Traduzione di Marco Cavedon
 
MMT 101: Una replica alle critiche Parte 3.
Postato il 3 Dicembre da Devin Smith.
In questa parte introdurremo il settore privato nazionale.
Di Eric Tymoigne and L. Randall Wray
[Parte I] [Parte II] [Parte III] [Parte IV] [Parte V] [Paret VI]
 
Nella precedente puntata ci siamo concentrati soprattutto sul ruolo del governo all’interno del modello a circuito. In questo articolo studieremo l’interazione tra i settori governativo e non governativo mantenendo valida l’ipotesi del consolidamento (tra Tesoro e Banca Centrale, NdM).
 
Per gli scopi della nostra analisi, penseremo al settore non governativo come l’equivalente del settore privato nazionale; tuttavia l’analisi potrebbe benissimo includere lo stato (federato, NdM) e i livelli locali (non sovrani) del governo, così come il settore estero all’interno del settore non governativo.
 
In aggiunta affronteremo il problema delle potenziali pressioni inflazionistiche sollevato da Palley, le ragioni alla base del possesso della valuta del governo e i problemi del risparmio netto e dell’instabilità finanziaria posti da Fiebiger.
 
Come abbiamo argomentato in precedenza, noi crediamo che sia utile guardare alla nostra storia passata per apprendere qualcosa di utile circa il modo in cui funziona il sistema monetario. Mentre i governi delle colonie del Massachussetts-Bay enfatizzavano l’importanza di un (efficace) sistema di tassazione per la stabilità del loro sistema monetario, essi si resero conto anche del fatto che le tasse tendevano a drenare troppi titoli (di credito, NdM) dal sistema economico rispetto a ciò che desideravano gli attori dell’economia privata. Questo creò un dilemma:
Il ritiro di una larga fetta dei titoli di credito in circolazione attraverso la tassazione annuale, regolarmente produceva una situazione di austerità dalla quale il governo cercava di uscire attraverso il posticipo dei ritiri (dei titoli, NdM). Se i titoli non venivano ritirati nel rispetto dei termini degli atti di emissione la fiducia pubblica nei loro confronti sarebbe diminuita, mentre in caso contrario ci sarebbe stata una perturbazione nei confronti della circolazione della valuta regolare. Su questi punti ci fu un dissenso permanente tra il governatore e i rappresentanti. (Davies 1901, 21)
Gli attori economici del settore privato desideravano possedere i titoli per altri scopi diversi dal pagamento delle tasse e nella fattispecie spese quotidiane, scelte di portafoglio (diversificazione di attività finanziarie, NdM), risparmi cautelativi. Tuttavia, drenando tutti o la maggior parte dei titoli con le tasse, il governo impediva al settore privato interno di accumularne la quantità desiderata.
 
Allo stesso tempo, le tasse furono un elemento base per la fondazione del sistema monetario e quindi dovettero essere imposte e raccolte come previsto. In ultima analisi, i governi delle colonie non erano sicuri sul come procedere in termini di quantità di titoli di credito da ritirare.
 
La conoscenza della contabilità nazionale ci aiuta a risolvere questo dilemma. Iniziamo analizzando il flusso dei fondi all’interno dei conti. Questo approccio contabile utilizza i bilanci patrimoniali per analizzare i tre settori economici principali: il settore privato domestico o interno (DP – domestic private sector), il settore governativo (G – government) e il resto del mondo o settore estero (F – foreign sector) (Ritter 1963). Per il momento il settore estero sarà lasciato da parte.
 
Un bilancio patrimoniale è un documento di contabilità che registra ciò che un attore economico possiede (attività) e ciò che deve a qualcun altro (passività e patrimonio netto, dato dalle attività sottratte le passività – NdM).
 
 
Un bilancio patrimoniale elementare
 
ATTIVITA’ Attività Finanziarie (FA, financial assets) + Attività reali (RA, real assets)
PASSIVITA’ Passività Finanziarie (FL, financial liabilities) + Patrimonio Netto (NW, net worth).
 
Un bilancio patrimoniale deve sempre far tornare i conti, cioè la seguente uguaglianza deve sempre essere verificata:
FA + RA ≡ FL + NW o NW – RA ≡ FA – FL.
Tutti i settori macroeconomici possiedono un bilancio patrimoniale.
 
NdM: A = Assets (attività)  L = Liabilities (passività)
Le attività finanziarie sono pretese (di riscatto) nei confronti degli altri settori economici. Le passività finanziarie sono le pretese di riscatto degli altri settori economici su un particolare settore.
Per ciascun prestatore c’è sempre un qualcun altro che prende in prestito, così se mettiamo insieme le pretese di riscatto di creditori e debitori queste si devono annullare a vicenda (una deve avere segno positivo e l’atra deve essere di pari importo ma di segno negativo, NdM):
(FADP – FLDP) + (FAG – FLG) ≡ 0
Perciò, sommando i bilanci dei vari settori, ne deriva che la somma di tutti i patrimoni netti equivale al totale delle attività reali (attività e passività finanziarie si annullano tra di loro, NdM); ciò equivale a dire che solo le attività reali rappresentano una fonte d benessere per l’economia intera.
(NWDP – RADP) + (NWG – RAG) ≡ 0
Dato per certo che le precedenti equazioni sono corrette in termini di bilanci, è altrettanto vero che sono verificabili anche in termini di variazioni di questi bilanci (flussi):
Δ(FADP – FLDP) + Δ(FAG – FLG) ≡ 0
Δ(FA – FL) (la variazione della differenza tra attività e passività, NdM) viene definita come prestito al netto o accumulazione finanziaria netta. Se un settore economico accumula più pretese di riscatto sugli altri settori rispetto a quelle realizzate dagli altri settori nei suoi confronti, questo settore economico è un prestatore al netto: Δ(FA – FL) > 0.
 
E’ pienamente corretto concludere che  non tutti i settori possono essere prestatori al netto nello stesso tempo. Questo significa che se un settore accumula una quantità al netto di attività finanziarie, nello stesso tempo un altro sta accumulando una quantità netta di debiti. Solitamente il settore privato nazionale è un “prestatore” al netto (nella terminologia comunemente adottata vale a dire che registra un accumulo netto di attività finanziarie), mentre il settore governativo è un debitore al netto (cioè esso emette più debiti rispetto al volume di attività finanziarie che accumula).
 
Questo quadro contabile non è teoria ma fornisce un contesto per poter raggiungere obiettivi adeguati di politica economica. Certamente, tralasciando la quantità degli aggiustamenti economici necessari – variazioni del tasso di cambio della valuta, cambiamenti del tasso di interesse, fluttuazioni del reddito aggregato, ecc. – alcuni risultati finanziari desiderati non possono mai essere ottenuti ed è profondamente controproducente continuare a realizzare politiche economiche che mirino ad ottenere risultati incompatibili con le stesse.
 
L’implicazione più importante per quanto riguarda la politica economica è che, in una economia chiusa, per un governo non rappresenta una scelta coerente promuovere il risparmio nel settore privato e nello stesso tempo cercare di raggiungere un bilancio in surplus: se il settore privato realizza un surplus per definizione il governo sta realizzando un deficit (sempre in una economia chiusa).
 
{In una economia aperta sia il settore privato nazionale che il settore governativo potrebbero essere in surplus, ma ciò significherebbe che il resto del mondo si trova in deficit per quanto riguarda il saldo delle partite correnti. Ovviamente, per ogni saldo delle partite correnti in surplus ce ne deve essere un altro in deficit, cioè è impossibile che tutte le nazioni possano trovarsi in una condizione di surplus finanziario. A sua volta questo significa che non è possibile per tutte le nazioni nello stesso tempo realizzare dei surplus per il loro settore privato in concomitanza con surplus del bilancio del governo.}
Oltre che assicurare decisioni di politica economica realizzabili, le identità contabili ci forniscono anche un quadro logico per mettere in piedi una teoria. In prima istanza, la MMT afferma che le decisioni fiscali del governo in ultima analisi sono guidate dal desiderio di accumulo al netto di attività finanziarie da parte dei settori non governativi. Sappiamo che la contabilità di un bilancio richiede che per il governo sia valida la seguente equazione:
G – T – ΔFAG + ΔFLG ≡ 0  di conseguenza  ΔFLG ≡ – (G – T) + ΔFAG    (G = spesa pubblica, T = tasse, NdM); pertanto, in una condizione di equilibrio, l’equazione contabile richiede che la posizione fiscale sia:
(G – T)* = Δ(FADP – FLDP)d = Δ(FADP – FLDP) (* sta per segno inverso, NdM)
Un modo più chiaro per rappresentare questa identità può consistere nel notare che:
Δ(FADP – FLDP) ≡ Δ(NWDP – RADP) = SDP – IDP      (S = risparmio, I = investimenti, NdM)
In questo caso abbiamo che:
(G – T)* = (SDP – IDP)d = (SDP – IDP)
Di solito il settore privato nazionale desidera risparmiare al netto (cioè accumulare risparmio netto finanziario oltre che attività reali) e pertanto il settore governativo deve essere in deficit (sempre considerando il caso di una economia chiusa).
 
Se la posizione fiscale del governo è in surplus o in un deficit che non corrisponde al desiderio di risparmio netto del settore privato nazionale, il reddito nominale nazionale subirà un aggiustamento dal momento in cui il settore privato interno cambierà il suo livello di spesa. Col variare del reddito nazionale cambiano anche gli stabilizzatori automatici (il bilancio del governo, NdM), così che la posizione fiscale (del governo) muterà per venire incontro al livello desiderato dal settore non governativo. Il reddito nazionale cambierà (a livello di produzione e/o di prezzi) a seconda dello stato attuale dell’economia e di come gli aggiustamenti influiscono sui desideri (di risparmio del settore non governativo, NdM).
 
In secondo luogo, tornando al problema delle colonie del Massachusetts, fintantoché  il settore privato interno desidera accumulare al netto la valuta del governo, non c’è bisogno che questi ritiri tutta la valuta emessa attraverso la tassazione, cioè non c’è bisogno di realizzare un pareggio di bilancio.
La domanda su come deva essere realizzata una corretta politica fiscale (o altri interventi economici) per ottenere la piena occupazione non può trovare una risposta senza considerare il desiderio di accumulo al netto di attività finanziarie governative da parte dei settori non riconducibili al governo federale. Pertanto, contrariamente a quanto argomenta Palley, non c’è bisogno di stabilire che si debba realizzare il pareggio di bilancio in condizioni di piena occupazione per prevenire l’inflazione:
 
Non c’è alcuna costrizione finanziaria su G (la spesa del governo, NdM), considerando la prerogativa del governo di poter emettere valuta sovrana. Tuttavia, dal momento in cui l’economia raggiunge un livello di produzione associata alla piena occupazione, le tasse (T) devono essere alzate per assicurare il pareggio di bilancio […] Questa condizione di pareggio di bilancio deve essere soddisfatta al fine di preservare il valore della moneta fiat. In una economia che non cresce, se l’autorità fiscale continua a realizzare dei deficit di bilancio finanziati con l’emissione di moneta, ciò farà sì che la fornitura di denaro aumenti rispetto al PIL causando inflazione. (Palley 2013, )
Il bilancio fiscale in una condizione di piena occupazione dipenderà dal risparmio al netto desiderato da parte dei settori non governativi. Se il risparmio netto desiderato dal settore privato nazionale è positivo al reddito percepito con la piena occupazione, un deficit fiscale non causa pressioni inflazionistiche. [1] Allo stesso modo, se il deficit è troppo alto rispetto al livello di risparmio netto desiderato dal settore non governativo interno, ci saranno pressioni inflazionistiche dovute ad una domanda eccessiva in condizioni di piena occupazione, dal momento in cui il settore interno privato sta spendendo fondi non voluti. Di nuovo il caso del Massachusetts ci fornisce delle evidenti prove di ciò, con le guerre che hanno portato ad un aumento della spesa discrezionale del governo e ad una diminuzione degli introiti fiscali con conseguenti pressioni alla salita sui prezzi.
Tuttavia, dal momento in cui il reddito nazionale aumenta la spesa non discrezionale del governo calerà e le tasse aumenteranno. Questo accadrà senza cambiamenti strutturali del sistema di tassazione e senza decisioni di politica economica volte all’abbassamento della spesa discrezionale, ma semplicemente grazie agli stabilizzatori automatici (un PIL che cresce porta automaticamente a maggiori introiti fiscali e ad un livello di spesa necessaria da parte del governo di minore entità, NdM).
 
Pertanto, contrariamente a quanto afferma Palley, potrebbe non esserci alcun bisogno di alzare le tasse in maniera proattiva (ad esempio alzando le aliquote fiscali o imponendo nuove tasse) e di tagliare la spesa, dal momento in cui l’economia funziona meglio se sussistono degli stabilizzatori automatici abbastanza forti. Ma questo non significa che un surplus sia necessario durante una fase di espansione.
 
Riassumendo, la MMT certamente non afferma che in una situazione di piena occupazione il governo non possa realizzare una pareggio di bilancio; può farlo, ma non spetta al settore governativo prendere questa decisione. [2]
 
Come terzo punto, dalla precedente discussione non si deve desumere che la MMT sia a favore di un deficit fiscale, né per il surplus o il pareggio di bilancio. La MMT è agnostica per quanto riguarda la posizione fiscale di un governo a moneta sovrana di per sé.
Come sostiene Abba Lerner con il suo approccio della “finanza funzionale”, la posizione fiscale non rappresenta un rilevante obiettivo di politica economica per un governo a moneta sovrana. La stabilità dei prezzi e finanziaria, una crescita moderata degli standard di vita e la piena occupazione rappresentano i veri obiettivi macroeconomici e la posizione fiscale del governo deve essere giudicata relativamente ad essi e non di per se stessa.
 
Se si verifica inflazione legata alla domanda, la politica fiscale è troppo permissiva (il surplus è troppo piccolo o il deficit è troppo grande); se si è in una situazione di disoccupazione non frizionale (dovuta a persone che cambiano un lavoro per cercarne un altro, NdM), la posizione fiscale del governo è troppo rigida. Anche se la fragilità del sistema finanziario cresce a causa di una diminuzione dei risparmi del settore privato nazionale, la posizione del governo è probabilmente troppo restrittiva.
 
Come quarto punto, per assicurare la stabilità del sistema economico, di solito è importante che il settore privato nazionale non sia un debitore netto. Certamente, se il settore privato interno fosse un debitore netto, questo significa che la quantità di attività finanziarie da esso possedute sta diminuendo dal momento in cui il prendere in prestito da altri settori cresce più velocemente rispetto all’accumulo lordo di pretese finanziarie rispetto questi stessi settori.
 
Di conseguenza, il risparmio netto diminuisce a meno che il valore nominale delle attività reali non cresca abbastanza velocemente attraverso l’aumento dei prezzi. Questo è esattamente ciò che è successo durante il recente boom immobiliare, quando l’esplosione speculativa dei prezzi delle case fu abbastanza rapida da sostenere la ricchezza delle famiglie nonostante il livello di indebitamento (privato) senza precedenti.
Certamente tutto questo è in linea con l’Ipotesi dell’Instabilità Finanziaria di Minsky (Tymoigne e Wray 2014). Se il settore privato nazionale è un prestatore al netto (è in attivo, NdM) questo implica che il settore governativo federale deve essere in deficit, a meno che non sia il settore estero a voler essere in deficit. [3]
Questo è anche in linea con l’argomentazione di Wynne Godley, che sosteneva che “Senza un politica fiscale espansiva, la produzione reale (di beni e servizi, NdM) non può crescere a lungo” (Wynne Godley, 2000). Mentre questo concetto non si applica a nazioni che possono sostenere surplus cronici del saldo delle partite correnti (saldo delle interazioni col settore estero, NdM), questa politica “Mercantilista” del “mendicare al tuo vicino” diviene una necessità in assenza di una valuta sovrana. Questo è un punto che Wynne riconobbe ancora nel 1992, quando criticò la creazione dell’EMU (Unione Monetaria Europea, NdM): ”Il potere di emettere la propria moneta indebitandosi con la propria banca centrale rappresenta ciò che definisce principalmente l’indipendenza di una nazione. Se un paese rinuncia o perde questo potere esso acquisisce lo status di un ente locale o una colonia.”
 
Come quinto punto, contrariamente a quanto affermano Palley, Rochon, Vernango e Davidson, la MMT non crede che la sola ragione per detenere la valuta del governo consista nel pagamento delle tasse. Le tasse rappresentano solamente una condizione sufficiente per rendere una valuta accettabile – non sono una condizione necessaria; tuttavia storicamente le tasse e altre obbligazioni nei confronti delle autorità governative hanno giocato un ruolo centrale nello sviluppo del moderno sistema monetario, a partire almeno dall’Antico Egitto. La valuta del governo può essere posseduta (da parte del settore privato, NdM) anche per altri motivi, come dimostra l’esperimento del Massachusetts. In realtà è per questo motivo che il governo può realizzare dei deficit, dal momento in cui le persone vogliono possedere strumenti finanziari emessi dallo stesso (in forma monetaria o meno) non solo per il pagamento delle tasse (Wray 2012).
E’ una vergogna che gli economisti eterodossi non comprendano la differenza tra condizioni necessarie e sufficienti. Avrebbero potuto evitare un mucchio di inutili polemiche se avessero notato che noi riteniamo che le tasse rappresentano una condizione sufficiente per creare una domanda di valuta emessa dal governo, ma potrebbero non essere una condizione necessaria. E prima che ci facciate altre critiche non pertinenti permetteteci di aggiungere che noi stiamo ipotizzando che il governo che impone passività sotto forma di tasse abbia la volontà e la capacità di raccoglierle almeno in parte. Se un governo non vuole o non è capace di raccogliere alcuna tassa, questa politica fiscale potrebbe non essere sufficiente per creare una domanda della valuta.
 
Come sesto punto, Fiebiger ha perfettamente ragione quando afferma che il precedente quadro contabile non è sufficiente per capire come la fragilità finanziaria cresca all’interno di una specifico settore all’interno del settore privato nazionale, dal momento in cui le attività e le passività finanziarie possedute da questo sotto-settore sono state eliminate dall’analisi di cui sopra.
Tuttavia, l’equazione del flusso dei fondi aiuta molto nel comprendere le relazioni economiche tra il settore pubblico e quello privato, che è uno dei punti della MMT.
 
In aggiunta, la MMT differenzia il risparmio (nell’equazione del flusso finanziario esso equivale alla variazione del patrimonio netto: ΔNW) dal risparmio netto (risparmio meno investimenti). Il risparmio netto ci mostra come avviene l’accumulo di patrimonio al netto al di là dell’accumulo di attività reali (ci fa vedere l’accumulo delle attività finanziarie al netto NdM). Per il settore privato nazionale, questo avviene attraverso un accumulo al netto di attività finanziarie nei confronti del settore governativo e di quello estero.
 
Il punto centrale qui è che i deficit del governo aumentano il risparmio e il risparmio netto del settore privato nazionale. Lavoie nota che:
 
Mentre potrebbe sembrare che i deficit del governo siano opportuni per una economia in crescita – dal momento in cui forniscono al settore privato attività sicure che crescono in linea con quelle private, presumibilmente meno sicure – è una cosa completamente diversa affermare che i deficit del governo siano necessari perché c’è bisogno di liquidità. Anche se il governo mantiene il pareggio di bilancio, il denaro della banca centrale potrebbe essere fornito ogni volta che questa realizza degli avanzi nei confronti del settore privato (presta soldi al settore privato, NdM). (Lavoie 2013, 9)
Questo è corretto ma non coglie il punto della MMT che si riferisce al risparmio netto. Fornire avanzi non porta al risparmio netto di valuta del governo dal momento in cui le attività finanziarie del settore privato nazionale aumentano della stessa quantità con la quale aumentano le passività finanziarie.
 
Messa in un altro modo, gli avanzi devono essere ripagati così il guadagno di valuta del governo è solo temporaneo. Solo un deficit del governo che avviene tramite una politica fiscale porta al risparmio netto.
 
La politica monetaria può cambiare la composizione del risparmio netto comprando attività finanziarie all’interno del settore privato nazionale in cambio di valuta del governo (scambiando titoli con riserve, NdM), ma non può cambiare la dimensione del risparmio netto, dato dall’accumulo al netto di attività finanziarie.
 
Possiamo pensarla in questo modo. Di solito, una banca centrale crea denaro all’atto del credito, mentre il Tesoro lo crea all’atto della spesa pubblica. La differenza è importante: la politica fiscale crea attività finanziarie al netto; la politica monetaria non fa altro che “liquefare” attività finanziarie (crea delle attività subito annullate dalle passività, in quando presta denaro, NdM). Questo fa parte di una normale divisione delle responsabilità (all’interno del governo di uno stato, NdM), ma ci si può immaginare una banca centrale che spenda le sue banconote per comprare beni reali e servizi e un Tesoro che presti (la sua valuta). Entrambi (Tesoro e Banca Centrale, NdM) sono rami di un governo sovrano e devono eseguire ciò che questo governo sovrano vuole che essi facciano.
Inoltre, non c’è una ragione necessaria per la divisione netta di queste responsabilità e storicamente ci sono stati governi sovrani che hanno agito senza banche centrali, con tutte le operazioni (di politica monetaria e fiscale, NdM) consolidate all’interno di un unico tesoro o ministero delle finanze.
 
Nella prossima puntata ci addentreremo in un dettagliato esame della banca centrale.
 
[1] Noi riconosciamo che l’inflazione si può verificare prima del raggiungimento della piena occupazione e che le politiche di spesa (o tassazione) del governo possono portare ad inflazione attraverso, per esempio, il raggiungimento della stessa piena occupazione. Qui tuttavia vogliamo rispondere all’affermazione di Palley secondo la quale in un regime di piena occupazione il governo deva realizzare un pareggio di bilancio per evitare di causare inflazione. Facciamo notare anche che Keynes utilizzò il termine “vera inflazione” per indicare una situazione nella quale una spesa aggiuntiva causa inflazione perché l’elasticità della produzione tende a zero quando tutte le risorse (lavorative) sono pienamente impiegate. Questo sembra essere lo scenario che Palley ha in mente. Tuttavia, la sua argomentazione secondo la quale se c’è un deficit di bilancio in piena occupazione necessariamente ci deve essere “vera inflazione” è sbagliata.
 
[2] Non vogliamo affermare che le decisioni del governo non abbiano un impatto. Per esempio, una politica che sposti il reddito verso le classi ricche potrebbe far crescere il desiderio di risparmio del settore privato, portando come risultato dei deficit di bilancio più grandi in una situazione di piena occupazione; una politica economica che miri a creare lavoro con il metodo del New Deal al fine di arrivare alla piena occupazione potrebbe invece essere coerente con un pareggio di bilancio. In altre parole, la politica economica del governo può influenzare il comportamento del settore privato.
 
[3] Si noti che lo stato (federato, NdM) e i governi locali – che non sono delle realtà sovrane della loro moneta – cercano di realizzare dei bilanci in surplus. Nel caso degli Stati Uniti, quasi tutti gli stati hanno delle costituzioni che impediscono di realizzare bilanci in deficit. Sempre nel caso degli Stati Uniti, quando non sono in corso delle recessioni profonde gli stati e i governi locali realizzano dei surplus di bilancio e anche il settore estero realizza degli importanti surplus nei confronti della nazione. Per il settore privato interno avere dei surplus significa che il governo federale deve realizzare un grande deficit per far fronte ai surplus dei governi locali, del settore estero e dello stesso settore privato nazionale. Non c’è motivo di ritenere che ciò possa causare inflazione – indipendentemente dal livello della disoccupazione.

Randall Wray