A parte la necessità di vincere la guerra, non c’è sfida tanto importante – che la società odierna si trovi a dover affrontare – quanto quella dell’eliminazione dell’insicurezza economica.
Se falliamo in questo, dopo la guerra, la minaccia contingente al processo di civilizzazione democratica, tornerà di nuovo. È quindi essenziale che affrontiamo questo problema, nonostante esso implichi un’attenta analisi e provi qualcosa di contrario ai nostri preconcetti.
Negli anni recenti sono stati adeguatamente sviluppati i principi attraverso i quali un’appropriata azione di Governo è in grado di mantenere la prosperità, ma coloro che li hanno proposti non hanno considerato le loro logiche implicazioni o mostrato molta attenzione ad evitare che l’opinione pubblica facesse l’esercizio mentale necessario (alla loro comprensione, NDT).
È stato come un boomerang.
Molti dei nostri uomini pubblici – che hanno visto che il deficit di spesa in realtà funziona – ancora si oppongono al mantenimento della prosperità di lungo periodo permanente perchè – a causa del loro fallimento nell’osservare come tutto (il meccanismo ndt) opera – si sono facilmente spaventati per i fantasiosi racconti circa le sue terribili conseguenze.
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Come formulata da Halvin Hansen e da altri che l’hanno sviluppata e resa nota, la nuova teoria fiscale (che fu per la prima volta proposta in modo piuttosto completo da J.M. Keynes in Inghilterra) suona un po’ meno originale e assurda al nostro udito condizionato da preconcetti rispetto a quando è presentata nella sua forma più semplice e logica, con tutte le sue implicazioni non ortodosse espressamente formulate. In alcuni casi, una formulazione meno scioccante potrebbe essere intenzionale, come una tattica per attirare seria attenzione. In altri casi non è dovuta al desiderio di “indorare la pillola”, ma al fatto che gli stessi autori non hanno considerato tutte le implicazioni non ortodosse, forse inconsciamente compromesse dalla loro formazione ortodossa.
Ma ora sono questi compromessi a trovarsi “sotto tiro”. Ora – più che mai – è necessario presentare il teorema nella sua forma più pura. Solo allora sarà possibile chiarire la questione dalle obiezioni che, in realtà, dipendono dalle difficoltà che emergono solo nel momento in cui la nuova teoria è inserita forzatamente nel modello teorico tradizionale.
Fondamentalmente la nuova teoria, come quasi ogni scoperta importante, è estremamente semplice. In realtà, è proprio questa semplicità a renderla sospetta in quanto è considerata troppo facile dall’opinione comune.
Persino professori istruiti che trovano complicato abbandonare le radicate abitudini di pensiero – nel momento in cui non hanno potuto trovarvi difetti – hanno lamentato il fatto che essa sia “meramente logica”.
Il progresso fatto finora non è stato raggiunto semplificando la teoria, ma rivestendola di ridondanze per renderla più complicata e accompagnandola a statistiche d’effetto, ma irrilevanti.
L’idea centrale è che le politiche fiscali del Governo – la spesa pubblica e la tassazione, l’indebitamento e il rimborso dei prestiti, la emissione di nuova moneta o il prelievo di quella esistente –siano decisioni da adottare solo considerando le conseguenze che esse comportano sulla società e non facendo riferimento a teorie tradizionali su ciò che è sensato o non sensato.
Questo criterio di valutazione delle politiche – basato solo sui loro effetti – è stato applicato in molti altri campi dell’attività umana ed è conosciuto come il metodo della scienza, contrapposto allo scolasticismo. Il principio di valutare le misure di politica fiscale sulla base di come esse funzionano nell’economia possiamo chiamarlo Finanza Funzionale.
La prima responsabilità finanziaria di un Governo (poichè nessun altro può assumersi questa responsabilità) è mantenere il tasso di spesa totale del Paese in beni e servizi nè superiore nè inferiore al tasso al quale il Paese acquisterebbe – a prezzi correnti – tutti i beni che è possibile produrre.
Se si lascia che il tasso di spesa totale superi quest’ultimo, ci sarà inflazione; se si lascia che il tasso di spesa sia ad esso inferiore, ci sarà disoccupazione.
Il Governo può aumentare la spesa totale spendendo di più o riducendo le tasse in modo che i contribuenti possano avere a disposizione più moneta a disposizione da spendere.
Può invece ridurre la spesa totale spendendo meno o aumentando le tasse cosicchè i contribuenti abbiano meno moneta da spendere.
Attraverso questi strumenti la spesa totale può essere mantenuta al livello richiesto, livello sufficiente ad acquistare i beni che possono essere prodotti da tutti coloro che vogliono lavorare, e non abbastanza elevato da far sì che si determini inflazione poichè si domanda più di quanto può essere prodotto.
Applicando questa prima legge di Finanza Funzionale, il Governo può trovarsi a tassare, incassando più risorse di quante ne stia spendendo, o a spendere più di quanto riscuote mediante le tasse.
Nel primo caso può accantonare la differenza nelle sue riserve o usarla per ripagare parte del debito nazionale e, nel secondo, dovrebbe procurarsi la differenza indebitandosi o stampando moneta.
In nessun caso il Governo dovrebbe considerare che sia qualcosa di particolarmente giusto o sbagliato nel risultato ottenuto; esso dovrebbe semplicemente concentarsi nel mantenere del tasso di spesa totale nè troppo basso nè troppo alto, prevenendo – in tal modo – sia la disoccupazione sia l’inflazione.
Un interessante e per molti scioccante corollario è che la decisione di tassare non è mai presa semplicemente perchè il Governo ha bisogno di moneta per effettuare i pagamenti. Secondo i principi della Finanza Funzionale, la decisione di tassare deve essere valutata solo in base ai suoi effetti. I suoi principali effetti sono due: il contribuente ha meno moneta a disposizione da spendere e il Governo ne ha di più. Il secondo effetto può essere conseguito più facilmente stampando moneta per cui solo il primo effetto è significativo. La tassazione dovrebbe, di conseguenza, essere imposta solo quando è desiderabile che i contribuenti abbiano meno moneta da spendere, per esempio, quando essi altrimenti desidererebbero spendere tanto da causare inflazione.
La seconda legge della Finanza Funzionale afferma che il Governo dovrebbe prendere moneta in prestito solo se è desiderabile che il pubblico detenga meno moneta e più titoli di Stato, perchè questi sono gli effetti dell’indebitamento del Governo.
Questo potrebbe essere desiderabile nel momento in cui il tasso d’interesse si abbassasse troppo (per i tentativi da parte di coloro che detengono liquidità di concederla in prestito) e inducesse un eccessivo aumento degli investimenti, così da causare inflazione.
Al contrario, il Governo dovrebbe prestare moneta (o ripagare parte del suo debito) solo se è desiderabile aumentare la moneta in circolazione o ridurre la quantità di titoli di stato detenuti dal pubblico.
Quando le decisioni relative alla tassazione, alla spesa pubblica, all’indebitamento e alla concessione di prestiti (o al rimborso dei debiti) vengono prese sulla base dei principi della Finanza Funzionale, qualunque eccesso di spesa rispetto alle entrate – se non può essere soddisfatto mediante le scorte di moneta – deve essere finanziato attraverso la stampa di moneta e qualunque eccesso d’entrata rispetto alla spesa può essere distrutto o utilizzato per reintegrare le riserve.
La quasi istintiva repulsione che proviamo all’idea di stampare moneta e la tendenza di identificare questa idea con l’inflazione, può essere superata se ci tranquillizziamo e facciamo attenzione al fatto che la creazione di nuova moneta non incide sull’ammontare di moneta spesa.
Questo è regolato dalla prima legge della Finanza Funzionale che fa particolare riferimento all’inflazione e alla disoccupazione.
La creazione di moneta ha luogo solo quando è necessaria per implementare la Finanza Funzionale spendendo o concedendo prestiti (o ripagando il debito pubblico).[1]
In breve, la Finanza Funzionale rifiuta completamente le dottrine tradizionali della “finanza sana” e il principio di pareggio di bilancio nel corso dell’anno solare o di qualche altro periodo arbitrario. Al loro posto, essa prescrive: primo, la regolazione della spesa totale (da chiunque effettuata nel sistema economico, incluso il Governo) al fine di eliminare sia la disoccupazione sia l’inflazione usando la spesa pubblica quando la spesa totale è a un livello troppo basso e la tassazione quando la spesa totale è a un livello troppo elevato; secondo, la regolazione della moneta e dei titoli di Stato in circolazione, attraverso l’indebitamento da parte del Governo o il ripagamento del debito pubblico, al fine di raggiungere il tasso d’interesse al quale corrisponde un livello ottimale di investimento; e, terzo, la stampa di nuova moneta, la creazione di riserve o la distruzione di moneta come necessario per portare avanti le prime due fasi del programma.
[1]Indebitarsi con le banche, a condizione che queste possano emettere moneta a credito sulle base di depositi di obbligazioni statali addizionali, in questo contesto deve essere considerata come (se si trattasse) di creazione di nuova moneta. In effetti, le banche – facendo credito o emettendo moneta bancaria – si stanno comportando come fossero agenti di Governo.
da ABBA P. LERNER
Social Research
Vol. 10, No. 1 (FEBRUARY 1943), pp. 38-51
Traduzione a cura di: Maria Consiglia Di Fonzo