Articolo pubblicato da La Voce di Romagna sabato 1° ottobre

Renzi e Padoan amano l’austerità. La amano come un innamorato ama il soggetto desiderato in maniera così morbosa da vergognarsene in pubblico, dichiarando anzi di disgustarlo, per poi, inesorabilmente, inseguirlo.
Renzi e Padoan sono oramai al comando del nutrito vagone degli “schizofrenici del deficit”: entrambi ripetono a ogni intervista che la crisi italiana (ed europea) dipende da politiche di bilancio pubbliche troppo restrittive, per poi, un minuto dopo, assicurare che “ridurremo il deficit per il bene (sic!) dei nostri figli“. L’amore è irrazionale come queste dichiarazioni.
La razionalità, invece, è propria dei numeri, che pure Renzi e Padoan hanno scritto e firmato nella recente Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza. Ovviamente continuano a ridurre il deficit. Sempre più austeri. Tolgono a lavoratori e imprese e danno ai grandi risparmiatori internazionali.
Se nel 2014 Letta aveva un deficit al 3%, Renzi l’ha portato al 2,6% nel 2015, 2,4% nel 2016 e lo promette al 2% per il 2017 (che “potrebbe” essere alzato fino al limite del 2,4, se la Commissione consentirà, per le emergenze migranti e terremoto). Nel 2016 lo Stato Italiano, per ogni 100 lire di tasse incassate, ne ha spese 98,5 in servizi come sanità o investimenti come strade, nel 2017 su 100 lire di tasse la spesa sarà di 98,3 (e ne promette 96,8 nel 2019). Con un abile gioco delle tre carte, continua a prendere dalle tasche degli italiani più soldi di quanto ne infila.
Come fosse una gara di poker, nel 2016 lo Stato avrebbe vinto qualcosa come 25,7 miliardi. Chi perde? Lavoratori e imprese.
Ce lo chiede l’Europa, che altro importa? Auguri, italiani.
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