2023 (terza puntata)
La scelta di Olimpia
scritto da Elisabetta Uccello e Giuseppe Nasone
Una storia doppia a puntate scritta a quattro mani, in attesa delle imminenti elezioni. Ricordate Sliding doors?
Bene, lo schema è analogo: una protagonista, un bivio temporale, due situazioni, due vicende. La discriminante: una scelta a monte.
Il colore del pallino che vedrete sulle immagini svelerà qual è la storia che si sta sviluppando nell’ipotetico futuro immaginato dagli autori, pallino blu – storia A, pallino rosso – storia B. Ecco oggi la terza puntata. Buona lettura.
Da tempo la gente appoggiava l’ unione europea. L’ assetto istituzionale era considerato ormai irreversibile. Anche Olimpia osservava, senziente, senza alcuna pretesa di comprendere tutto.
La commissione europea si era guadagnata la fiducia dei cittadini: 70 anni di pace nel continente!
E per di più negoziava al posto degli Stati sulla scena internazionale.
Un impegno questo che si era assunta già in tempi non sospetti quando nel 94, ancor prima della moneta unica, rappresento’ gli stati europei alla rinomata Conferenza del Cairo sulla SFIDA DELLA CRESCITA DEMOGRAFICA in cui si convenne, tra le altre cose, sulla necessità di ridurre l’aumento della popolazione per consentire uno sviluppo economico e umano duraturo per evitare gravi conseguenze per il pianeta nel suo complesso.
Il sistema europeo era molto efficiente. Ne era riprova, tra l’ altro, il referendum del 2020, nel quale gli italiani si erano espressi per il drastico taglio dei parlamentari nazionali. Urgeva velocizzare il carrozzone burocratico italico. Una vergogna nei confronti dei fratelli nordici, austeri, frugali e produttivi.
La commissione non era solo efficiente ma anche molto determinata sin dalle proprie origini. Dalla ceca al Trattato di Maastricht, all’indipendenza di Banca Centrale, al Trattato Lisbona, fino all’adozione della moneta unica tutto era stato deciso senza importunare il dibattito pubblico nazionale. Fortunatamente i Parlamenti non avevano mai opposto particolari resistenze. Vi erano state alcune voci fuori dal coro, tuttavia occasionali.
Competitività! Il nord europa ci stava salvando dalla viziosa prodigalità italica. Il debito pubblico aveva causato l’ aumento dei prezzi. Male, molto male. La bilancia commerciale doveva tornare in attivo al più presto. Lo Stato doveva rientrare nei paramenti europei di un bilancio strutturale in pareggio.
I professionisti dell’ informazione ripetevano a spron battuto: il debito pubblico va drasticamente ridotto.
Siano d’esempio le parsimoniose Austria e Germania.
Per impedire un innalzamento dei salari, la commissione europea, sulla base di calcoli astrusi elaborati dietro le quinte dai tecnici, stabiliva annualmente un certo tasso di disoccupazione: si chiamava tasso di disoccupazione naturale. Alcuni si dovevano sacrificare per il bene comune…
Digitalizzazione! La commissione aveva istituito un quadro di governance delineato in una ferrea tabella di marcia per digitalizzare la società entro il 2030. Il futuro era nelle nostre mani. La cittadinanza digitale. Ogni attività si svolgeva comodamente tramite una identità digitale dal proprio telefonino. Ed era già allo studio un impianto corporeo che avrebbe eliminato lo scomodo device esterno. Sempre a portata di mano, non era più necessario uscire, perdere tempo, fare la fila, vedere facce poco simpatiche. L’ obbligo di pagamenti on line con la p.a. aveva costretto anche i più recidivi o inesperti a fare questo salto di qualità. La digitalizzazione, sosteneva, avrebbe portato ad un maggior risparmio di dipendenti pubblici ma anche lavori detti “ di qualità” e soprattutto, ad una maggior interazione tecnologico-commerciale fra Stati membri. Progetti multi-nazionali e risorse che si muovevano liberamente in un’ area valutaria a tutti gli effetti divenuta ottimale grazie all’imposizione di un’ unica moneta. In altri termini, un unico ordinamento.
Sostenibilità ambientale! La priorità principale. Il Green Deal europeo avrebbe trasformato l’UE in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, garantendo che nel 2050 non ci sarebbero più state emissioni di CO2 e che la crescita economica sarebbe stata dissociata dall’uso delle risorse. Cosa che sarebbe materialmente impossibile. A meno che…. Ormai la questione climatica era divenuta catastrofica. Il surriscaldamento globale e le emissioni di gas serra…. Serviva il pugno duro. Pubblicità in ogni dove mostravano il sogno di un mondo verde, privo di assembramenti.
Olimpia ne era molto affascinata. Le sovveniva Platone e l’ armonia uomo natura, se era questo ciò che intendeva Platone…
Interessata, fra impegni familiari ed il lavoro, trovò il tempo di fare una piccola ricerca e trovò dei documenti sull’Agenda 2030.
Leggendo non poté fare a meno di pensare a quanto fosse all’avanguardia la Commissione europea.
Il Green Deal non era che l’ esecuzione degli obbiettivi programmati già nel 1992 dall’Onu. L’ Agenda 21, aggiornata poi con l’ Agenda 2030, era il programma scaturito dalla Conferenza dell’ONU a Rio de Janeiro che pianificò le azioni a livello mondiale per la sostenibilità ambientale.
Tale lungimiranza non poteva che dare riprova di trovarsi in mani affidabili. E chissà nel frattempo gli organismi internazionali quanto ci avevano studiato, senza far rumore, con l’accortezza di non gravare minimamente sui parlamenti nazionali.
Tanto meno sui popoli.
Da tempo la gente aveva capito che dell’Unione Europea non ci si poteva fidare. Olimpia aveva unito tanti puntini nel mentre che gli anni passavano e le certezze erano sempre più vacillanti: la disoccupazione e la precarietà del lavoro ormai cronicizzate in un sistema che aveva promesso di “lavorare la metà e guadagnare il doppio”; i continui sacrifici imposti a fronte del miraggio di una crescita economica equilibrata, mai raggiunta; le zone terremotate rimaste tali negli anni e così via. Infine, il colpo di grazia dalla stessa Unione Europea con l’emergenza sanitaria Covid19: messa a nudo dei danni sistemici dell’austerità, dilatazione dei tempi d’intervento, visione di ogni soluzione in chiave di accollo di ulteriori debiti per gli stati e, in definitiva, per le popolazioni, tenute in scacco e – adesso insieme a Olimpia erano non pochi ad averlo realizzato – con luoghi comuni e sensi di colpa del tutto fuori centro e strumentali. Ma veramente il problema che impediva all’Italia di essere grande come in passato era la burocrazia? Come se non fosse esistita già da prima dell’Unione Europea… nell’Italia quarta potenza industriale mondiale. La sensazione sempre più densa era che forse l’avere tolto potere sovrano allo Stato nazionale non fosse stato un buon affare. La moneta, spiegava la MMT, è una creatura dello Stato.
La banca centrale che la produce non ha limiti in tal senso. I problemi di soldi pertanto non dovrebbero esistere: posti di lavoro, sostegno alla produzione, aiuti alle famiglie, servizi ai disagiati, pensioni dignitose, tutto alla portata di uno Stato che abbia il potere monetario. Se così è, ovvio che il debito pubblico non è il debito dei cittadini; piuttosto, la spesa pubblica si traduce direttamente e indirettamente in lavoro e produzione, salari, stipendi e redditi, e l’impegno economico dello Stato per sostenere questa spesa è sempre gestibile, data la fonte della moneta. Ecco perché le tasse servono a tante cose MA non a finanziare la politica di bilancio. Pertanto uno Stato può e deve spendere non sulla base di un bilancio vincolato bensì di obiettivi reali e benefici per la nazione. E questi obiettivi sono riportati nella Costituzione: piena occupazione e pieno stato sociale per il pieno sviluppo della persona umana. Insomma, quello che gli attivisti MMT da sempre chiamano Finanza Funzionale: le politiche economiche dello Stato sono finalizzate a migliorare e incrementare il benessere collettivo e non sono condizionate da fattori di bilancio. Tanti anni passati a convincere la gente che lo Stato, non dovendo necessariamente perseguire il profitto, era un soggetto negativo per l’economia e il benessere… e ora si capiva che era l’esatto contrario, proprio la libertà da quel vincolo permetteva allo Stato di fare ciò che il privato non poteva, concentrarsi sulle persone. Tanti anni passati a convincere la gente che il contatto con la PA dovesse essere sempre più mediato da strumenti telematici: la chiamavano semplificazione. E ora si capiva che era solo un mezzo per disumanizzare e allontanare, al diavolo la cosiddetta digitalizzazione della società: tutto l’efficientamento economico del mondo non vale un singolo rapporto umano. Tutto ciò nell’Unione Europea non si tenne in considerazione anzi… e la situazione divenne insostenibile. Sempre più l’idea che si andò formando nelle coscienze fu che, come si era entrati, così si poteva uscire da questa UE e costruire un mondo migliore… se si avesse avuto la forza di compiere il primo, importante e difficile passo. (CONTINUA LA PROSSIMA PUNTATA)
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