Pubblicato su La Voce di Romagna il 21 gennaio 2017
Di Pier Paolo Flammini
Il dramma del terremoto e del maltempo che colpisce ancora l’Appennino Centrale arriva in contemporanea o quasi con l’ennesima lettera con la quale la Commissione Europea ha chiesto al governo italiano una manovra finanziaria correttiva pari a 3,4 miliardi di euro per rispettare gli impegni di bilancio presi con la governance europea.
Mai, forse, si è verificato una situazione più stridente nei rapporti tra l’Italia e la Commissione Europea. Senza entrare nel merito della Legge di Stabilità del Governo Renzi, per molti versi non indirizzata verso una ripresa economica ma ad una banale ricerca di consenso di breve periodo, non vi è in realtà alcun motivo per cui gli italiani debbano sottoporsi a nuovi sacrifici economici.
La Commissione chiede, banalizzando, che pezzi di monete, banconote o numeri elettronici presente nei bit dei conti correnti bancari, da cittadini e imprese, vengano letteralmente “distrutti”, ovvero annullati e ritirati dalla circolazione. Bruciati come nel Medioevo accadeva alle streghe e agli eretici. Insomma: la richiesta della Commissione Europea è un’azione frutto esclusivo di una credenza di tipo medievale, in base alla quale ritirando 3,4 miliardi dalla circolazione, non si capisce bene perché, l’economia dovrebbe andare magicamente meglio.
Abbiamo invece un’Italia ferita, non solo dalle tragedie naturali ma anche da un disastro che coinvolge la vita quotidiana di centinaia di milioni di europei. Abbiamo bisogno di stanziamenti di moneta perché abbiamo braccia per lavorare, case da ricostruire, territori da rimettere in sicurezza, bellezza da consegnare alle generazioni che verranno. Altri, invece, consegneranno dei numeri distrutti. Con una nazione distrutta.

Di Mario Volpi
Il 23 gennaio 2017 Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, è stato premiato dalla Fondazione Cavour “per avere mantenuto l’indipendenza della Banca Centrale Europea, come la vollero i suoi fondatori, di fronte ai tentativi di assoggettarla a interessi occasionali, mutevoli e spesso contraddittori dei 19 Stati membri”.
Ma la BCE è stata veramente indipendente in questi anni?
Una delle attività basilari di una banca centrale è quella di garantire il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento e di contribuire alla stabilità finanziaria.
In merito alla BCE, L’articolo 105, paragrafo 2, del Trattato e l’articolo 3 dello Statuto stabiliscono che fra “i compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC” figura quello di “promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento”.
Se torniamo a febbraio 2015, all’incirca 5 mesi prima del referendum contro l’austerità indetto dal governo Tsipras e approvato con oltre il 61% dei votanti il 5 luglio 2015, la BCE decise di porre un tetto al rifinanziamento che le banche greche potevano ottenere dalla propria banca centrale nazionale attraverso lo strumento dell’ELA (Emergency Liquidity Assistance).
Occorre ricordare che l’ELA in quel momento era l’unico canale che le banche greche potevano utilizzare per ottenere liquidità dato che la BCE aveva smesso di accettare come valido collaterale una serie di attività detenute dalle banche commerciali greche, per le quali risultò impossibile rifinanziarsi sia presso i mercati privati che presso le tradizionali finestre della BCE.
Nonostante la penalizzazione sopra riportata, il board della BCE decise addirittura di aumentare l’haircut sui titoli di Stato greci e di fatto bloccò a 89 miliardi di euro anche l’ultimo possibile canale (ELA) attraverso il quale le banche greche potevano rifinanziarsi.
Tsipras fu costretto ad introdurre controlli sui capitali e le banche greche furono costrette a chiudere. Il resto della storia la conosciamo.
Il tutto avvenne nei mesi precedenti al referendum greco e furono in molti a sospettare che la finalità della decisione della BCE fosse proprio quella di influenzare il voto dei cittadini;
L’operato della BCE ebbe un sapore meramente politico e suonò come un avvertimento/ritorsione nei confronti di chiunque mettesse in discussione la politica economica dell’UE.
Ma soprattutto, la stessa BCE, venne meno ad uno dei compiti fondamentali stabiliti nello statuto costitutivo della stessa BCE: promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
Un altro episodio importante si è verificato proprio in questi giorni.
I parlamentari europei Marco Zanni e Marco Valli l’8 dicembre 2016 chiesero chiarimenti a Draghi sulle recenti dinamiche dei saldi Target 2.
In un passaggio della risposta pubblicata qualche giorno fa (www.ecb.europa.eu ), leggiamo: “Se un paese lasciasse l’Eurosistema, i crediti e le passività della sua BCN nei confronti della BCE dovrebbero essere regolati integralmente”.
Sorge quindi spontanea la domanda: a quali leggi, regolamenti o trattati europei Mario Draghi fa riferimento?
Non essendo stata prevista alcuna possibilità di recesso dall’Unione Monetaria Europea, quali sono le basi giuridiche che giustificano l’affermazione di Draghi?
Ancora una volta, più che ad una interpretazione tecnico/giuridica del presidente della BCE, siamo di fronte ad una intimidazione nei confronti di chiunque intenda contrapporsi alle politiche europee decise a Bruxelles o intenda prendere in considerazione un’eventuale uscita dalla moneta unica.
Che cos’è questo se non un uso politico del proprio ruolo in totale contrasto con il principio d’ indipendenza per il quale lo stesso Draghi è stato premiato?

di Maria Luisa Visone, fonte  sienanews.it/economia
Il 13 luglio 2012 l’agenzia MOODY’S declassava il rating dei titoli di Stato italiani da A3 a Baa2, con outlook negativo, ovvero, non escludendone una possibile revisione al ribasso nei successivi 24 mesi. Una data storica per il debito pubblico dell’Italia, dopo l’ingresso nel rating della lettera B di gennaio dello stesso anno, deciso da STANDARD & POOR’S e quello di FITCH del successivo marzo 2013. Mancava all’appello il giudizio nella stessa direzione di DBRS, l’agenzia di rating considerata nella rosa delle quattro più importanti, arrivato lo scorso 13 gennaio: declassamento da A- a BBB+.
Conseguenze sul sistema bancario italiano
Le banche europee si finanziano presso la Bce e vengono considerate meritevoli in base alle garanzie prestate, attraverso il collaterale. Il loro merito creditizio si traduce in maggiori o minori costi da sostenere per ricevere liquidità. Con la perdita dell’ultima A rimasta, la quantità dei titoli di Stato da dare in pegno per l’Italia passa dal livello 2 al livello 3. In pratica, prima il taglio (haircut) per un Bot era di 0,5% e per un Btp a 10 anni del 5%; oggi, rispettivamente, è del 5% e del 13%. Quindi, minore quantità di denaro in prestito per il sistema bancario italiano, a fronte della stessa quantità di titoli di Stato in garanzia. O, in alternativa, maggiore quantità di titoli di Stato da dare in garanzia, per mantenere lo stesso livello di finanziamento.
La decisione di DBRS conferma l’Italia “sorvegliato speciale per l’Europa” e rende maggiormente vulnerabile il suo sistema bancario, poiché le nostre banche detengono in portafoglio un gran numero di titoli di Stato.
Consideriamo, inoltre, che nel 2017 sono previste emissioni lorde di titoli di Stato di entità significativa, pari a circa 260 miliardi di euro complessivi. Riappare, di conseguenza, il fantasma della necessità di una maggiore spesa per interessi da sostenere, derivante da un probabile aumento dei tassi, conseguenza diretta del peggioramento del rischio emittente, su cui tutte le agenzie di rating sono concordi.
Si affaccia anche un ulteriore rischio: quello di assistere a uno spostamento degli investitori verso l’acquisto di titoli di Stato di altri Paesi, ritenuti più affidabili, come, ad esempio quelli spagnoli.
Così l’Italia sembra avvolgersi su se stessa intorno a una spirale che si autoalimenta.
Se fosse lo Stato ad emettere la valuta in cui sono denominati i suoi titoli dati in pegno dalle banche, però, cambierebbe la situazione. Il sistema bancario risulterebbe maggiormente tutelato, perché le banche per finanziarsi presso la banca centrale nazionale cederebbero titoli denominati nella valuta di cui lo Stato ha il monopolio. E, nell’ipotesi di un peggioramento del rating, la banca centrale nazionale non avrebbe bisogno di tagliare l’haircut, chiedendo più titoli in garanzia per la stessa liquidità concessa, dal momento che l’emittente, alla scadenza dei suoi titoli, onorerebbe senza problemi l’impegno al rimborso, esercitando il potere di emissione monetaria. In sintesi, si annullerebbe il rischio di solvibilità.
Tuttavia, il monopolio dell’emissione monetaria appartiene alla Bce e non ai singoli paesi dell’Eurozona. E la Bce non può esimersi dalla valutazione del merito creditizio dei richiedenti, come avviene per un qualsiasi privato che chiede un prestito a una banca.
La domanda è: di fronte a una vulnerabilità così crescente, è da prendere in considerazione una scelta politica, auspicata da più parti, che ripristini il potere di emissione monetaria nazionale.

Uno dei nomi più autorevoli del panorama degli economisti post-keynesiani e specificatamente della Modern Money Theory sarà a Roma venerdì 27 gennaio per un incontro intitolato “Lavoro Garantito”: stiamo parlando di Pavlina Tcherneva. L’incontro si svolgerà dalle ore 14:30 alle 17 nell’Aula dei Gruppi Parlamentari di via Campo Marzio, a Roma. Assieme alla Tcherneva relazionerà la dottoressa Tania Sacchetti, della segreteria nazionale della Cgil, che presenterà il Piano Straordinario del Lavoro della Cgil, e l’onorevole Stefano Fassina, di Sinistra Italiana. Questo il programma:
I° intervento: Il Programma di Lavoro Garantito (PLG)
Relatrice Professoressa Pavlina Tcherneva
Direttrice e professoressa associata della facoltà di economia del Bard College, ricercatrice associata al Levy Institute of Bard College, ricercatrice senior c/o CFEPS Centro per la Piena Occupazione e la Stabilità dei Prezzi
– Cos’è un Programma di Lavoro Garantito
– un caso studio: il Plan Jefes in Argentina
– Sostenibilità finanziaria e macroeconomica della Piena Occupazione
– Il problema nell’Eurozona
II° intervento: il Piano Straordinario del Lavoro
Relatrice dottoressa Tania Scacchetti
Segreteria Nazionale CGIL
– La situazione del lavoro in Italia
– La proposta della CGIL
Tavola Rotonda
Relazione finale
Onorevole Stefano Fassina, Sinistra Italiana
La crisi occupazionale in cui versa il Paese ha ripercussioni pesanti sulla capacità di ripresa e di crescita dell’economia, nonché sulla tenuta sociale. Il lavoro deve necessariamente tornare al centro del dibattito politico.
Questo convegno vuole fornire un approfondimento sul tema della creazione diretta di occupazione, su come sia possibile intervenire con la programmazione economica dello Stato a riequilibrare alcuni scompensi che l’impostazione economica attuale comporta, mettendo a serio rischio sistemico l’intero quadro macroeconomico nazionale ed europeo.
Per partecipare è consigliato prenotarsi, apri questo link https://it.surveymonkey.com/r/NQ2YLK8
Pavlina Tcherneva sarà a Roma dopo un altro incontro organizzato il 25 gennaio a Madrid dalle associazioni Rete Mmt Espana e Rete Mmt, clicca qui

Domenica 22 gennaio, dalle ore 10 alle ore 18, a Roma presso il Centro Congressi Cavour in Via Cavour 50/a, si terrà la prima iniziativa nazionale dedicata a costruire un modello confederativo per l’attuazione della Costituzione Italiana, dopo il risultato del referendum nel quale gli italiani hanno, in maniera inequivocabile, espresso che la nostra Costituzione un bene da custodire e difendere.
L’incontro è aperto a tutti coloro che si sono schierati a favore del no, affinché si passi ai fatti, attuando i principi fondamentali che tutelano i cittadini nella realtà.
L’Associazione Nazionale MMT Italia parteciperà all’evento per dare il suo contributo alla creazione di un modello economico-sociale che sia l’espressione concreta dell’attuazione del Titolo Terzo, Parte Prima della Costituzione, dedicata ai rapporti economici.
In allegato il programma dettagliato dell’iniziativa.
. Clicca qui programma 22 gennaio

Autore: Maria Luisa Visone. Fonte: http://sienanews.it/economia/nascere-e-morire-poveri-un-destino-inevitabile/
Il fenomeno della povertà in Italia ha raggiunto nel 2015 il livello più alto degli ultimi dieci anni. Ben 4 milioni 598 mila persone si trovano in condizione di povertà assoluta. Individui spesso invisibili che sono esclusi dalla vita sociale. In povertà relativa, invece, ci sono 8 milioni 307 mila persone (fonte Istat).
Il termine povertà assoluta si riferisce all’incapacità di acquistare un paniere di beni e servizi considerati essenziali per avere uno standard di vita minimamente accettabile. La differenza con la povertà relativa è che, quest’ultima, deriva dal confronto con uno standard medio rappresentativo di una comunità, rispetto al quale, si rilevano differenze.
In realtà nel paniere non ci sono solo beni e servizi che soddisfano bisogni essenziali come nutrirsi, avere una casa o riscaldarsi, ma anche bisogni che consentono di essere parte attiva della società. Ad esempio, la possibilità di comunicare attraverso uno smartphone rappresenta una necessità lontana dalla sopravvivenza, ma certamente vicina al bisogno di esistere in un contesto sociale tecnologico e virtuale.  Anche il concetto di bisogni primari quindi si modifica nel tempo. Inoltre, il costo per soddisfarli non è omogeneo sul territorio nazionale. Così, un adulto di 18-59 anni che vive da solo è considerato povero assoluto con una soglia pari a 819,13 euro mensili, se risiede in un’area metropolitana del Nord; di 734,74 euro, se vive in un piccolo comune settentrionale; di 552,39 euro, se risiede in un piccolo comune del Mezzogiorno.
Il dato veramente allarmante è che analizzando la composizione della popolazione coinvolta, oggi un minore su 10 si trova in povertà assoluta e l’incidenza del fenomeno, rimasta stabile tra gli anziani, ha continuato a crescere nella popolazione tra i 18 e i 34 anni di età, triplicando rispetto al 2005. In sintesi, non sono tutelati i bambini e chi nasce povero, sembra doverci rimanere. Al contrario, nonostante la bassa media delle pensioni italiane, gli over 65 poveri assoluti sono rimasti gli stessi in termini percentuali dal 2005 ad oggi.
A livello europeo in Ue è a rischio povertà 1 cittadino su 6 (fonte Eurostat).
Di fronte a numeri così preoccupanti quali sono le misure di protezione sociale messe in atto dai governi? Soprattutto trasferimenti sociali di denaro che hanno ridotto nel 2014 il tasso di rischio di povertà tra la popolazione dell’UE-28 dal 26,1 % al 17,2 %. In maniera minore in Romania, Grecia, Italia, Bulgaria, Lettonia, Polonia, Estonia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia. In misura maggiore in Irlanda, Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia, dove almeno la metà delle persone esposte al rischio di povertà è stata portata al di sopra della soglia.
Altra nota è che all’aumentare della povertà crescono le disuguaglianze sociali e la differenza tra ricchi e veri poveri. Tanto che i redditi percepiti dal 20% della popolazione con reddito più elevato sono 5,2 volte superiori a quelli percepiti dal 20% della popolazione con reddito più basso.
Occorrono misure strutturali e trasferimenti di denaro che comportino la possibilità di contribuire alla società con l’apporto del lavoro. Misure da costruire nel tempo. Non accettiamo che nel 2017 nascere e morire poveri sia un destino. Non pensiamoci solo quando leggiamo che il gelo abbia colpito ancora chi non ha una casa.

di Marco Cavedon fonte http://memmtveneto.altervista.org/crisi_banche_italiane.html
1) Perché le popolari Banca Marche, Carichieti, Carife e Banca Etruria sono fallite?
Banca Marche.
La crisi della banca è scaturita da concessioni “libertine” di prestiti, erogati per gran parte dal vecchio Cda e dall’ex-direttore generale della banca Massimo Bianconi. I prestiti erogati si sono ben presto trasformati in crediti incagliati per un valore complessivo di oltre € 3 miliardi, che hanno convinto Banca d’Italia a chiedere il commissariamento della banca marchigiana nel 2011 (nel 2012 la banca rivelò un buco di bilancio pari a €512 milioni).
Banca Etruria.
La banca laziale, di cui il padre dell’ex ministro Boschi era vice-presidente, tra il 2011 e il 2013 ha visto allargare l’ammontare dei crediti deteriorati a livelli insostenibili.
Crediti deteriorati che, molto spesso, venivano generati da prestiti concessi sempre in maniera troppo libera.
Visto l’ammontare di crediti deteriorati sempre più pesante nel bilancio della banca, il management ha deciso di compiere operazioni di copertura attraverso l’acquisto di titoli di Stato che, effettivamente, hanno generato ingenti profitti e hanno aiutato in parte a coprire le sofferenze.
Nel 2015 però Bankitalia decide di commissariare la banca, reputando il trading sui titoli di Stato troppo pericoloso e soprattutto vista la situazione finanziaria della banca emersa dalle trimestrali 2014 (buco di bilancio di €120 milioni).
Carichieti.
Nel 2014 arriva il commissariamento anche per Carichieti visto l’ammontare dei crediti in sofferenza pari a €430 milioni e la perdita da circa €300 milioni dell’istituto di credito abruzzese. Le perdite e i crediti in sofferenza sembra che siano stati causati da prestiti facili erogati ad imprenditori abruzzesi.
Carife.
Carife ha dichiarato perdite per 376 milioni di euro, dovute ad investimenti immobiliari non redditizi(1).
Vediamo quindi, come abbiamo ribadito molte volte, come il comun denominatore che ha determinato la crisi di queste banche sia il fatto che esse ad un certo punto si siano trovate tra le mani molti prestiti non più esigibili. Questa è una diretta conseguenza dell’applicazione delle politiche di bilancio dell’Eurozona, che impongono al settore pubblico di operare una costante riduzione dei deficit di bilancio annuali. Lo Stato quindi drena al netto dall’economia reale con la tassazione sempre più risorse, diminuendo la domanda aggregata che è il primo motore dell’economia e obbligando imprese e famiglie ad indebitarsi col settore finanziario privato a condizioni sempre più rischiose.
I grafici di cui sotto raffigurano l’evoluzione annuale del debito delle famiglie sul reddito disponibile e del debito delle imprese non finanziarie in rapporto al surplus legato alla produzione lorda (non si tiene conto dell’interesse derivante dal possesso di attività finanziarie).

Fig 1: debito delle famiglie sul totale del reddito disponibile (dati OCSE) – dati dal 2002 al 2015.
Fig. 2: debito delle imprese in rapporto al surplus annuale di produzione lorda – dati dal 2002 al 2015.

2) Decreto legge “salva banche” del 2015. Cos’è e in che cosa consiste?
Per permettere il salvataggio di queste 4 banche, il Governo vara l’ormai famoso decreto “salva-banche”. Attraverso il decreto si fa in modo di scorporare le parti deteriorate delle banche (i crediti inesigibili) in una bad bank mentre, per le parti sane, vengono costituite 4 nuove banche capitanate dall’ex manager di Unicredit Roberto Nicastro.
Le nuove banche verranno messe presto all’asta, cercando di massimizzare il profitto in modo da remunerare un apposito Fondo di Risoluzione(1).
3) A cosa serve il Fondo di Risoluzione?
ll Fondo di Risoluzione sarà utile a rifinanziare le banche ponte costituite con le parti sane degli istituti di credito falliti.
Questo fondo sarà finanziato completamente dalle banche italiane quali Ubi banca, Unicredit, Intesa San Paolo e via discorrendo, per un importo totale di €3,6 miliardi.
I crediti in sofferenza confluiti nella bad bank verranno svalutati di un 70-80% in modo da permettere un più facile smaltimento degli stessi (permetterne la vendita sul mercato tramite una forte svalutazione che ne faciliti il rimborso da parte dei debitori)(1).
4) Quali sono state le conseguenze per i risparmiatori clienti di queste banche?
La parte del decreto sul quale si sono accese feroci polemiche riguarda il coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti subordinati che risponderanno in solido del fallimento delle banche. Il decreto, infatti, prevede la svalutazione totale delle azioni dei 4 istituti di credito e la conversione coatta delle obbligazioni subordinate in azioni(1).
E’ stata in tale modo anticipata da parte dello stato italiano la normativa europea sul “bail – in” che vieta al settore pubblico di intervenire per salvare i risparmiatori e le banche e che sarebbe entrata in vigore solo a partire dal primo gennaio 2016 (della serie, più reali del re).
Dopo le forti proteste dei risparmiatori, il Governo cercherà di trovare una soluzione per risarcire in parte gli obbligazionisti subordinati, mediante la costituzione di un Fondo di Solidarietà finanziato in minima parte da soldi pubblici per non violare le regole UE sugli aiuti di Stato, attraverso il quale si risarcirebbe di circa il 30% ogni obbligazionista subordinato.
In più, il Governo valuterà di erogare crediti di imposta ai risparmiatori danneggiati utilizzabili nel corso degli anni in modo da alleviare ulteriormente la situazione economica di questi ultimi(1).
Il 3 luglio 2016 entra in vigore il decreto che prevede il rimborso dell’80% per gli obbligazionisti subordinati a determinate condizioni, tra le quali quelle di non superare un reddito complessivo di 35.000 euro e un patrimonio mobiliare pari a 100.000 Euro(2).
5) Che cosa sono le obbligazioni subordinate?
I bond subordinati sono uno strumento finanziario di debito che è una via di mezzo tra un titolo azionario ed un’obbligazione. Il detentore del bond subordinato riceve delle cedole da parte dell’emittente anche se, tuttavia, non garantisce l’esenzione dal rischio di impresa al possessore dell’obbligazione.
In termini sintetici, gli obbligazionisti subordinati possono essere definiti come creditori di serie B (in caso di fallimento vengono prima liquidati dipendenti, creditori, obbligazionisti e, nel caso delle banche, i correntisti, almeno per ora).
In questo modo circa 150.000 risparmiatori hanno visto andare in fumo i risparmi di una vita (portando, come tristemente noto, al suicidio di un pensionato 68 enne) di cui 130.000 sono azionisti e 20.000 obbligazionisti subordinati.
E’ stato calcolato che, in totale, i risparmiatori degli istituti di credito ci hanno rimesso circa €1,2 miliardi.
Il decreto “salva banche” adottato dal Governo sembra ricalcare in parte la nuova normativa europea del bail-in che coinvolge azionisti, obbligazionisti e correntisi sopra i 100.000 Euro nel caso di insolvenza bancaria(1).
6) Il caso Banca Popolare di Vicenza. Cosa è accaduto?
Il 22 settembre 2015 vengono effettuate perquisizioni da parte della Guardia di Finanza. Le indagini riguardano il periodo precedente al dicembre 2014, cioè prima che la vigilanza sulla banca Popolare di Vicenza passasse dalla Banca d’Italia alla Banca Centrale Europea e che quest’ultima intervenisse imponendo una drastica pulizia nei conti che ha comportato svalutazioni e perdite per miliardi di euro(3).
Dalle risultanze degli accertamenti del team ispettivo della Banca Centrale Europea è emerso che la Popolare di Vicenza ha erogato finanziamenti per 974,9 milioni ai propri clienti per far loro comprare azioni della banca. Un fatto gravissimo che ha ripercussioni molto pesanti sul patrimonio dello stesso istituto. Nel primo semestre del 2015 la banca ha chiuso con un rosso pari a più di un miliardo di euro, dei quali la maggior parte dovuti alla svalutazione di crediti deteriorati (703 milioni di euro)(4).
A seguito di ciò la BCE ha imposto alla banca un aumento di capitale pari a 1,5 miliardi di euro al fine di rientrare nel rispetto del limite del criterio patrimoniale CET1 ratio, pari ad un valore minimo del 10%.
Risultano indagati per aggiotaggio (rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio) e ostacolo alla vigilanza il presidente Gianni Zonin e l’ex direttore generale Samuele Sorato.
L’amministratore delegato Francesco Iorio ha varato un nuovo piano industriale che punta ad un ritorno all’utile nel 2016, con la chiusura di 150 filiali “improduttive”, l’eliminazione di tutte le partecipazioni non profittevoli, l’aumento di capitale in aprile 2016 e, subito dopo, la quotazione in Borsa.
Il 23 novembre 2015 il presidente Zonin rassegna le sue dimissioni dopo quasi 20 anni alla guida della banca. Al suo posto viene nominato l’imprenditore vicentino e vicepresidente di Confindustria, Stefano Dolcetta.
Il 5 marzo 2016 più di 11 mila soci della banca si sono riuniti in assemblea per votare la trasformazione in società per azioni, l’aumento di capitale e la quotazione in Borsa. Tutte le tre delibere sono state approvate, non senza polemiche e contestazioni.
All’aumento di capitale di fine aprile 2016 aderiscono solamente 5.000 vecchi azionisti su 120 mila, corrispondenti al 7,66% del capitale sociale, notevolmente meno della percentuale minima stabilita dalla Borsa Italiana per assicurare un flottante (il numero di azioni circolanti, emesse da una società, non rappresentative della parte di capitale che costituisce partecipazione di controllo) sufficiente, pari al 25%; per cui il 2 maggio viene negata l’autorizzazione alla quotazione alla Borsa di Milano.
Come conseguenza di ciò le domande presentate sono considerate nulle e tutto l’aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro, con l’emissione di 15 miliardi di nuove azioni a 0,10 euro, viene interamente sottoscritto dal “Fondo Atlante” che arriva così a controllare il 99,33% del capitale azionario dell’istituto. Francesco Iorio ha rassegnato le dimissioni il 6 dicembre 2016 e il suo posto è stato preso da Fabrizio Viola(3).
7) E per il caso Veneto Banca?
Sostanzialmente le modalità sono state le stesse rispetto quanto verificatosi con Banca Popolare di Vicenza.
L’assemblea straordinaria dei soci del 19 dicembre 2015 approva la trasformazione da Soc. Coop. a Società per Azioni (S.p.A.) come richiesto dal decreto legge 3/2015 del Governo Renzi, e la conseguente quotazione in borsa, con la necessità di un aumento di capitale da 1 miliardo di € per migliorare i deteriorati coefficienti patrimoniali (CET1 ratio). I soci dissenzienti possono recedere al prezzo di 7,30 € (perdita del valore dell’80% sul valore nominale), come determinato dal consiglio di amministrazione del 2 dicembre 2015.
All’aumento di capitale di fine giugno 2016 aderiscono solamente il 2,2% dei vecchi azionisti, notevolmente meno della percentuale minima stabilita dalla Borsa Italiana per assicurare un flottante sufficiente, pari al 25%; per cui il 27 giugno viene revocata l’autorizzazione alla quotazione alla Borsa di Milano. Come conseguenza di ciò, agli aderenti viene riconosciuto il diritto di revoca, che viene esercitato per un totale di 108.131.234 nuove azioni; tutto il resto dell’aumento di capitale da un miliardo di euro, con l’emissione di 10 miliardi di nuove azioni a 0,10 euro, viene sottoscritto dal “Fondo Atlante” (9.885.823.295 azioni, per un controvalore complessivo di 988.582.329,50 euro), Fondo che arriva così a controllare il 97,64% del capitale azionario dell’istituto(5).
Anche in questo caso, nel 2015 si è dovuto far ricorso ad una massiccia svalutazione dei crediti deteriorati (pari a 530 milioni di euro). La presenza di prestiti divenuti inesigibili ha avuto anche qui un peso preponderante nella crisi di questa banca(6).
Dopo il quasi totale azzeramento del valore delle azioni di Veneto Banca e Popolare di Vicenza avvenuto nel 2016 e a seguito della ricapitalizzazione avvenuta grazie al “Fondo Atlante”, questi due istituti hanno proposto un’offerta di indennizzo a 169.000 azionisti (pari all’82% del totale) che hanno acquistato azioni negli ultimi 10 anni, pari però ad una minima parte delle perdite e a condizione che nei primi 3 mesi del 2017 aderisca alla proposta almeno l’80% dei risparmiatori coinvolti.
8) Che cos’è l’indice patrimoniale CET1 ratio (o Common Tier Equity 1)?
E’ il parametro principale a cui banche, investitori e risparmiatori fanno riferimento per valutare la solidità di una banca. La BCE istituisce valori soglia di CET1 per ogni banca e per ogni Paese, anche se in linea generale il valore minimo indicato è quello dell’8%.
L’acronimo CET1 ratio sta in realtà per Common Tier Equity 1 ratio ed è il maggiore indice di solidità di una banca. Questo rapporto, espresso in percentuale, viene calcolato rapportando il capitale ordinario (azioni ordinarie più riserve) (Tier 1) con le attività (crediti della banca) ponderate per il rischio.
Cosa significa in sintesi questo rapporto? In sostanza il CET1 ratio ci dice con quali risorse l’istituto oggetto di valutazione riesce a garantire i prestiti concessi ai clienti ed i rischi rappresentati dai crediti deteriorati (o non performing loans).
La BCE e le autorità europee hanno deciso che tale indice non può essere inferiore all’8% in tutti gli Stati, pena il commissariamento della banca come avvenuto in Italia con Banca Etruria per fare un esempio.
Ad ogni Paese membro dell’UE è stato assegnato un CET1 ratio minimo per i propri istituti e all’Italia è stato designato un 10,5% in linea generale. Si parla di linea generale poiché la BCE, tramite il meccanismo unico di vigilanza, decide di volta in volta il target di CET1 per ogni istituto di credito.
Come viene regolato ogni singolo CET1? La BCE periodicamente svolge gli Srep test (acronimo di Supervisor Review and Evaluation Process) che le banche devono superare. Superata la fase di test, la BCE indica all’istituto di credito interessato il target di CET1 ratio da raggiungere in un certo periodo di tempo(7).
9) Banca Monte dei Paschi di Siena. Cos’è accaduto?
Anche in questo caso la crisi della banca è scaturita in prima istanza dai crediti deteriorati (45 miliardi di euro su un totale di 350 miliardi che coinvolgono l’intero sistema bancario italiano), oltre che a causa di operazioni rischiose (quali l’acquisto a sovraprezzo di Banca Antonveneta) e l’utilizzo di strumenti finanziari derivati (cioè legati al valore di un altro strumento finanziario o sottostante, quindi strumenti speculativi) per coprire le perdite (conseguenza comunque anche questa delle politiche europee che impongono con la restrizione dei deficit la riduzione della domanda aggregata, che causa la crisi delle aziende e il deteriorarsi dei crediti loro concessi).
Un’altra causa è sempre legata alle politiche imposte dall’UE (la normativa sul bail-in) che coinvolgono i risparmiatori nel salvataggio degli istituti in difficoltà e che hanno causato dal settembre 2014 al settembre 2015 per le banche italiane un calo del 27% dei titoli bancari nelle mani di investitori retail (investitori che comprano e vendono titoli per il proprio vantaggio e non per altre compagnie o organizzazioni)(8,9).
Di seguito si riassumono le principali vicende.
Il 30 luglio 2013, a Siena il pubblico ministero ha concluso le indagini sul dissesto che l’acquisizione sovrapprezzo della Banca Antonveneta avrebbe portato al Monte dei Paschi di Siena e mandato undici avvisi di garanzia, uno dei quali all’ex presidente Giuseppe Mussari, uno ad Antonio Vigni, ex direttore generale e uno a Gianluca Baldassarri, ex capo dell’area finanza, ai quali vengono imputati molti reati, come la manipolazione dei mercati e l’ostacolo alle attività di vigilanza. Oltre il Monte dei Paschi è stata indagata l’americana JPMorgan Chase.
Un altro filone d’inchiesta riguarda i contratti derivati Alexandria e Santorini, sottoscritti con la banca giapponese del Gruppo Nomura e la banca tedesca Deutsche Bank. I dirigenti incriminati si sono serviti dei derivati per coprire alcune perdite accusate in bilancio, spostandole sugli esercizi futuri. Questi contratti non sono stati rivelati né ai controllori interni né alla Banca d’Italia, che vigila su tutti gli istituti di credito; anche il consiglio d’amministrazione non è stato informato. Solo quando sono arrivati al Monte i nuovi vertici, queste operazioni e altre simili sono state scoperte. La Deutsche Bank era già sotto inchiesta in Germania. Il 31 ottobre 2014 si è concluso un processo riguardo un primo stralcio di questa inchiesta, con la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno e con l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, di Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gianluca Baldassarri, per ostacolo all’Autorità di Vigilanza. I restanti filoni d’inchiesta vengono trasferiti successivamente per competenza territoriale al Tribunale di Milano.
Un’altra inchiesta, aperta dalla Procura di Siena, riguarda la «banda del 5 per cento»: Gianluca Baldassarri, secondo l’accusa, era il capo di una banda di esperti della finanza che per più di dieci anni hanno rubato il 5% sulle operazioni finanziarie. Un’ultima inchiesta riguarda i reati fiscali durante la gestione dal 2005 al 2008; sono imputate 11 persone fra ex vertici e manager del Monte dei Paschi(8).
A seguito del fallimento dell’aumento di capitale necessario per il rispetto di quanto richiesto dalla BCE (che ha elevato la richiesta di ricapitalizzazione da 5 miliardi a 8,8 miliardi a fine dicembre 2016), il governo ha ottenuto il via libera dal parlamento per un nuovo decreto legge “salva banche”, che prevede un aumento per il 2017 di 20 miliardi di debito pubblico per finanziare il salvataggio degli istituti in difficoltà, compreso Monte dei Paschi(10).
10) I test eseguiti dalla BCE per valutare la solidità di una banca sono davvero affidabili?
La Banca Centrale Europea nell’eseguire i suoi test sul grado di affidabilità di un istituto bancario ipotizza degli scenari avversi impostando un valore limite per l’indice patrimoniale CET1 ratio, sotto il quale non bisogna andare. Questo indice tiene conto del capitale ordinario (azioni ordinarie più riserve) rapportato alle attività della banca in esame (i prestiti concessi) ponderate per un fattore di rischio.
In caso di una nuova forte recessione, applicando le regole della FED (la banca centrali degli USA) l’istituto tedesco ZEW ha calcolato per Deutsche Bank una ricapitalizzazione necessaria pari a 19 miliardi di euro, una cifra superiore di due miliardi all’attuale valore borsistico dell’istituto e molto complicata da rastrellate in un momento in cui i mercati guardano con diffidenza alle aziende del credito(11).
Il metodo applicato dalla FED per valutare la solidità delle banche è il leverage ratio, che considera il valore totale di tutti i prestiti realizzati da una banca, mentre il CET1 ratio pondera i crediti in funzione del rischio. Altre differenze di metodologia includono differenti limiti prudenziali applicati agli indici patrimoniali, differenti proiezioni di perdite sotto gli scenari di stress e diversi metodi di valutazione del valore delle azioni(12).
Nel valutare il grado di solidità di un istituto finanziario, a livello europeo non vengono considerati importanti fattori quali l’effetto dei tassi di interesse negativi applicati per decisione di Mario Draghi sulle riserve detenute presso la banca centrale, nonché l’esposizione agli strumenti finanziari derivati (si stima che Deutsche Bank sia esposta ai derivati per un valore lordo pari a 55 mila miliardi di euro).
Non è la sola Deutsche a uscire con le ossa rotte dopo essere passata sotto la lente dello ZEW. Sono state infatti 51 le banche europee esaminate. E il risultato è choccante: il fabbisogno di risorse fresche è di 123 miliardi, con i casi più problematici rappresentati, oltre che da Deutsche, dalle francesi Société Générale (13 miliardi) e Bnp Paribas (10 miliardi), la cui capitalizzazione di Borsa è, però, superiore al potenziale buco. Alla faccia della virtù dei tedeschi(11).
11) Ma la crisi bancaria esiste solo in Italia? Gli altri paesi europei sono più virtuosi di noi e non intervengono mai con soldi pubblici?
Abbiamo appena visto sopra che la situazione non è affatto così e che applicando i più rigorosi parametri della FED le banche più in crisi sono quelle tedesche e francesi. Per quanto riguarda l’intervento con fondi pubblici per la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà, l’Italia dal 2008 al 2014 ha speso solo 4 miliardi di euro, contro i 238 miliardi spesi nello stesso periodo dalla Germania (vedere immagine sotto)(13).

Fonti:
1: https://www.forexinfo.it/Banche-fallite-cause-conseguenze
2: http://www.repubblica.it/economia/finanza/2016/07/13/news/salva-banche_dopo_l_attesa_arriva_il_modulo_per_i_rimborsi-143991343/
3: https://it.wikipedia.org/wiki/Banca_Popolare_di_Vicenza
4: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/28/banca-popolare-di-vicenza-azionisti-e-dipendenti-pagano-il-disastro-zonin/1991927/
5: https://it.wikipedia.org/wiki/Veneto_Banca
6: https://www.forexinfo.it/Banche-in-crisi-il-caso-Veneto
7: https://www.forexinfo.it/Cet-1-ratio
8: https://it.wikipedia.org/wiki/Banca_Monte_dei_Paschi_di_Siena#Scandalo_MPS
9: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/01/19/tonfo-delle-banche-in-borsa-le-cause-e-i-titoli-piu-sofferenti-mps-perde-13-del-suo-valore-in-3-settimane/?refresh_ce=1
10: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-12-22/governo-pronto-nuovo-decreto-salva-banche-lavoro-gentiloni-annuncia-pacchetto-sud-194056.shtml?uuid=ADfwYwIC
11: http://www.ilgiornale.it/news/economia/deutsche-bank-rischia-buco-19-miliardi-se-arriva-recessione-1295725.html
12: http://www.sascha-steffen.de/uploads/5/9/9/3/5993642/benchmarking_august2016.pdf
13: http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/02/16/quali-banche-europee-hanno-ricevuto-piu-aiuti-pubblici-tra-il-2008-e-il-2014-spesi-800-miliardi-di-euro/

Pubblicato su La Voce di Romagna del 3 gennaio 2017, di Pier Paolo Flammini
Nel discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica Matterella ha affermato: “Per l’Italia la priorità resta il lavoro”. Come dargli torto? Tra l’altro, Mattarella è oggi il garante della Costituzione che come sappiamo dall’articolo 1 è “fondata sul lavoro”.
Sarà forse sorpreso, Mattarella, nell’apprendere che le regole dell’Unione Europea, alle quali si è sotto-ordinata la nostra Carta, non hanno invece l’obiettivo del lavoro per tutti, e anzi puntano chiaramente ad avere una quota di disoccupazione in grado di garantire un presunto equilibrio del mercato economico. Tutto scritto nero su bianco e ripreso poi dai documenti economici del Governo. Si chiama Nairu, significa “Tasso di disoccupazione che non accelera l’inflazione”, e attualmente per l’Italia è fissato tra l’11 e il 12%.
Ciò significa che l’intera politica per l’occupazione, e quindi la politica economica governativa, sono funzionali alla persistenza di un elevato tasso di disoccupazione. Mattarella ne dovrebbe essere consapevole.
La scuola economica della MMT invece è pensata per politiche pubbliche di detassazione e investimento tali da garantire una disoccupazione zero, pur in un sistema di libero mercato, regolato in base all’interesse pubblico. Meno tasse e più investimenti e anche, per coloro che temporaneamente restassero senza una occupazione, un sistema di Lavoro Transitorio tale da fissare uno stipendio minimo nazionale e di consentire ai cittadini di partecipare alla creazione del benessere collettivo (articolo 3). Un lavoro transitorio perché, non appena la fase critica dell’economia terminasse, si rientrerebbe in un impiego, dipendente o autonomo, stabile e solido. Si può e siamo sicuri che il Presidente Mattarella sarà con noi.