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Qui il paper integrale di Marc Lavoie, università di Ottawa, Canada, dal titolo “Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo”.
La traduzione è degli amici di Epic. Di seguito un estratto.

Quali sono le argomentazioni o i tratti principali della Modern Money Theory presentata dagli autori neo-cartalisti?
Se ne possono individuare quattro principali.
Il primo, a cui si è già accennato sopra, è la questione dell’origine della moneta e l’affermazione che essa è una creatura dello Stato.
Il secondo tema importante è la tesi che lo Stato debba agire in qualità di datore di lavoro di ultima istanza (Employer of Last Resort o ELR), fornendo un’occupazione a chiunque lo desideri ma non riesca a reperirla sul mercato privato. A ciò si lega anche il tema di come si possa raggiungere un livello occupazionale molto elevato, o una condizione di piena occupazione, senza generare inflazione, poiché secondo i neo-cartalisti il settore pubblico può costituire una riserva di lavoratori occupabili al settore privato, quando questo decida di incrementare l’occupazione al suo interno.
Esiste quindi un’importante distinzione da fare tra le classiche politiche fiscali espansionistiche keynesiane e le politiche basate sul datore di lavoro di ultima istanza, che si concentrerebbero maggiormente in aree a scarsa attività economica.
Un terzo tema è quello della politica fiscale. I neo-cartalisti intendono riaffermare l’importanza della politica fiscale rispetto a quella monetaria, in contrasto con il ruolo a essa riservato dalla teoria macroeconomica dominante. In questo contesto hanno riesumato il ruolo della finanza funzionale in contrasto a quello della finanza solida, facendo ampi riferimenti all’opera di Abba Lerner (1943).
Fanno anche ampio uso del concetto di three-balance identity (i cosiddetti saldi settoriali, ndr) formulato soprattutto da Wynne Godley (1999A) e dalla New Cambridge School, nel tentativo di dimostrare che il settore privato nazionale può accumulare ricchezza finanziaria solamente se lo Stato accetta la crescita del debito pubblico (o, in un’economia aperta, se il paese ha un bilancio corrente in attivo) ed evidenziando così che il disavanzo pubblico non è necessariamente un male.
Un possibile quinto filone del neo-cartalismo, considerando i suoi legami con il pensiero di Hyman Minsky, è quello dell’instabilità finanziaria, delle sue cause e dei suoi rimedi.

Video, presentazione in Power Point e link di approfondimento: tutto il materiale per l’autoformazione degli attivisti, anche per coloro che sono ai primi approfondimenti. Iniziamo dalle sei lezioni tenute all’università Federico II di Napoli. Come si ottiene la Piena Occupazione con stabilità dei prezzi

In onore della nomina di Stephanie Kelton, presidente del Dipartimento di Economia dell’università del Missouri-Kansas City, ad Economista Capo della Commissione Bilancio del Senato U.s.a. (qui articolo dettagliato), proponiamo un video registrato durante il primo SummitMMT organizzato a Rimini nel febbraio 2012. Il titolo di questo articolo è ripreso dalla prima frase detta da Stephanie Kelton all’inizio del suo intervento: “Grazie di essere tornati dopo la pausa, abbiamo ancora tanto da dire”.
L’intervento di Kelton che proponiamo fu registrato il sabato pomeriggio e introdusse i temi della MMT (Teoria della Moneta Moderna), precisamente la Finanza Funzionale, la sovranità monetaria e la piena occupazione.
Un approfondimento interessante sia per chi ha poi avuto modo di studiare e approfondire i temi della MMT sia per chi è ai primi passi.
 

La modernità del Nuovo Millennio viene oramai comunemente definita “liquida”. I vincoli invece ai quali si auto-sottopongono gli Stati dell’Eurozona sono invece “solidi”, come solido era l’oro al cospetto della “moneta moderna” (carta moneta o, ancora meglio, flussi elettronici nei conti correnti)

Fonte: Memmt Umbria, clicca qui
 

1. Una fotografia della realtà

Nel presente lavoro vengono analizzati i dati macroeconomici più rilevanti per comprendere l’impatto della crisi dell’Euro sulle economie greca e italiana. Nella prima sezione viene presentata la situazione generale dei due Paesi, con particolare riferimento a variabili come: la crescita della disoccupazione, l’andamento negativo del PIL, lo stato delle finanze pubbliche e il continuo aumento delle disuguaglianze. La seconda parte invece propone un nuovo approccio macroeconomico fondato sul concetto di finanza funzionale, che valuta le politiche pubbliche per il loro impatto sull’occupazione e la stabilità dei prezzi.

La situazione greca

Al momento dello scoppio della crisi economica nel 2007 il tasso di disoccupazione greco si attestava a circa l’8%, mentre le stime datate luglio 2013 riportano un tasso del 27,9%. Si tratta di un crollo occupazionale di proporzioni enormi, che ha portato la Grecia a perdere oltre 946.000 posti di lavoro, con circa un milione di disoccupati in più rispetto all’anno 2008 (Fig. 1).

Parallelamente all’aumento della disoccupazione si registra anche un crollo del tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo, che passa dal +3,54% nell’anno 2007 al -6,38% del 2012 (Fig. 3).

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Fig. 1: Andamento di disoccupazione ed occupazione in termini assoluti. Fonte: ELSTAT. 

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Fig. 2: Andamento del tasso di crescita del PIL reale greco. Fonte: Eurostat.

Ma come si è arrivati a tutto questo? Per i policy maker europei l’origine della crisi si è manifestata attraverso l’innalzamento vertiginoso degli spread a causa del giudizio negativo dei mercati finanziari. Questo viene imputato all’eccessivo indebitamento pubblico permesso dai governi nazionali greci, e perciò la risposta economica proposta dalla Commissione Europea è l’imposizione di misure draconiane di austerità: ampi tagli alla spesa pubblica, diminuzione drastica dei salari, piani di privatizzazioni del patrimonio pubblico. In realtà, gran parte del deficit pubblico della Grecia non è discrezionale, bensì piuttosto il risultato degli stabilizzatori automatici. Nel momento in cui l’economia europea ha iniziato a piombare nella recessione, il gettito fiscale è crollato e sono cresciute le spese per ammortizzatori sociali, determinando uno scarto maggiore tra entrate fiscali e spesa pubblica.
Inoltre, la Grecia ha uno dei redditi pro capite più bassi d’Europa, le sue spese per ammortizzatori sociali sono davvero modeste e i costi di amministrazione del suo sistema di welfare sono inferiori a quelli delle burocrazie di Germania, Francia e Irlanda. Anche la spesa per il sistema pensionistico, che è il bersaglio principale degli economisti neoliberisti, è inferiore a quello degli altri Paesi europei. I dati non sono coerenti con il quadro, spesso presentato dai media, di un welfare state troppo generoso.

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Fig. 3: Saldi settoriali Grecia. Fonte: FMI
Quello che molti economisti faticano a capire è che le variazioni nel saldo del settore governativo (ovvero la differenza fra uscite ed entrate) hanno conseguenze opposte per il saldo del settore non-governativo (ovvero la differenza fra risparmi ed investimenti). Non si tratta di una teoria, ma di una semplice identità contabile basata sulla partita doppia: è l’approccio dei saldi settoriali.
Quando il settore governativo entra in deficit, le maggiori uscite corrispondono a maggiori risparmi per il settore privato (oppure a riduzioni del deficit del settore privato), più eventuali importazioni nette. La Grecia si è trovata per lungo tempo in deficit di partite correnti (saldo tra esportazioni e importazioni) così come un settore privato in deficit, dal -6% del PIL al -7.5% nell’anno 2008; in particolare le famiglie hanno visto i propri risparmi netti ridursi dal -7% al -11% del PIL.
Durante le recessioni, il settore privato riduce le spese e prova ad aumentare i risparmi, spostando il saldo del settore governativo verso territori di maggiori deficit, man mano che entrano in gioco gli stabilizzatori automatici.

I piani di salvataggio europei

Le misure di salvataggio imposte dalla Troika riusciranno difficilmente a invertire questo trend negativo, poiché si tratta di politiche pro-cicliche, i cui esiti si sono già dimostrati storicamente fallimentari (basti pensare ai casi dell’Argentina prima del 2001, o alle politiche neocoloniali del Fondo Monetario Internazionale, ispirate al Washington Consensus). Il deficit pubblico greco è già stato ridotto del 40% grazie a massici tagli alla spesa, ma nell’anno 2012 il limite dell’8.1% imposto dalle istituzioni europee è stato ampiamente sforato (il dato per il 2012 è un rapporto deficit/PIL del 10%) proprio a causa delle minori entrate fiscali e al crollo del PIL.
Da ciò emerge che nell’attuale configurazione dell’eurosistema non c’è possibilità per la Grecia di ripagare il proprio debito: per rispettare i vincoli europei il governo greco dovrebbe contrarre il suo deficit di circa il 10% del PIL, un obiettivo evidentemente irrealizzabile se non distruggendo ciò che resta del sistema economico europeo.
 

La situazione italiana

Anche l’Italia è stata duramente colpita dalla crisi economica. Ad inizio 2007 il tasso di disoccupazione italiano era del 6.2%, mentre le ultime stime relative al 2013 si attestano al 12%, con un preoccupante tasso di disoccupazione giovanile al 40%. Se nella prima metà del 2007 si contavano 1.429 milioni di disoccupati, le stime relative al 2013 ne contano 3,076 milioni.

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Fig. 4: Tasso di disoccupazione di Grecia, Italia e media UE. Fonte: Eurostat.
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Fig. 5: Andamento della disoccupazione in Italia, e confronto con la media europea. Fonte: Eurostat.

L’introduzione della moneta unica ha profondamente modificato la struttura economia dell’Italia, portando quest’ultima a trasformarsi da Paese esportatore netto ad importatore netto, come si evince dal grafico in Figura 6. Ciò è dovuto principalmente alle politiche di deflazione salariale attuate dalla Germania al fine di guadagnare competitività, in un contesto (quello dell’unione monetaria europea) in cui il settore governativo si vede costretto a ridurre costantemente la sua spesa.
Questa situazione diventa insostenibile per il settore privato che deve diminuire necessariamente la sua ricchezza: in particolare dal 2005 si registra una tendenza a ridurre il deficit pubblico tanto da far precipitare il settore privato nell’indebitamento. Allo scoppio della crisi del 2007, gli stabilizzatori automatici riportano il settore privato in surplus, a dimostrazione di quanto il saldo del settore governativo e privato siano interconnessi: le minori entrate fiscali dovute al crollo di occupazione e consumi, e i salvataggi operati nei confronti degli istituti finanziari fanno aumentare il deficit pubblico fino al 2009. Le politiche europee promosse da questo punto in poi obbligano l’Italia a irrigidire la stretta fiscale, soprattutto con l’avvento del governo Monti nel 2011 e del governo Letta nel 2012.
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Figura 6: Saldi settoriali per l’Italia nel periodo 1995-2010. Fonte: Haver, News N Economics
La tendenza al consolidamento fiscale ha come unico esito la persistente riduzione dei risparmi privati. Seguendo l’approccio dei saldi settoriali, si intuisce che in mancanza dei contributi forniti dal deficit pubblico (per via delle politiche di austerità) e dalle esportazioni nette (a causa della struttura dell’euro), non è possibile creare nuova ricchezza netta all’interno del settore privato. Se infatti pensiamo al settore privato nel suo complesso, il reddito di ogni agente è la spesa di qualcun altro. Se uno si arricchisce, qualcun altro si impoverisce.
Senza l’intervento del governo (spesa in deficit) o del settore estero (esportazioni nette), chi desidera lavorare per incrementare la propria ricchezza deve riuscire a trovare un altro agente disposto ad impoverirsi per permettergli di avere un impiego. La crescita della disoccupazione involontaria può allora essere pensata come la situazione in cui nessun agente privato è disposto a ridurre la sua ricchezza finanziaria netta per concedere un impiego.

2. Una soluzione per il lavoro

La finanza funzionale

L’approccio proposto dalla Modern Money Theory consente di rivoluzionare la concezione di finanza pubblica che vede come primario obiettivo l’equilibrio del bilancio dello Stato. Uno Stato emettitore della propria valuta non ha problemi di sostenibilità finanziaria dei suoi deficit, poiché grazie al rapporto diretto con la Banca Centrale è sempre in grado di effettuare pagamenti denominati nella sua valuta. Questa è la condizione necessaria per uno Stato con sovranità monetaria, in presenza della quale è possibile implementare un approccio definito come “finanza funzionale”, nelle parole dell’economista Abba Lerner (1951).
Per finanza funzionale si intende una tipologia di politiche fiscali e monetarie che non tengono conto della grandezza numerica del deficit, ma che considerano come unici parametri oggetto di attenzione la disoccupazione e la stabilità dei prezzi. Quando c’è disoccupazione, perciò, il governo dovrà spendere più moneta non solo come sostegno alla domanda aggregata, bensì al fine di creare posti di lavoro per coloro che non riescono a trovarne all’interno del settore privato. L’obiettivo di questo intervento pubblico è la piena occupazione, che può essere raggiunta mantenendo contemporaneamente la stabilità dei prezzi.
Di fatto, i prezzi sono fissati dalle imprese sulla base dei costi medi sostenuti, del contesto competitivo e dello stato di salute del ciclo economico; gli investimenti da esse effettuati sono quindi pro-ciclici, e risentono dell’incertezza radicale che pervade l’economia capitalistica. Numerosi studi dimostrano come la spesa pubblica riduca l’incertezza del ciclo economico, fornendo un tetto inferiore all’andamento dei redditi e quindi, lungi dal far esplodere il tasso di inflazione, contribuisca alla stabilità dei prezzi.

I programmi di Job Guarantee

Attraverso la sua capacità illimitata di spesa, il governo può istituire e finanziare dei programmi di lavoro garantito (Job Guarantee) che forniscano un impiego a tutti coloro che vogliono e sono in grado di lavorare. Il governo non andrebbe a fissare una quantità limitata di fondi da impiegare, bensì fisserà il salario erogato ai partecipanti al programma: si tratta di un approccio fondato non sulla quantità di forza lavoro da assumere, ma fondato invece sul prezzo della forza lavoro che verrà acquisita dal settore pubblico.
Poiché questa forma di investimento pubblico non è vincolata dal conseguimento di profitti, essa può essere diretta allo sviluppo di figure professionali in settori a bassa profittabilità ma ad alto valore sociale per la crescita della comunità. L’obiettivo politico della piena occupazione si lega quindi ad una diversa concezione di crescita economica, che sia rispettosa dello sviluppo umano e che comprenda anche l’attenzione a temi come la sostenibilità ambientale, l’inquinamento e lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili.
I programmi di Job Guarantee non puntano, perciò, ad un incremento solo quantitativo della domanda aggregata, bensì ad incrementi mirati, volti a modificare la composizione del prodotto finale. In quest’ottica, non è più la crescita economica che conduce ad un aumento dell’occupazione, ma è la maggiore e migliore occupazione che porta alla crescita economica.
Chiaramente, questa situazione è possibile solo mediante l’approccio della finanza funzionale, il quale a sua volta trova spazio esclusivamente nel contesto di uno Stato emettitore della propria moneta, e quindi dotato di sovranità monetaria. Senza quest’ultima, infatti, lo Stato non si trova in condizione di poter finanziare la sua spesa in maniera illimitata e quindi non può ragionare in termini di finanza funzionale, vedendosi vincolato dall’entità dei propri deficit permessa dai suoi creditori.
Purtroppo all’interno della zona euro i Paesi membri sono privi di sovranità monetaria, in quanto hanno disgiunto le politiche fiscali (affidate ai singoli Stati) da quelle monetarie (affidate alla BCE). Ciò li espone non soltanto al pericolo della crescita esponenziale dei rendimenti pagati sulle proprie obbligazioni, ma li vincola al perseguimento di politiche economiche disgiunte da obiettivi sociali, e cari invece ai creditori istituzionali. Ne sono un esempio le procedure di riduzione del rapporto debito/PIL operate mediante tagli alla spesa pubblica, aumenti della pressione fiscale ed eventuali dismissioni del patrimonio pubblico; con la speranza di incrementare la fiducia degli investitori stessi nella solvibilità del Paese, la quale si pone necessariamente come massima priorità per qualunque governo nazionale.
Ciò provoca un totale congelamento delle funzioni della politica fiscale; l’impossibilità di effettuare piani d’investimenti pubblici o di detassare redditi d’impresa e da lavoro; la continua riduzione dei fondi a disposizione di tutti i sistemi di erogazione dei servizi pubblici (come sanità ed istruzione).
Per queste ragioni, la struttura dell’unione monetaria europea non permette l’implementazione dei piani di Job Guarantee: si richiederebbe una revisione dei Trattati fondanti dell’architettura monetaria, in particolare la cancellazione dei vincoli di Maastricht che impongono un limite massimo del 3% del rapporto debito/PIL, e il lancio di investimenti pubblici in deficit su scala comunitaria.
Non esistendo al momento alcun interesse politico nel perseguire queste riforme strategiche, il recupero della sovranità monetaria appare essenziale per la possibilità di implementare un programma di Job Guarantee.

Hanno inventato vincoli fasulli come quello del “3%”. Il grande economista invece affermava: “Il governo può aumentare la spesa o ridurre le tasse in modo che i contribuenti abbiano più denaro da spendere. Non si deve pensare che ci sia qualcosa di buono o cattivo al riguardo”

In dieci righe l’economista della Modern Money Theory esprime il punto di vista della scuola post-keynesiana: “Disavanzo e debito non sono numeri magici, non esiste una soglia che una volta superata sia insostenibile. Se ci sono disoccupati significa che il disavanzo è troppo basso”

“Più di cinquant’anni fa, Abba Lerner fornì la risposta a questo problema. Se vi sono disoccupati involontari (aggiungeremmo anche sottoccupati) significa che il deficit è troppo basso. Il governo dovrebbe tagliare le tasse o incrementare la spesa pubblica” dal paper di Wray e Nersysian del 2010

Se le proposte della Finanza Funzionale fossero presentate senza il timore di apparire troppo logiche, critiche come quelle discusse sopra non sarebbero tanto popolari quanto sono ora, e non sarebbe necessario che i sostenitori della Finanza Funzionale la difendessero.
Un compito particolarmente imbarazzante nasce dall’affermazione che la Finanza Funzionale (o il finanziamento a deficit, come è frequentemente – ma in modo non soddisfacente – chiamato) è soprattutto una difesa dell’iniziativa privata.
Nel tentativo di guadagnare popolarità, le son stati attribuiti altri nomi alla Finanza Funzionale ed è stato dichiarato fosse essenzialmente finalizzata a salvare l’iniziativa privata.
Io ho peccato in modo simile nei precedenti scritti nell’identificarla con la democrazia, [i] arruolandomi nell’esercito dei venditori che avvolgono le loro merci nella bandiera e associano qualunque cosa debbano vendere a una vittoria o a una morale.
La Finanza Funzionale non è legata in modo particolare alla democrazia o all’iniziativa privata. È applicabile ad una società comunista come anche ad una società fascista o democratica. È applicabile a qualunque società in cui la moneta sia usata come un importante elemento nel meccanismo economico.
Si basa sul semplice principio di rinuncia ai nostri preconcetti riguardo a cosa sia opportuno o sano o tradizionale, a cosa “è fatto” considerando invece le funzioni svolte nel sistema economico dal Governo (tassazione, spesa, indebitamento e prestito).
Questo significa usare questi strumenti semplicemente come strumenti e non come magici incantesimi che causeranno danni misteriosi se sono gestiti dalle persone sbagliate o senza la dovuta riverenza per la tradizione.
Come ogni altro meccanismo, la Finanza Funzionale funzionerà indipendentemente da chi ne manovrerà i comandi.
La sua relazione con la democrazia e la libera iniziativa privata consiste semplicemente nel fatto che se le persone che credono in queste cose non useranno la Finanza Funzionale, non avranno speranza nel lungo periodo rispetto a coloro che ad essa ricorreranno.


[i] Total democracy and full employement, Social Change – Maggio, 1941.


-Qui la prima parte di Finanza funzionale e debito federale

-Qui la seconda parte di Finanza funzionale e debito federale
-Qui la terza parte di Finanza funzionale e debito federale

FONTE: Functional finance and the federal debt di Abba Lerner
da ABBA P. LERNER
Social Research
Vol. 10, No. 1 (FEBRUARY 1943), pp. 38-51
Traduzione a cura di: Maria Consiglia Di Fonzo

Obiettare contro il disavanzo di spesa è come sostenere che – se ti offrissero un lavoro quando sei disoccupato a patto che tu dia a tua moglie interessi su parte dello stipendio – sarebbe più saggio restare disoccupato perchè nel tempo dovrai a tua moglie un ingente somma