INTERVISTA A LIVIO E PAOLO MAGNANELLI DI FOTOLABORATORIO
Un laboratorio fotografico di nicchia e la crisi economica ex Covid in Italia, la passione dei nostri artigiani alle prese con ostacoli che lo Stato non rimuove
scritto da Giuseppe Nasone
Una piccola eccellenza italiana nel mondo della fotografia subisce gli effetti di una crisi generale. Eppure il settore nello specifico tira, non ci sono problemi di competitività. Ecco cosa succede quando lo Stato non può fare quello che dovrebbe. E a rimetterci, ovvio, è sempre la comunità.
Il nostro tessuto imprenditoriale va avanti nelle attuali difficoltà cercando di adattarsi e dare il meglio. In fondo, cosa chiede? Il rispetto della prescrizione contenuta nell’articolo 3 della nostra Costituzione che significa anche questo: tu Repubblica, rimuovi gli ostacoli (tra gli altri) economici e metti noi imprenditori in condizioni di farci valere. La convenienza, ovviamente, è per tutti i cittadini. Ma cosa succede se lo Stato non ha in mano gli strumenti per svolgere il proprio ruolo? Al meno peggio, stiamo molto meno bene di quanto avremmo potuto e voluto. E tanto basta a rendere la situazione intollerabile.
Oggi facciamo una piccola escursione in una nicchia del settore dell’immagine fotografica.
Fotografare è sentire e documentare un momento infinito con una scrittura di luce. Intorno a ogni singolo nostro clic e dietro a quella immagine attraente, in mostra nel nostro studio o in sala, ci sono espressione, arte (quando siamo davvero bravi), due secoli di ricerca tecnologica e, di norma, un laboratorio fotografico.
Fotolaboratorio Magnanelli è l’azienda di famiglia di Livio (padre) e Paolo (figlio) Magnanelli, che dalla provincia di Rimini dove lavorano, portano avanti un discorso singolare: nel 2021 è inaspettato che un laboratorio si dedichi esclusivamente all’analogico (per i profani: le foto fatte con pellicole), lasciando la fotografia digitale agli altri colleghi del settore. Un’attività che, dice Paolo, svolge da trent’anni aggiungendo subito dopo, mio padre da più di 50.
Livio sorride: Io son nato con l’analogico e muoio con l’analogico.
Più che un’attività: quasi una missione.
D’altronde, glielo leggi negli occhi a entrambi che in quell’ambiente (vero paese dei balocchi per un fotoamatore come il sottoscritto!) sono nella loro dimensione. E nel vederli completarsi le frasi a vicenda capisci che grande intesa e che idee chiare hanno.
Livio rimarca: assolutamente solo analogico, anche per mandare avanti la qualità dell’analogico che nel digitale non esiste.
Su questa frase – che da analogista, è vero, mi fa felice – per un fugace istante m’immagino già l’ennesimo disseppellimento dell’ascia di guerra tra i digitali e gli analogici e giù a colpi di linee per pollice e il raw (vuoi mettere il negativo) e tutta quella plastica le pellicole le risorse dissipate (dicono gli energivori) e la chimica che inquina l’ambiente (come sta Mister Coltan) – eccetera eccetera. Ok, pace per tutti, possiamo convivere, la guerra non è necessaria.
G) Quindi ancora esiste un settore analogico?
(P) Esiste ed è in espansione, al contrario di quanto si possa pensare. Molti credono che il settore sia morto, in realtà negli ultimi 2-3 anni c’è una discreta risalita…
(L) … La gente se ne sta accorgendo della differenza fra analogico e digitale.
(G) Quindi a livello non solo professionale ma anche amatoriale?
(P) In prevalenza professionisti però anche tanti amatori.
(G) Perché secondo voi questa parziale retromarcia?
(L) Il digitale è stata una primizia, una novità inizialmente, però vista la qualità se ne sono accorti che qualitativamente una foto analogica è tutta un’altra cosa.
(P) Per certi versi il digitale è stato quasi un’utilità per alcuni, in certi settori vedi per es. il giornalismo, l’ambito ospedaliero… Invece per quello prettamente fotografico puoi fare quello che ti pare, mettere tutti i filtri le maschere che vuoi nel digitale, però a quella fluidità, omogeneità, a quei toni della fotografia com’era e com’è, non ci si arriva.
(G) Siete in molti laboratori ad avere fatto questa scelta in Italia?
(P) C’era della concorrenza, adesso siamo pressoché rimasti soli.
(G) Caspita.
(P) Ci sono delle piccole realtà, però completi come noi su tutte le linee del bianco e nero, colore e diapositive in un’unica struttura, ci siamo solo noi.
(G) Che cosa secondo voi ha determinato questa selezione? Cosa avete avuto voi che gli altri non hanno avuto? Senza false modestie eh.
(L) L’esperienza e la costanza di credere in qualche cosa (per 30-50 anni) è stata una scelta che ci ha anche premiato.
(G) Quindi avete clienti in tutta Italia?
(P) Tutta Italia isole comprese…
(L) … Fin su in parte della Svizzera e parte della Francia…
Buona parte della Svizzera tiene a precisare Paolo con non celato orgoglio e Livio aggiunge sì, forse perché là sono più attaccati alle tradizioni visto il lavoro che ci arriva.
(G) Vabbè, però gli svizzeri avranno pure i loro laboratori. Se vengono qua ci sarà un motivo…
(L) Eh, perché i laboratori… allora, sono clienti che vogliono una certa qualità, se li dai a un laboratorio normale che fanno in pizza praticamente se poi hai righe, punti, negativi tagliati male…
(P) … Sì, non hanno la qualità dell’artigiano. Ovviamente il lavoro industriale è più veloce va più sui numeri però nettamente a discapito della qualità. Questi preferiscono aspettare anche dieci dodici quindici giorni per avere un rullino sviluppato, però lo vogliono in questa maniera. Là avrebbero costi inferiori sicuramente, meno problemi con le spedizioni e tutto quanto, però guai a chi ci tocca perché lo vogliono in maniera artigianale. E questo è il discorso poi per tutte quante le grandi aziende che ci passano l’analogico.
(L) Differenziano in questo modo.
(P) Sì, loro danno tutto il digitalizzato alla grande produzione e noi trattiamo l’artigianale.
(G) E in questo settore, anche se di nicchia si è fatta sentire la crisi economica?
Livio sulle prime minimizza: non più di quel tanto ma un po’ si è sentita.
(G) C’è stato comunque un calo?
(L) Sì un buon venti per cento rispetto agli altri anni.
(P) Rispetto ad altri settori, diciamo che l’abbiamo…
(L) … sopportata bene via.
(P) Stiamo sopportando discretamente.
Ma – penso – un prezzo da pagare per ammortizzare il calo ovviamente c’è stato: l’avere mandato a casa un collaboratore per non affondare.
(L) Sì assolutamente, perché così non si reggeva. Anche perché quello che ti costa un operaio adesso… è una cosa ignobile insomma. Il costo del dipendente che lavora è minimo rispetto a quello che poi devi pagare dopo. Purtroppo quando non hai il lavoro pensi di tagliare qualche cosa, faremo un’ora in più però… non ce lo possiamo permettere.
(G) Beh, certo. Il costo del lavoro di solito è uno dei costi principali se non il principale nell’attività d’impresa. A maggior ragione in uno stato in cui ci sono tanti contributi da pagare, tante tasse e magari pochi aiuti.
(L) Infatti è per quello lì che non te lo puoi permettere, sennò il dipendente te lo permetti è ovvio. Diversamente tu non puoi.
(G) E questo tra l’altro si riflette anche sullo stipendio, sul salario che si può dare al lavoratore perché, dovendo sopportare tante spese di là, non si riesce a dare un po’ più di qua.
(L) Assolutamente, certamente.
(P) Esattamente.
Livio si assenta per qualche secondo e intanto mi rivolgo a Paolo.
(G) Mi dicevi non ti sei mai interessato di macroeconomia
(P) Solo sentito dire ma non ho la minima idea di cosa sia.
(G) In sintesi, spiega come funziona l’economia nel suo insieme. Per esempio, se c’è crisi e girano meno soldi, ogni famiglia tenderà a tenersi con le spese. Bene, nonostante sia un comportamento virtuoso per il singolo, se a livello d’insieme tutti scelgono di chiedere meno beni, meno servizi, si crea un effetto domino. Prendiamo il vostro settore: chi fotografa lo fa di meno, il fotografo ha meno lavori commissionati e così anche i laboratori di sviluppo e stampa. Ecco che vi trovate a lavorare in un settore di nicchia che tra l’altro dà segnali di nuova espansione e nonostante ciò avete un calo di lavoro del 20%.
(L) Beh adesso tutto è ben condito da una buona pandemia.
(G) Infatti. Quando arriva un evento esterno come può essere questa pandemia e lo stato si trova costretto a bloccare a fermare tutto quanto, il settore privato non spende, i soldi non girano, non si crea economia, non guadagni, saltano i posti di lavoro. Chi va a casa, ci va per questo motivo. E non puoi spendere di più quando ci sono meno soldi quindi il settore privato è condannato ad andare in basso. Allora, se il settore privato non spende abbastanza, qual è l’altro soggetto che può e deve spendere di più per compensare, per rilanciare l’economia? Ovviamente è lo Stato. Solo che con l’Euro lo Stato non è libero di fare la spesa che serve e deve tenere anche le tasse alte.
(L) Non è chiaro quel discorso lì, è che se ci fossero meno ladri…
(Conosco l’argomentazione di Livio, e so che in realtà non c’è vero disaccordo, è solo diversità di visione sulla stessa cosa, pertanto mi limito a dire) I “ladri” c’erano anche prima con la lira…
(L) Sì, forse di meno, però.
(G) Beh, Tangentopoli… era tutto il sistema, soltanto che era un sistema in cui magari la cosiddetta mazzetta l’impresa la dava al politico per aprire l’attività, e così si faceva economia.
Livio ammette: l’impresa lavorava, sì, certo…
(G) … Era ingiusto. Però…
(P) … Però bene o male girava l’economia…
(L) … Si lavorava.
(G) Oggi, siccome è stata messa in giro l’idea che il debito pubblico è una cosa negativa, lo Stato si è impegnato in un’opera di riduzione. Tassa molto, anche il lavoro per esempio, anche le imprese, e taglia sempre più le spese. Per esempio con questa malattia, noi abbiamo vissuto per mesi nella paura che gli ospedali si riempissero. Ecco, dopo quarant’anni di tagli alla sanità abbiamo sperimentato cosa vuol dire tagliare.
(L) Eh, non puoi pretendere che… certo lì i tagli ci sono stati eccome.
(G) Ma perché? Perché non serviva? Caspita ora lo stiamo vedendo se serviva. Tagliare perché? Perché dovevamo recuperare il debito. Solo che meno debito pubblico vuol dire meno credito privato, meno ricchezza finanziaria nelle mani del settore privato, con tutto quello che ne consegue. Ora, voi siete una realtà che ha delle potenzialità inespresse. Potreste lavorare di più, con la qualità che vi è stata riconosciuta, in un settore in espansione, però non lo potete fare perché l’economia non gira.
(L) Esattamente!
(G) Un’ultima domanda: secondo quello che vedete, lo stato vi sta aiutando, sta aiutando il vostro settore?
(P) Assolutamente no…
(L) … Il nostro settore no…
(P) … Zero…
(L) … Visto niente, mai visto niente.
Più chiaro di così…
A questo punto è tempo, giustamente, di lasciare Livio e Paolo al loro bel lavoro.
Ringrazio per la disponibilità e la piacevole chiacchierata, saluto e vado a casa a gustarmi i colori delle mie belle dia appena sviluppate. I giorni di attesa rendono più dolce il momento in cui, finalmente, mi accingo a dare una risposta alla nota domanda che ben conosce chi come me ha fotografato (e magari ancora fotografa) con le pellicole e non può vedere in tempo reale il risultato degli scatti: come saranno venute?
Non mi si prenda per pazzo se in questo ci sento un pizzico di poesia.
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