosevelt scritta da Conrad Black, si legge che Jean Monnet, altro architetto dell’Unione Monetaria, contatta dapprima Roosevelt e poi Truman per convincerli di appoggiare il progetto europeo, attraverso il Cardinale di Chicago (presidente della Conferenza Episcopale Americana) e attraverso il Cardinale Spellman, Arcivesovo di NY. Gli americani si sono lasciati convincere, ma questa era solo prima fase del progetto, che sarà di fatto realizzato dal Partito Socialista nella persona di Francois Mitterrand.
Dalla relazione di Alain Parguez – Seminario Milano maggio 2012:

L’Unione Europea è stata concepita prevalentemente dai francesi.
La crisi è stata organizzata e pianificata, ha dato origine al crollo dell’Eurozona; in questa situazione assistiamo allo sviluppo di economie emergenti durante il declino dell’Europa.
La Francia evidentemente non fornisce le cifre ufficiali, il governo non le comunica; i dati ufficiali sono menzogneri quanto quelli cinesi. Se teniamo conto di tutti i dati, possiamo toccare questi punti:

  • Il tasso effettivo di disoccupazione in Francia è più alto rispetto a quello del 1938. Il 50-60% della popolazione attiva è totalmente escluso da un lavoro normale; in questo dato terrificante, che lascia indifferente il governo e il Partito Socialista, dobbiamo contare i 7 milioni di lavoratori sottopagati, con reddito inferiore a 500 euro mensili, una retribuzione da carità. Le cifre tedesche sono simili: 40-50% di disoccupazione effettiva, 5 milioni di tedeschi costretti a vivere con bassi redditi.
  • A questo aggiungiamo che il tasso effettivo di inflazione si attesta sul 7-8% annuo in Francia e Germania: questi dati sono molto prudenziali, mentre il reddito reale percepito continua a crollare e deteriorarsi (di occupati e non). Il PIL cresce a livelli negativi, basandoci anche sulla definizione più convenzionale, circa da 3 o 4 anni.
  • La Grecia, la Spagna, il Portogallo, non esistono più in termini economici. Se raffrontiamo questi dati con quanto succede negli USA, vediamo che il tasso di disoccupazione effettivo è al massimo del 15%, il che è già normalmente alto, ma inferiore a quelli europei; il tasso di crescita è invece positivo, e si è innalzato grazie alle politiche di Obama. I picchi massimi di inflazione negli USA sono del 3 o 4 %.
  • L’Europa si sta completamente sgretolando. I dirigenti europei a livello nazionale e sovranazionale parlano solo di un’unica questione: i bilanci delle banche. Essi registrano utili mai conseguiti fino ad oggi; si parla di fallimenti mentre va detto che gli asset di cui esse dispongono contemplano il debito pubblico solo per il 5 o 6 %. Ancora più significativo il fatto che, all’epoca dello standard aureo pre-1914, tutti i grandi Stati erano costantemente in disavanzo.
  • Tra il 1815 e il 1914, sia in termini assoluti che relativi sul reddito nazionale, il debito pubblico non mai ha smesso di aumentare. Un importante banchiere dell’epoca, Morgan, disse che il debito pubblico è oro, perché produce reddito. Il 70% del bilancio italiano viene finanziato dalla vendita di titoli pubblici a banche franco-tedesche.
  • Il risultato di tutto ciò è stata la costruzione delle ferrovie ovunque in Europa, di strade ed arterie di comunicazione, lo sviluppo dell’insegnamento pubblico e gratuito in Francia e Germania: potremmo dire, la socializzazione crescente dell’economia. Marx stesso riconosce che l’industrializzazione della Francia si è basata sul debito pubblico: ed anche la creazione dei canali di Suez e Panama vennero finanziati da debiti pubblici.
    Ma Leon Walras, il fondatore dell’economia pura, sosteneva che l’aumento del debito pubblico potesse mettere a repentaglio l’ordine sociale. Walras, in studi di economia applicata, sosteneva che l’equilibrio generale può essere raggiunto soltanto attraverso l’ordine totalitario, e l’abolizione della democrazia. Gli USA gli facevano orrore, ed apparteneva alla Lega Antisemita: secondo lui tutti gli strumenti andavano utilizzati e messi in atto affinché gli Stati non fossero più al servizio del popolo. È proprio con Walras che ha inizio quel crimine economico di cui parla il mio eminente amico (Paolo Barnard, ndr).

Questo rapido quadro mi fa porre delle domande.
La prima è: Perchè l’Europa è in disastro economico-sociale e morale, a causa di politiche svolte dalla metà degli anni 70 (deflazione ed austerità, termine di connotazione cattolica che si rifà al linguaggio liturgico della Chiesa)? La metà di questi milioni di persone disoccupate sono costrette a vivere con redditi assimilabili alla carità: molti di questi giovani non sono istruiti e non verranno assunti né dal pubblico né dal privato.
La seconda domanda è: poiché l’economia reale è morta nell’Eurozona, perché dobbiamo mantenere in vita l’Euro? Coloro che dicono che l’uscita dall’euro porterebbe una catastrofe, non considerano che più in basso non potremmo cadere, perché la catastrofe è alle porte.
Quelle che vengono dette politiche d’austerità moderne, di cui i primi responsabili sono i regimi di Francois Mitterrand e di Jacques Attali, sono differenti da quelle deflazionistiche degli anni 30. Non a caso oggi riappare Hollande, una creatura di Attali e Mitterrand. La deflazione antica era di breve periodo, e si basava sulla compressione salariale: il calo dei salari reali avrebbe consentito la piena occupazione (secondo i classici). Nemmeno Pigou avrebbe ipotizzato una situazione come quella in cui ci troviamo oggi, una situazione completamente diversa.
I piani di deflazione sono stati avviati dal premier Attali nell’82, che torna oggi attraverso Hollande: Attali aveva sostenuto che l’aumento della disoccupazione verso un tasso fisiologico fosse indispensabile ad una società più razionale, diretta coloro che “meritano di dirigerla”. Attali diceva che Keynes era un economista britannico mondano e gay, e che il futuro “non sarebbe più appartenuto al popolo”. Attali sapeva che Mitterrand avrebbe ordinato che fossero espulsi gli omosessuali al Partito Socialista, sicuramente era un grande conservatore e poligamo.
Per quale motivo queste politiche di riduzione permanente del disavanzo hanno rovinato tutto? Il capitalismo francese e tedesco era sempre stato basato sulla spesa pubblica, mai vi era stato al loro interno un movimento dinamico. Marx l’aveva notato e detto apertamente in una lettera a Lincoln: “ripongo ogni mia speranza negli USA”.
Vi fornirò 2 esempi:
1) Tratto dal libro di una storica francese Annie Lacroix-Riz che si chiama “La scelta disfattista: le élite francesi tra le due guerre”. La redattrice si è basata su archivi di banca di Francia e ministero degli Esteri francesi. A pag. 344 troviamo una citazione del comitato delle fucine (trust delle acciaierie): “Non ci sarà nessun limite alla riduzione degli stipendi. La riduzione degli stipendi ridurrà la domanda, ma è quello che vogliamo.”
2) Così invece Jacques Rueff, consigliere di Petain e maestro di Attali: “Lo scopo della politica è quello di sottrarre ogni potere alla plebe, ovvero a tutta questa gentaglia che non ha diritto ad averlo, perchè non sa assolutamente niente”.
Dalla relazione di Alain Parguez – Seminario Milano maggio 2012:

 

L’austerità di per sé «sarebbe sicuramente un disastro» e «le conseguenze nel breve termine saranno molto negative per l’Europa» dice il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz per il quale è impossibile che tutto il Continente possa diventare come la Germania. Ma è il modello economico globale che non funziona: «Non importa se poche persone al vertice sono strapagate – quando la maggioranza dei cittadini non si è arricchita, il sistema economico non funziona».
Le politiche di recessione ci stanno portando verso una doppia recessione, mette in guardia l’economista statunitense Joseph Stiglitz. Si è incontrato con il giornale tedesco The European, partner de Linkiesta, per discutere il nuovo pensiero economico e l’influenza del denaro nella politica.
The European: Quattro anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, si sente rassicurato dal modo in cui gli economisti hanno provato a comprenderla, e dal modo in cui le loro analisi sono state recepite dai politici?
Stiglitz: Mi lasci analizzare questo tema in modo leggermente diverso. Gli economisti accademici hanno giocato un ruolo importante nel causare la crisi. I loro modelli erano eccessivamente semplificati, distorti, e trascuravano gli aspetti più importanti. Questi modelli sbagliati hanno incoraggiato i politici a credere che il mercato avrebbe risolto tutti i problemi. Prima della crisi, se io fossi stato un economista di strette vedute, sarei stato molto compiaciuto dal vedere quanto impatto avessero gli accademici sulla politica. Ma sfortunatamente questo è stato un danno per il mondo. Dopo la crisi avresti sperato che il pensiero accademico fosse cambiato, e che i politici fossero cambiati con esso, diventando più scettici e cauti. Ti saresti aspettato che, dopo tutte le previsioni sbagliate del passato, i politici avrebbero chiesto agli accademici di ripensare alle loro teorie. In generale sono deluso sotto tutti i punti di vista.
The European: gli economisti hanno visto i difetti dei loro modelli teorici ma non hanno provveduto a liberarsene o a migliorarli?
Stiglitz: nel mondo accademico, quelli che credevano nel libero mercato prima della crisi ci credono ancora. Pochi hanno cambiato idea, e voglio riconoscergli il merito di avere detto: “Ci eravamo sbagliati. Avevamo sottostimato questo o quell’aspetto dei nostri modelli”. Ma i più hanno dato una risposta differente. I sostenitori del libero mercato non hanno rivisto i propri convincimenti.
The European: Guardiamo al lungo periodo. Lei pensa che la crisi avrà effetti sulle future generazioni di economisti e politici, ad esempio cambiando il modo di pensare ai fondamenti dell’economia?
Stiglitz: Io penso che sia in atto un reale cambiamento tra i giovani. I miei studenti giovani, in stragrande maggioranza, non capiscono come le persone abbiano potuto riporre fiducia nei vecchi modelli. Questo è un bene. Ma d’altro canto, molti di loro dicono che se vuoi diventare un economista, devi ancora avere a che fare coi “vecchi” convinti delle loro teorie sbagliate, che insegnano tali teorie, e si aspettano che tu le condivida. Così i giovani decidono di non entrare in quelle branche dell’economia. Ma ciò che mi ha ancora più deluso è la politica americana. Ben Bernanke fa un discorso e sostiene che non c’è niente di sbagliato nella teoria economica, i problemi sono solo alcuni dettagli in fase di attuazione. In realtà ci sono molti errori nella teoria e nell’ossatura di base delle politiche che da essa sono state derivate. Ma se nella tua mentalità non c’è niente che non vada, non chiederai nuovi modelli. Questa è una grande delusione.
The European: Sembra che ci fosse del disaccordo tra i consiglieri economici di Obama circa il modo migliore di agire. E in Europa, principi economici fondamentali come l’attenzione smodata alla crescita del Pil, sono finalmente sotto attacco.
Stiglitz: Alcuni politici americani hanno riconosciuto il pericolo del principio “troppo grande per fallire”, ma sono una minoranza. In Europa, le cose vanno un po’ meglio da un punto di vista del dibattito teorico. Economisti influenti, come Derek Turner e Mervyn King hanno riconosciuto che c’è qualcosa di sbagliato. La Commissione Vickers (in Inghilterra, ndr) ha riesaminato con attenzione le politiche economiche. Noi non abbiamo niente di simile negli Stati Uniti. In Germania e in Francia sono in discussione la tassa sulle transazioni finanziarie e i limiti alle remunerazioni dei vertici aziendali. Sarkozy dice che il capitalismo non ha funzionato, Merkel che siamo stati salvati dal modello sociale europeo – e sono entrambi politici conservatori! I banchieri questo non lo capiscono, il che spiega perché ancora vediamo il vertice della Banca Centrale Europa, Mario Draghi, spiegare che si deve rinunciare al sistema di welfare mentre la Merkel sostiene l’esatto opposto: che il modello sociale ci sta salvando dopo che le banche centrali hanno fallito nel fare il loro ruolo di regolatori e hanno usato le loro politiche per cambiare la natura delle nostre società.
The European: Le sue convinzioni personali come sono state influenzate dalla crisi?
Stiglitz: Non penso che ci sia stato un cambiamento fondamentale nel mio pensiero. La crisi ha rafforzato alcune cose che dicevo in precedenza e mi ha mostrato quanto fossero importanti. Nel 2003 scrissi riguardo ai rischi dell’interdipendenza, là dove il collasso di una banca può portare al collasso di altre banche e aumentare la fragilità di tutto il sistema bancario. Io sapevo che era importante, ma l’idea non ebbe successo all’epoca. Lo stesso anno analizzammo il problema dei conflitti di interesse nella finanza. Solo ora vediamo quanto fossero importanti quei problemi. Io sostenevo che il vero problema nell’economia monetaria è il credito, non le scorte di moneta. Ora tutti ammettono che è stato il collasso del sistema di credito a far cadere le banche. Insomma, la crisi ha confermato e rinforzato molti aspetti delle teorie che avevo esplorato in precedenza. Un argomento che ora considero molto più importante di quanto non facessi in passato è la questione degli interventi e il ruolo dei sistemi di cambio, come l’euro, nel prevenire interventi economici. Un problema collegato è il legame tra interventi strutturali e attività macroeconomica. Gli sviluppi della crisi mi hanno portato a pensare maggiormente a questi temi.
The European: La tassa sulle transazioni finanziarie sembra essere morta di una morte politica in Europa. Ora le politiche economiche europee sembrano ampiamente dominate dalla logica dell’austerità, e dal costringere gli altri Paesi europei a diventare più simili alla Germania.
Stiglitz: l’austerità di per sé sarebbe sicuramente un disastro. Sta portando a una doppia recessione che potrebbe essere abbastanza grave. Probabilmente peggiorerà la crisi dell’euro. Le conseguenze nel breve termine saranno molto negative per l’Europa. Ma il problema più ampio riguardo il “modello tedesco”. Ci sono diversi aspetti – tra questo il modello sociale – che consentono alla Germania di superare una forte caduta del Pil offrendo alti livelli di protezione sociale. Il modello tedesco dei corsi di formazione professionale è molto efficace. Ma ci sono altre caratteristiche che non sono altrettanto positive. La Germania ha un’economia basata sulle esportazioni, ma questo non può valere per altri Paesi. Se alcuni Stati hanno dei surplus nelle esportazioni, costringono altri Stati ad avere dei deficit nelle esportazioni. La Germania ha adottato delle politiche che gli altri Stati non possono imitare, e ha provato ad applicarle all’Europa in un modo che incrementa i problemi europei. Il fatto che alcuni aspetti del modello tedesco siano buoni non significa che tutti i suoi aspetti possano essere applicati in giro per l’Europa.
The European: E non significa che la crescita economica soddisfi i criteri di equità sociale.
Stiglitz: Sì, c’è un altro elemento che bisogna prendere in considerazione. Cosa sta succedendo alla maggior parte dei cittadini in ogni nazione? Se si guarda all’America, si deve ammettere che abbiamo fallito. La maggior parte degli americani oggi è più povera di 15 anni fa. Un lavoratore a tempo pieno negli Usa è più povero oggi che 44 anni fa. Questo è sbalorditivo – mezzo secolo di stagnazione. Il sistema economico non è distributivo. Non importa se poche persone al vertice sono strapagate – quando la maggioranza dei cittadini non si è arricchita, il sistema economico non funziona. Dobbiamo chiederci se il sistema tedesco sia distributivo o meno. Non ho studiato tutti i dati, ma la mia impressione è che non lo sia.
The European: Cosa risponderebbe a chi ragionasse così: I cambiamenti demografici e la fine dell’età industriale hanno reso il welfare state insostenibile da un punto di vista finanziario. Non possiamo sperare di abbattere il debito senza ridurre i costi del welfare nel lungo termine.
Stiglitz: Che è un’assurdità. La domanda di protezione sociale non ha nulla a che fare con la struttura della produzione. Ha a che fare con la coesione sociale o la solidarietà. Questo è il motivo per cui sono così critico con la tesi di Draghi alla Bce, per cui la protezione sociale andrebbe smantellata. Non ci sono basi su cui fondare un simile ragionamento. Gli Stati che meglio stanno facendo in Europa sono quelli scandinavi. La Danimarca è differente dalla Svezia, che è differente dalla Norvegia – ma tutti hanno una forte protezione sociale e tutti stanno crescendo. La tesi per cui la risposta alla crisi attuale passa da un allenamento della protezione sociale è davvero un argomento dell1% che dice; “Dobbiamo prendere una fetta più grossa della torta”. Ma se la maggioranza delle persone non trae benefici dalla torta dell’economia, il sistema è fallimentare. Io non voglio più parlare del Pil, voglio parlare di quel che sta succedendo alla maggioranza dei cittadini.
The European: la sinistra è in grado di articolare queste critiche?
Stiglitz: Paul Krugman è stato molto duro nell’articolare le critiche alle tesi pro-austerità. L’attacco più forte è stato fatto, ma non sono sicuro che sia stato pienamente recepito. La domanda problematica ora è come valutare un sistema economico. Non è ancora stata articolata appieno, ma penso che vinceremo questa battaglia. Anche la destra sta iniziando ad essere d’accordo sul fatto che il Pil non sia un buon misuratore del progresso economico. La nozione di benessere della maggioranza dei cittadini è per lo più una stupidata.
The European: Mi sembra che il grosso della discussione sia ancora incentrato sulle misurazioni statistiche – se non misuriamo il Pil, stiamo misurando qualcos’altro, come la felicità o le differenze di reddito. Ma c’è un elemento, stando a queste discussioni, che non può essere posto in termini numerici – qualcosa riguardo i valori che implicitamente inseriamo nel nostro sistema economico?
Stiglitz: Nel lungo termine, dovremo avere queste discussioni etiche. Ma io parto da una base molto più limitata. Sappiamo che il reddito non rispecchia molte cose a cui attribuiamo valore. Ma anche con un indicatore imperfetto come il reddito, dovrebbe comunque importarci di quel che succede alla maggioranza dei cittadini. È bello che Bill Gates se la passi bene. Ma se tutti i soldi sono andati a Bill Gates, non si può pensare che il sistema sia efficace.
The European: Se la sinistra non è stata in grado di articolare fino in fondo questa idea, la società civile è in grado di colmare la lacuna?
Stiglitz: Sì, il movimento Occupy è stato molto efficace nel portare queste idee nel cuore della discussione politica. Ho scritto un articolo per Vanity Fair nel 2011 – “Of the 1%, by the 1%, for the 1%” – che ha davvero coinvolto personalmente molte persone, perché parlava delle nostre inquietudini. Le proteste come quella di Occupy Wall Street sono efficaci solo quando portano allo scoperto queste preoccupazioni condivise. C’era un articolo che descriveva le tattiche ruvide della politica a Oakland. Avevano intervistato molte persone, inclusi ufficiali di polizia che dicevano: “Sono d’accordo coi manifestanti”. Se chiedevi alle persone cosa pensassero del messaggio di Occupy, la schiacciante maggioranza delle risposte era di supporto, e la maggior preoccupazione che il movimento Occupy non fosse abbastanza efficace nel farlo circolare.
The European: Come possiamo passare dal parlare dell’ineguaglianza economica a un cambiamento tangibile? Come lei ha detto in precedenza, lo studio teorico dei problemi economici spesso non si è tradotta in politiche concrete.
Stiglitz: Se le mie previsioni sulle conseguenze dell’austerità sono corrette, si vedrà una nuova ondata di movimenti di protesta. Abbiamo avuto la crisi nel 2008. Siamo adesso nel quinto anno della crisi, e non l’abbiamo ancora risolta. Non c’è nemmeno una luce infondo al tunnel. Quando si arriva a una tale conclusione, il discorso è destinato a cambiare.
The European: la situazione deve peggiorare drasticamente prima di migliorare?
Stiglitz: Temo di sì.
The European: Lei di recente ha scritto della “irreversibile decadenza” del Midwest americano. Questa crisi è un segno che gli Stati Uniti hanno iniziato un declino economico irreversibile, anche se nel frattempo consideriamo il Paese un potente attore politico?
Stiglitz: stiamo affrontando una transizione molto complicate da un’economia manifatturiera ad una dei servizi. Abbiamo fallito nel gestire la transizione dolcemente. Se non correggiamo l’errore, pagheremo un prezzo molto alto. Già ora l’americano medio sta soffrendo per la fallita transizione. La mia preoccupazione è che ci siamo infilati in un’economia ostile e in una politica ostile. Molta diseguaglianza in America è causata dalle rendite di posizione: monopoli, spesa militare, approvvigionamenti, industrie minerarie, farmaci. Abbiamo alcuni settori economici che vanno molto bene, ma abbiamo anche molti parassiti. La visione ottimistica è che l’economia può tornare a crescere se ci liberiamo dei parassiti e ci concentriamo sui settori produttivi. Ma in ogni malattia c’è sempre il rischio che i parassiti divorino le parti sane del corpi. Non si sa ancora come andrà a finire.
The European: Abbiamo almeno compreso la malattia abbastanza bene da prescrivere una corretta terapia? Specialmente riguardo alle politiche e alla crisi dell’euro, la sensazione è che si stia brancolando nel buio.
Stiglitz: Penso che il problema non sia una mancanza di comprensione da parte di freddi scienziati sociali. Conosciamo il dilemma di base, e sappiamo quali sono gli effetti delle campagne di raccolta fondi sui politici. Quindi ci troviamo di fronte a un circolo vizioso: siccome i soldi sono importanti in politica, questo porta al risultato che i soldi sono importanti anche nella società, il che aumenta l’importanza dei soldi in politica. Si hanno più brogli e disillusioni con la politica parlamentare.
The European: I politici sono diventati troppo concentrati sui risultati e non sono abbastanza sensibili ai processi che hanno portato a quei risultati? La pietra angolare della democrazia sembra essere la partecipazione, non l’efficacia di questa o quella politica.
Stiglitz: Mettiamola così. Alcuni ci criticano dicendo che ci siamo concentrati eccessivamente sulle ineguaglianze e al contrario non siamo abbastanza preoccupati per le opportunità. Ma negli Stati Uniti siamo sia la nazione con le più grandi diseguaglianze, sia quella con le maggiori opportunità. La maggior parte degli americani capisce che le scorrettezze nei procedimenti politici si traducono in scorrettezza nei loro esiti. Ma non sappiamo come spezzare questo sistema. La nostra Corte Suprema è stata nominata da interessi economici e – senza sorprese – la conclusione è che gli interessi economici hanno una influenza illimitata sulla politica. In poche parole, l’influenza del denaro aumenta sempre di più, con conseguenze negative per l’economia e la società.
The European: Da dove può partire il cambiamento? Dal parlamento? Dalle università? Dalle strade?
Stiglitz: Può partire sia dalle strade, ma anche da una piccola parte del mondo accademico. Quando dico che il comportamento più diffuso nelle professioni economiche mi ha deluso, bisogna specificare meglio questo pensiero. Devo dire che ci sono stati anche gruppi che hanno fatto valere il nuovo pensiero economico e il cambiamento sui vecchi modelli.
The European: Ha scritto che cambiamento significa rispondere alle cattive idee non con il rifiuto ma con idee migliori. Su che cosa si può fare leva per portare il nuovo pensiero economico nel regno della politica?
Stiglitz: La diagnosi è che la politica è alla radice del problema, ovvero il posto in cui le regole del gioco vengono stabilite, quello in cui noi decidiamo sulle politiche che favoriscono i ricchi e che hanno permesso alla finanza di accumulare potere economico e politico. Il primo passo è rappresentato dalle riforme politiche, a partire da una campagna di cambiamento delle leggi della finanza. Bisogna far sì che la finanza diventi più semplice per gli elettori – soprattutto se si pensa, ad esempio, che in Australia il voto è obbligatorio. Bisogna occuparsi del problema dei brogli elettorali, che fanno sì che il tuo voto non conti. Se il voto non conta, questo significa che gli interessi monetari stanno imponendo la loro agenda. Occorre metter fine all’ostruzionismo, che è passato dall’essere una tattica parlamentare raramente usata a un comportamento regolare della politica. L’ostruzionismo toglie potere agli americani. Persino se hai un voto maggioritario, non puoi vincere.
The European: Stiamo assistendo a sei mesi di campagna presidenziale. Il ruolo del denaro è stato abbracciato da entrambi i partiti. La campagna di riforma della finanza di cui parla sembra difficile da attuarsi.
Stiglitz: Persino i Repubblicani sono diventati più attenti al potere del denaro, osservando come questo sia stato in grado di influenzare e distorcere le primarie. I risultati non sono quelli che il partito repubblicano si aspettava. Il disastro sta diventando sempre più chiaro e non ci saranno rimedi semplici e immediati. La vittoria di qualcuno dipenderà dal denaro. Occorre un terzo partito forte o una società civile solida che possa fare le riforme.
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FONTE: http://www.linkiesta.it/stiglitz

Sabato scorso il Times ha riferito su un fenomeno apparentemente in crescita in Europa: “il suicidio da crisi economica”, persone che perdono la vita per disperazione dovuta a disoccupazione e fallimento. E’ una storia straziante. Ma sono sicuro che non sono stato l’unico lettore, in particolare tra gli economisti, a chiedersi se la storia più grande non riguardi tanto i singoli individui quanto la determinazione apparente dei leaders Europei a un suicidio economico del continente nel suo complesso.
Solo pochi mesi fa avevo qualche speranza per l’Europa. Vi ricorderete che alla fine dello scorso autunno l’Europa sembrava essere sull’orlo del tracollo finanziario, ma la Banca Centrale Europea, la controparte Europea della Fed, è venuta in soccorso del continente. Ha offerto alle banche Europee linee di credito aperte, se portavano a garanzia i bonds dei governi Europei; questo ha sostenuto direttamente le banche ed indirettamente i governi, ed ha messo fine al panico.
La domanda allora era se questa azione coraggiosa e efficace rappresentava l’inizio di un ripensamento più ampio, se i leaders Europei avrebbero utilizzato questo respiro concesso dalla banca per riconsiderare in primo luogo le questioni politiche che avevano portato la situazione a precipitare.
Ma non l’hanno fatto. Invece, hanno raddoppiato le loro idee e politiche fallimentari. E sta diventando sempre più difficile credere che qualcosa li possa indurre a cambiare rotta.
Si consideri la situazione in Spagna, che ora è l’epicentro della crisi. Non si parla di recessione, la Spagna è in piena depressione, con un tasso di disoccupazione globale al 23,6 per cento, paragonabile all’America nel fondo della Grande Depressione, e il tasso di disoccupazione giovanile superiore al 50 per cento. Non può andare avanti – e il segno che non può andare avanti è che i rendimenti dei bonds spagnoli crescono.
In un certo senso, non importa come la Spagna sia arrivata a questo punto – ma per quello che vale, la storia Spagnola non ha alcuna somiglianza con le storielle morali così popolari tra i funzionari Europei, soprattutto in Germania. La Spagna non era fiscalmente in disordine – alla vigilia della crisi aveva un basso debito e un avanzo di bilancio. Purtroppo, aveva anche una enorme bolla immobiliare, una bolla resa possibile in gran parte dagli enormi prestiti delle banche Tedesche alle loro controparti Spagnole. Quando la bolla è scoppiata, l’economia Spagnola è stata lasciata a bocca asciutta; i problemi fiscali della Spagna sono una conseguenza della depressione, non la causa.
Tuttavia, la prescrizione proveniente da Berlino e Francoforte, sì, avete indovinato, è una maggiore austerità fiscale.
Questo è, per non usare mezzi termini, una cosa folle. L’Europa ha avuto diversi anni di esperienza con duri programmi di austerità, ed i risultati sono esattamente ciò che gli studiosi di storia avevano detto che sarebbe successo: questi programmi spingono le economie depresse ancor più nella depressione. E perché gli investitori guardano allo stato dell’economia di un paese nel valutare la sua capacità di ripagare il debito, i programmi di austerità non hanno nemmeno funzionato come modo per ridurre gli oneri finanziari.
Qual è l’alternativa? Ebbene, negli anni ’30 – un’era che l’Europa moderna sta iniziando a replicare in maniera sempre più fedele – la condizione essenziale per il recupero era l’uscita dal gold standard. La mossa equivalente adesso sarebbe l’uscita dall’euro, e il ritorno alle valute nazionali. Direte che questo è inconcepibile, e davvero sarebbe un evento estremamente distruttivo, sia economicamente che politicamente. Ma, proseguire sulla strada attuale, imponendo sempre più severe austerità a dei paesi che stanno già soffrendo una disoccupazione da grande depressione, è questo che è veramente inconcepibile.
Quindi, se i leaders Europei volessero davvero salvare l’euro sarebbero alla ricerca di un percorso alternativo. E questa alternativa è in realtà abbastanza chiara. Il continente ha bisogno di politiche monetarie più espansive, sotto forma di una volontà – una volontà annunciata – da parte della Banca Centrale Europea di accettare un’inflazione leggermente più elevata; ha bisogno di politiche fiscali più espansive, sotto forma di programmi di bilancio in Germania, che compensino l’austerità in Spagna e nelle altre nazioni in difficoltà nella periferia del continente, piuttosto che rafforzarla. Anche con tali politiche, le nazioni periferiche si troverebbero ad affrontare anni di tempi duri. Ma almeno ci sarebbe qualche speranza di ripresa.
Quello che stiamo vedendo in realtà, tuttavia, è completa mancanza di flessibilità. Nel mese di marzo, i leaders Europei hanno firmato un patto fiscale che in effetti vincola all’austerità fiscale come la risposta a qualsiasi e tutti i problemi. Nel frattempo, i principali funzionari presso la banca centrale stanno a sottolineare la volontà della banca di alzare i tassi al minimo accenno di rialzo dell’inflazione.
Quindi è difficile evitare un senso di disperazione. Piuttosto che ammettere che hanno sbagliato, i leaders Europei sembrano decisi a guidare la loro economia – e la loro società – verso una scogliera. E il mondo intero pagherà il prezzo.
Fonte: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10175
Versione originale:
Paul Krugman
Fonte: www.nytimes.com
Link: http://www.nytimes.com/2012/04/16/opinion/krugman-europes-economic-suicide.html?_r=1&hp
15.04.2012