Grande Reset, non in nome della Modern Money Theory (parte seconda)
La MMT, pro stato democrazia occupazione, non può essere compatibile con le logiche del Grande Reset
scritto da Tiziano Tanari e Giuseppe Nasone
Innanzitutto, la MMT non è “gli Stati che fanno molto deficit per combattere la crisi” né “che lanciano contante alla gente dagli elicotteri” né “la banca centrale che fa ad libitum alleggerimento quantitativo sul sistema bancario”.
Dicono bene gli economisti MMT Randall Wray e Yeva Nersisyan: “Questa non è MMT, la quale fornisce un’analisi della politica fiscale e monetaria applicabile ai governi nazionali con valute sovrane e non convertibili. Conclude che l’emittente di valuta sovrana (1) non deve affrontare un “vincolo di bilancio” (come convenzionalmente definito), (2) non può “rimanere senza soldi”, (3) soddisfa i suoi obblighi pagando nella propria valuta, e (4) può fissare il tasso di interesse su eventuali obblighi che emette.”
Poi, sull’inflazione: “Ciò che sottolineiamo è che i governi sovrani devono affrontare vincoli di risorse, non vincoli finanziari. Abbiamo sempre sostenuto che una spesa eccessiva, da parte del governo o del settore privato, può causare inflazione.”
Gli autori del GR non ci azzeccano neanche quando sostengono che “fare MMT” è monetizzare il debito pubblico. Completamente fuori bersaglio sia sul reale ruolo dei titoli di stato (strumento a disposizione delle banche centrali per gestire il tasso d’interesse interbancario), sia sulla fonte del finanziamento del Tesoro che è sempre la banca centrale: Ancora Wray e Nersisyan (esempio USA): “Sia il Tesoro che la Fed possono vendere obbligazioni (rispettivamente nella nuova emissione e nei mercati aperti) per offrire alle banche rendimenti più elevati di quelli che ottengono sulle riserve. Come spiega la MMT, poiché le riserve devono essere scambiate quando si acquistano titoli di stato, le (stesse) riserve devono essere fornite prima di poter acquistare le obbligazioni. Ciò dimostra come la Fed fornisca le riserve necessarie pur mantenendo il divieto di “prestito” al Tesoro non acquistando mai direttamente i titoli.”
Da ciò si evince anche che la c.d. monetizzazione (qui intesa come acquisto diretto del debito pubblico in prima emissione) è, piuttosto che una necessità, una mera modalità di finanziamento da parte della banca centrale, eventualmente utile a sostenere la fissazione del tasso d’interesse sui titoli da parte del Tesoro.
Inoltre, nel suo approccio, la MMT presta al deficit pubblico un’attenzione relativa: “La MMT non sostiene una politica per aumentare i deficit. Un deficit di bilancio è un risultato, non un obiettivo o uno strumento politico da utilizzare in recessione. Non esiste una cosa come la “spesa in disavanzo” da utilizzare in una recessione o in una crisi. Il governo utilizza le stesse procedure indipendentemente dall’esito del bilancio”.
Ecco quindi delinearsi una fondamentale differenza tra la MMT, focalizzata su ciò che va fatto, e il mainstream che impregna questo Grande Reset, che si preoccupa su quanto sta costando ciò che si sta facendo (tante, troppe volte, con il “braccino corto”) come riscontriamo nelle parole del suddetto Schwab: “A livello macroeconomico nazionale e globale una delle cose che ci preoccupa di più è l’aumento del debito. In tutto il mondo stiamo spendendo dieci trilioni di dollari per affrontare gli effetti negativi a breve termine della pandemia, ma dovremmo essere consapevoli che stiamo aumentando il nostro debito. Era già molto alto prima che arrivasse questa crisi quindi come uscirne alla fine è un grande punto interrogativo”.
Questa significativa dichiarazione costituisce uno dei pilastri su cui si basa il Grande Reset. Nella visione mainstream degli autori, per venire incontro alle necessità della popolazione e dare sostegno all’economia, lo Stato spenderà con l’elastico: nell’aumentare la spesa, aumenterà le tasse per sostenere la prima (si ricordi al riguardo la MMT: le tasse non finanziano la spesa pubblica).
È importante sottolineare che ciò che viene definito debito è praticamente la moneta a disposizione dell’economia, “creata dal nulla” dalle rispettive banche centrali nazionali e che non deve essere restituita a nessuno. Ridurre quello che viene impropriamente definito debito pubblico (“credito privato”) corrisponde a una pari riduzione della liquidità necessaria al funzionamento del circuito economico. Diverso e reale è il problema dell’indebitamento estero di molti Paesi poco industrializzati con economie arretrate; ma per superare questi problemi oggettivi non serve resettare tutto il sistema attuale, basta un po’ più di solidarietà, piani e incentivi per lo sviluppo di quegli Stati e regole internazionali che impediscano sfruttamenti, corruzione, depauperazione e speculazioni sulle loro risorse nazionali.
Tornando al debito pubblico, esso è costituito dalla somma di deficit statali che si accumulano negli anni, al netto degli eventuali surplus, in occasione del finanziamento della spesa pubblica. Come abbiamo visto, però, uno stato ha una capacità potenzialmente illimitata di autofinanziarsi; questo è ciò che gli permette di attivare tutti quegli investimenti, oggi ritenuti indispensabili, per rendere l’economia più sostenibile, più green e che permetta un benessere più diffuso fra le popolazioni. Ecco che quello che pareva un handicap, o comunque un convitato necessario da (mal) sopportare, il debito, è invece lo strumento più importante per garantire tutte le risorse finanziarie necessarie allo sviluppo. È indispensabile attivare un nuovo modo di fare economia che superi l’attuale modello liberista, fonte di incredibili sprechi, distruzioni ambientali e disuguaglianze sempre più marcate, e si orienti sull’innovazione e la ricerca nell’esclusivo interesse del bene comune. Questo processo virtuoso non necessita di un Grande Reset ma di un cambio di paradigma che ritorni a dare potere agli Stati nelle politiche economiche e che, coordinandosi fra loro, possano governare una globalizzazione che ci sta sfuggendo di mano, essendo gestita solo ed esclusivamente da corporations che vedono nel loro utile l’unico motore trainante.
A questo punto, mancando forse il motivo più importante per considerare un totale Reset, o presunto tale, non c’è nulla da riorganizzare al sempiterno servizio delle suddette corporations, né tantomeno da azzerare, c’è solo da imboccare il nuovo modello di sviluppo che noi tutti non possiamo che condividere e che vede lo Stato come rinnovato protagonista e controllore spietato nei confronti dei grandi poteri privati.
Ma allora perché la seguente affermazione di Schwab:
“Attraverso la pandemia io vedo la possibilità di accelerare questa transizione. Se non ci fosse stata la pandemia il Grande Reset non avrebbe avuto l’impulso necessario a vincere la resistenza delle persone alla nuova normalità”.
Forse non è, quella degli autori del libro, la stessa “normalità” che tutti auspichiamo? Che impulso ci può aver dato questa pandemia che non ci avrebbe potuto dare un po’ di buonsenso? Possibile che Schwab e i suoi colleghi siano così ignoranti? O vogliono utilizzare questa “pandemia” per altri obiettivi che non sono nell’interesse dei Popoli della Terra? O forse l’accelerazione serve per imporre una transizione non auspicata né tantomeno voluta dalle popolazioni, da fare in fretta prima che la sbornia del Coronavirus passi e la gente, non più disorientata, rivolga la sua attenzione agli slogan del tipo “Nulla sarà più come prima” e si accorga della nuova fregatura ai suoi danni all’orizzonte?
Un’ultima considerazione finale chiude il discorso sull’inconciliabilità della MMT con il Grande Reset del WEF: in quest’ultimo, la disoccupazione è presupposta (lo Stato la dovrà “tamponare” con sussidi e indennità), mai un accenno alla piena occupazione. Ecco svelato il GR, un “mondo migliore” che accetta la povertà come parte integrante, indorando la pillola con relazioni virtuali e buonismo finto ecologico e sostituendo, non aggiungendo, il c.d. benessere spirituale a quello materiale.
Mai e poi mai, in nome della MMT.
Come sempre, capire l’economia ci aiuta a comprendere il mondo e le sue politiche.
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