MMT Italia: uscire dall’Unione Europea e dall’Euro si può
Come rimuovere la catena che preclude all’Italia libertà e benessere
Di Filippo Lucchese
Uscire dall’euro e dall’Unione Europea si dovrebbe, ma non si può; è su questa affermazione che si è da tempo arrestato il dibattito “ufficiale” su un tema così centrale per il futuro economico, sociale e politico dell’Italia.
Si tratta di una tendenza registrata ben prima che la stucchevole ondata di conformismo europeistico indotta in questi ultimi giorni sospendesse di fatto ogni confronto dialettico, cercando di strumentalizzare, come ormai ciclicamente avviene, le criticità contingenti.
La sensazione è che all’origine di questa “stagnazione” più che incertezze sull’opportunità della prospettiva, vi siano limiti di carattere tecnico: manca, cioè, una vera idea del “come”.
E’ proprio per cancellare questo alibi che l’associazione MMT Italia ha sviluppato, con il contributo teorico e operativo dell’economista Warren Mosler, il documento “Ripristino della Sovranità Costituzionale – Il piano di MMT Italia”, in cui viene illustrato, nel dettaglio, un preciso percorso tecnico di introduzione di una nuova valuta nazionale, in grado di affrontare e risolvere le criticità che normalmente accompagnano tale scenario.
L’intuizione di Warren Mosler da cui trae origine il modello, in realtà, non è nuova, almeno in ambito MMT, dal momento che già in passato, in più di una occasione, è stata espressa e commentata pubblicamente dal suo autore; ciò che MMT Italia ha ritenuto di fare, dunque, è stato approfondirne le implicazioni teoriche e operative ed analizzare le condizioni contestuali, in modo da definire, come detto, un vero e proprio percorso tecnico.
Nella visione tradizionale, il passaggio potenzialmente più destabilizzante connesso a un abbandono dell’euro e all’introduzione di una nuova moneta nazionale è rappresentato dalla conversione di tutte le attività e le passività finanziarie, connessa a un’attesa svalutazione della nuova moneta per effetto della “liberazione” di un differenziale accumulatosi negli anni e rimasto compresso dal cambio fisso imposto.
In realtà, essendo l’intero settore finanziario organizzato sulla base del noto principio della “partita doppia”, per il quale ad ogni attività corrisponde una passività e viceversa, una conversione integrale non determinerebbe, in termini aggregati, alcuno squilibrio.
Nella realtà, tuttavia, ci sono almeno due fattori, di natura in parte psicologica, in parte tecnica, che finiscono per complicare tale scenario:
- i singoli soggetti economici tendono a valutare in modo differente l’impatto di un’eventuale svalutazione, dando maggior peso agli svantaggi potenziali sul lato delle attività rispetto ai vantaggi potenziali sul lato delle passività;
- non è scontato che la conversione possa riguardare “pacificamente” tutte le voci di bilancio.
Il primo punto, in parole più semplici, vuol dire che i risparmiatori tendono a non accettare scenari nei quali il valore nominale dei loro risparmi si ridurrebbe; a nulla vale dimostrare che tale riduzione nominale rispetto a una valuta estera non si tradurrebbe automaticamente in una riduzione del potere di acquisto, o prospettare i vantaggi che le nuove politiche produrrebbero nel medio-lungo termine anche a sostegno dei risparmi (a partire dalla garanzia totale su depositi e titoli di Stato). Il blocco, infatti, è di natura psicologica e tende a tramutarsi in scelta politica, come dimostra il costante scollamento tra alta consapevolezza delle criticità dell’UE e bassa disponibilità effettiva a uscirne.
Il secondo punto si riferisce, invece, ai dubbi connessi alla convertibilità dei titoli di debito pubblico “marchiati” da apposite clausole (le famose CACS); se, infatti, l’applicazione stessa di tali clausole mostra la percezione della concretezza dell’ipotesi della ridenominazione, dunque la crescente debolezza del sistema euro/Unione Europea, dal punto di vista giuridico essa potrebbe rappresentare un ostacolo concreto per l’applicazione della “lex monetae”, con il rischio di determinare un’asimmetria nei bilanci pubblici (attivi in nuova valuta nazionale, passivi in euro) potenzialmente destabilizzante.
Ebbene, la straordinarietà del “modello Mosler” consiste proprio nella capacità di disinnescare questi punti critici, che poi rappresentano l’argine tecnico e psicologico che impedisce alla prospettiva di abbandono di euro e Unione Europea di imporsi sul piano politico ed elettorale.
Esso, infatti, prevede di non convertire nulla dell’esistente: risparmi, titoli di debito e di credito, ogni altro tipo di contratto redatto fino al momento dell’introduzione della nuova moneta conserverebbero la denominazione valutaria originaria.
L’introduzione della nuova moneta avverrebbe semplicemente attraverso le leve della spesa pubblica e della tassazione: lo Stato inizierebbe cioè a spendere, tassare ed emettere titoli di debito nella nuova valuta, creando così una crescente domanda della stessa e determinando i presupposti della sua diffusione e della progressiva, rapida e inevitabile sostituzione dell’euro.
Si tratta di un’applicazione da manuale dei meccanismi che sono alla base della moneta moderna e, quindi, della MMT; lo squilibrio, soprattutto nelle fasi iniziali ritenute in genere più critiche, tra domanda e offerta della nuova moneta, consentirebbe alla Banca Centrale, a cui sarebbe affidata tutta l’operazione e che agirebbe per conto del governo, di gestire nel modo più opportuno il rapporto di cambio con le principali valute internazionali.
Non attuandosi, inoltre, alcuna conversione dei depositi bancari, ma un’operazione di progressivo acquisto, su iniziativa del depositante, della nuova moneta in cambio degli euro al tasso vigente al momento dello scambio, da un lato anche un eventuale deprezzamento della nuova moneta non intaccherebbe minimamente il valore dei risparmi, dall’altro il governo, attraverso il proprio conto presso la Banca Centrale, accumulerebbe gli euro necessari a pagare i titoli di debito pregressi man mano che andranno in scadenza.
Vengono così risolte, contemporaneamente, tutte le criticità connesse alle ricette tradizionali citate in precedenza:
- i risparmi in euro, o in altra valuta, non subirebbero alcuna conversione;
- i titoli di debito pubblico pregressi non subirebbero alcuna ridenominazione;
- la stessa, temuta svalutazione istantanea e consistente della nuova moneta non sarebbe né istantanea né, potendo attuare finalmente le opportune politiche economiche, così consistente nel lungo termine.
Gli aspetti tecnici di dettaglio di una soluzione che, come si vede, si rivela così semplice e geniale nella sua formulazione concettuale sono stati oggetto di due anni di approfondimento all’interno dell’associazione, con il prezioso supporto scientifico, come detto, dello stesso Warren Mosler, e sono stati sintetizzati nel documento appena pubblicato.
Anche dal punto di vista giuridico, la soluzione prefigurata e ritenuta funzionale al percorso tecnico sviluppato è quella in assoluto più semplice, ovvero l’applicazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che prevede esplicitamente la procedura di abbandono dell’Unione Europea (e dell’euro). Si tratta di una strada già percorsa, con successo, nell’unico caso in cui un Paese ha deciso di abbandonare l’Unione, ovvero il Regno Unito; naturalmente la differenza, rispetto al caso del Regno Unito, è che l’Italia abbandonerebbe, oltre all’Unione, anche la moneta unica, e nel documento vengono approfonditi i dettagli tecnici relativi anche a questo aspetto.
In conclusione, l’obiettivo di questo lavoro è bonificare il dibattito da una serie di “blocchi” psicologici e di carenze tecniche che, ad oggi, impedisce di affrontare con serenità e nel merito la questione dell’opportunità di recuperare la sovranità monetaria e politica; la speranza è che ciò consenta finalmente e concretamente di far tornare al centro dell’attenzione politica e dell’opinione pubblica quei valori tanto bene espressi nella nostra Costituzione, eppure sistematicamente calpestati dall’evoluzione del contesto nazionale e internazionale degli ultimi decenni.
Clicca qui per leggere il documento in versione stampabile
Buongiorno, ho seguito con interesse il video di Filippo Abate, pubblicato su YouTube da Arnaldo Vitangeli, sulla procedura Italexit. Premetto che non sono un economista ma conosco la base dei concetti dell’economia.
Volevo esprimere una riflessione, che forse vi sembrerà ingenua, al di fuori dei tecnicismi, peraltro necessari. A fronte di un debito pubblico pari a 2570 mld (2020), e di un risparmio privato stimato in circa 10000 mld, non si può uscire dall’euro seduta stante, senza preavviso, lasciando così la Germania col cerino in mano? (Prima che lo facciano loro)
Saldando il debito pubblico (in €), ripristinando la nostra Banca Centrale e stampando una nuova valuta, convertendo i depositi in nuova valuta, (compensando una possibile svalutazione con la stampa di nuova valuta ad integrazione dei depositi stessi). Quando uscimmo dall’ Italia (!) la lira andò fuori corso con un cambio criminale, qui l’euro è perfettamente in corso, quindi si potrebbe fare un’ uscita a sorpresa, indolore per noi (anzi con un surplus di € in saccoccia).
È un’utopia?
Grazie
Cordialmente
Augusto Bertan
Buongiorno,
sulle tempistiche dell’uscita incidono soprattutto le condizioni politiche.
Lei, ipotizzando un’uscita “senza preavviso”, credo stia immaginando una decisione che non passi per elezioni, ma che derivi da un improvviso cambio di rotta di una maggioranza politica europeista.
E’ difficile immaginare uno scenario del genere; al limite si può pensare ad un effetto di trascinamento per dinamiche esterne (crisi UE indotta da altri Paesi, o da eventi particolari), ma è uno scenario che da un lato, ad oggi, sembra lontano dal concretizzarsi, dall’altro non richiederebbe, per definizione, particolari interventi, essendo a quel punto il sistema euro a dissolversi da solo.
La prospettiva nella quale si pone il documento, invece, è quella, che ci sembra la più realistica e la più utile, di una piena ed esplicita assunzione di responsabilità da parte di una coalizione di partiti: ne consegue, quindi, che si suppone di dover rispettare come minimo le tempistiche di una competizione elettorale.
Nel merito della proposta, la sua intuizione ha degli elementi di analogia con il modello sviluppato nel nostro documento, ma le segnalo almeno un paio di differenze non secondarie:
– mi sembra di capire che lei ipotizzi un prelievo forzoso dai conti correnti dei cittadini degli euro necessari a saldare l’importo del debito pubblico. Al contrario, il modello da noi studiato esclude qualsiasi ipotesi di prelievo sui conti correnti o di conversione forzata, ogni scelta sui conti correnti (vendere o meno, in parte o in toto, i propri euro per acquistare lire, mantenere o meno in prospettiva risparmi in euro, tempistiche dell’eventuale vendita, ecc…) sarebbe lasciata, come è giusto che sia, ai singoli correntisti, senza il minimo intervento coercitivo;
– mi sembra di capire, poi, che lei ipotizzi di saldare l’intero importo del debito pubblico nel momento stesso dell’uscita. Al contrario, il nostro modello seguirebbe, nel rimborso in euro dei titoli di stato precedentemente emessi, esattamente la progressione temporale delle scadenze già prevista, con una progressività che, da un lato, consentirebbe di rispettare in pieno le condizioni “contrattuali” tra emettitore e possessore stabilite nella fase della collocazione dei titoli, dall’altro consentirebbe al Governo e alla nuova Banca Centrale una gestione più efficace e produttiva dell’intera operazione, potendo valutare man mano gli impatti delle politiche monetarie ed economiche che saranno poste in atto.
Saluti!
Sono d’accordo a rispettare i tempi delle scadenze non sono d’accordo invece a rispettare il quantum da rimborsare dato che hanno stampato il biglietto dal nulla il cui costo, dello stesso, dovrebbe essere la stampa del biglietto più gli interessi.
Grazie