L’uscita dall’euro come una decisione da prendere in segreto, tra il giorno e la notte, e poi la vita continua come prima? Rischia di non essere così soprattutto se il ritorno ad una moneta nazionale verrà (mal)pensato soltanto da singoli settori del sapere, senza connettere competenze e discipline come, invece, si necessita. Non è soltanto un aspetto di politica monetaria. Il trapasso da una moneta come l’euro alla nuova lira dovrà essere accompagnato anche da precise scelte giuridiche per districarsi, a livello internazionale, nei trattati sottoscritti dall’Italia.
Vi sono poi valutazioni che i “no euro” più semplicistici della Penisola non considerano: quello politico-culturale-informativo. Ogni azione è connessa con una miriade di informazioni e senza disegnare lo scenario finale il percorso alla decisione alla soluzione rischia di essere impossibile. Senza dimenticare gli aspetti che non si studiano in alcun testo universitario. Ovvero la concreta applicazione del ritorno alla moneta nazionale nella vita di ogni giorno, dalla massaia all’impiegato, dalla cassiera al benzinaio, dal commesso al direttore di un ipermercato. Non considerando tutti questi aspetti l’auspicato ritorno alla democrazia rischia di essere un campo di battaglia ricordato solo per l’enorme dispendio di energia e i gravi errori di gestione che saranno palesi fin dalle prime ore.
Affidiamo dunque alla narrazione, pur sintetica, quanto esposto, in modo da riprodurre uno scenario realistico relativo alla percezione dell’evento da parte di comuni cittadini e non, come avvenuto fino ad ora, da parte di presunti esperti che non si spostano da testi tecnici e mono-settoriali, economici in primis.
Ricordiamo che la Me-Mmt ha da tempo definito i dettagli della metodologia di ritorno alla moneta nazionale ben diversi proprio per evitare gli errori che sono evidenziati nel testo seguente (clicca qui), ovviamente in maniera sintetica per consentire una presa di coscienza collettiva.

 
Lorenzo aveva sentito lo smartphone vibrare incessantemente appena acceso, prima ancora di lavarsi e sbarbarsi, come d’abitudine, al mattino. I messaggi degli amici, su Facebook, Whatsapp e posta elettronica, avevano un unico oggetto: “Ma come faremo oggi con le lire?”. Il fine settimana era trascorso tra furibonde polemiche fra la maggioranza di governo e le minoranze. Ii vertici industriali e buona parte dei sindacati. Giornalisti, opinionisti, esperti economici e finanziari. Ognuno aveva espresso la sua opinione con l’abituale carica di polemiche.
Il venerdì sera precedente, in un discorso in diretta televisiva su Rai Uno, il presidente del Consiglio aveva detto che il lunedì successivo si sarebbe tornati ad usare la lira. Aveva spiegato che il cambio iniziale era fissato in 1:1, ovvero un euro sarebbe equivalso ad una nuova lira, e che da quel momento le contrattazioni internazionali avrebbero deciso, giorno per giorno, il valore della nuova lira nei confronti dell’euro, del dollaro, della sterlina e di tutte le altre monete.
Aveva anche parlato di molte decisioni economiche collegate a quella scelta, ma immediatamente il volume delle polemiche era stato così elevato da non consentire neanche di riflettere su questa parte delle sue dichiarazioni. Dal resto d’Europa giungevano critiche violente su quella decisione, il Presidente della Repubblica aveva taciuto ma fonti affidabili riportate nei mezzi di comunicazione parlavano di un suo visibile turbamento per quella improvvisa decisione, della quale non era stato informato.
Tuttavia in molte città vi erano state manifestazioni spontanee di giubilo e anche altre, meno numerose ma non meno cariche di pathos, contrarie a quella scelta. Il Presidente del Consiglio aveva parlato di un Piano B predisposto con l’ausilio di economisti italiani e internazionali di assoluto valore. Aveva spiegato di aspettarsi forti critiche e anche difficoltà in quella prima settimana, ma di essere convinto della scelta, “in nome della nostra Costituzione e dopo due mesi di trattative inutili con la Troika”. Proprio così, l’aveva chiamata.
Lorenzo, come quasi tutti gli italiani, continuava ad informarsi senza sosta. Alcuni esperti di comunicazione avevano affermato che, seppure spalmata su diverse ore e giorni, l’interesse mostrato dalla popolazione per il ritorno alla moneta nazionale era pari soltanto ad altri grandi eventi storici: la finale di Coppa del Mondo di Calcio, il disastro delle Twin Towers. Mentre consumava il rapido caffè del mattino non poté che accendere il televisore, quasi che lo smartphone non fosse stato fin lì sufficiente, e collegarsi ad un canale all news. La notizia di apertura era ovviamente dedicata al ritorno alla nuova lira. Dalla mezzanotte tutti i conti corrente erano stati trasformati coattivamente da euro in nuova lira, e tutti i mutui e i debiti avevano seguito lo stesso percorso.
I notiziari affermavano che non tutti i bancomat italiani avevano a disposizione le nuove banconote quando, dopo la mezzanotte, in quasi tutte le città migliaia di cittadini si erano recate a ritirarle per i primi prelievi. Nessuno degli esperti governativi si aspettava in piena notte un flusso di richiesta così elevato. Il punto è che si era scatenata un’attesa di avere in mano le “nuove lire” (erano state mostrate in tv e le immagini giravano sui social network) indipendentemente dalla necessità di averle per acquistare qualcosa. 
Ad esclusione della Capitale, di Milano e dell’area di Napoli, in realtà, l’operazione di distribuzione delle nuove banconote, che per una serie di ritardi e verifiche era stata avviata fuori tempo massimo rispetto alla tabella inizialmente prevista dal governo, era iniziata alle prime luci dell’alba e da Roma furgoni blindati erano in viaggio verso le principali sedi bancarie di tutta Italia.
I primi servizi televisivi del mattino si svolgevano infatti dentro gli sportelli bancari, poiché i bancomat erano stati chiusi a causa del caos originato dalla richiesta di nuove lire ancora indisponibili. Un direttore di una cassa di risparmio locale abruzzese spiegava al Tg1 Mattina che “occorrerà un po’ di tempo per modificare tutte le impostazioni del bancomat e anche tutte le rilevazioni elettroniche delle banconote e delle monete agli sportelli”; inoltre i tecnici addetti a quel settore erano al momento contesi tra tutte le banche, per cui, non appena sarebbe arrivato il denaro a disposizione, l’unico modo esistente per consegnare nuove banconote e monete era quello di recarsi allo sportello per un conteggio manuale dei cassieri. In molte banche, all’ingresso, era attinto il cartello: “Nuove lire ancora non disponibili”.
Lorenzo in automobile continuò ad aggiornarsi sulle vicende ascoltando i giornali radio, i quali, tranne che per brevi pause pubblicitarie, fornivano informazioni a getto continuo sulla questione. Telefonate da cittadini incavolati, testimonianze, notizie dal mondo finanziario e politico internazionale, rassegne stampa, analisi di esperti politici di maggioranza, di minoranza ed economisti italiani e internazionali: il flusso di informazioni sembrava inesauribile.
Anche di fronte alla sua banca la situazione era caotica. Un nugolo di una trentina di persone stazionava tra ingresso e bancomat posto sul principale viale cittadino. Lorenzo accostò l’automobile e chiese ad un paio di persone, sporgendosi dal finestrino, quale fosse la situazione. Gli rispose un conoscente, che lavorava in un’assicurazione con la quale aveva sottoscritto una polizza per l’auto qualche anno addietro: “Stanno aspettando che arrivino le banconote e le monete, dicono saranno qui per mezzogiorno, per ora bisogna continuare a spendere euro”.
Ma dopo il Gr delle nove le notizie assunsero una direzione differente rispetto a quelle ascoltate fino a quel momento. La riapertura dei mercati europei era attesa come una prova del nove. Come se quello che sarebbe accaduto al primo minuto di contrattazione avrebbe governato tutti gli accadimenti successivi, per mesi e anni. La lira veniva adesso scambiata e le prime notizie confermavano tutte le previsioni fin lì ascoltate, comprese quelle del governo. La lira era già scesa del 7-8% rispetto all’euro, che a sua volta aveva perso il 5% del suo valore sul dollaro.
La diffusione di questa informazione, concomitante alla difficoltà di reperire lire “in carne ed ossa” dalle banche dislocate nelle città italiane sia per l’alta richiesta sia per tempi di distribuzione rallentati, stavano provocando un effetto non previsto dal governo, ma paventato da settori della minoranza politica e da alcuni editorialisti economici del Corriere della Sera, de La Stampa e di Repubblica.
L’euro già valeva più della lira, dopo pochi minuti di contrattazioni.
I correntisti più esperti e i grossi detentori di capitale avevano dato ordine di vendere lire e acquistare euro, in previsione di una ulteriore svalutazione della lira nelle ore seguenti. Si prevedeva che nel giro di due o tre giorni la lira “perderà tra il 30 e il 50% del suo valore rispetto all’euro”, ripetevano tutti i notiziari e i giornali on line, per poi recuperare e assestarsi ad un livello di equilibrio con una perdita tra il 20 e il 30%”. Chi fosse stato abile a detenere euro, almeno in questa prima fase, per poi venderlo successivamente, o non venderli per nulla, avrebbe guadagnato margini enormi.
Nonostante l’annuncio del venerdì non fosse stato atteso, la difficile trattativa con la Troika aveva preannunciato come possibile l’uscita dell’Italia dall’Eurozona. Nelle ultime settimane la liquidità ritirata dai depositi era cresciuta giorno dopo giorno, pur senza giungere ai livelli d’allarme registrati qualche tempo prima in Grecia. 
La contemporanea difficoltà a possedere moneta “in carne ed ossa” stava originando un effetto amplificato, anche questo imprevisto dai consulenti economici del governo. In tanti si erano recati nelle banche per chiedere lire; in alcuni sportelli di provincia il quantitativo depositato era terminato presto, perché si era preferito fornire tutti i punti di distribuzione di banconote e monete anche a costo di dover frazionare quel primo “scarico” (si attendeva l’ora di pranzo per rimediare a questo problema); in altri, soprattutto nelle grandi città, i tempi di consegna erano dilatati a causa delle difficoltà di bancomat e apparecchi di conteggio non tutti ancora ben settati; così per le spese rituali di giornata, in mancanza di lire, in molti chiedevano euro.
Anche perché il governo, per evitare confusione e anche con misura necessaria per il consenso, aveva rinviato per quel mese tutti i pagamenti delle tasse in lire, rimandandoli al 1° giorno del mese successivo. Come avevano previsto alcuni economisti, questa decisione, se da un lato favoriva i debitori dando loro maggior tempo per il pagamento, dall’altro li esentava, in quelle prime tre settimane, dal procacciarsi lire. Non si sentivano ancora obbligati ad usare quella nuova moneta nazionale.
Appena Lorenzo arrivò in ufficio, il saluto coi colleghi fu più rapido che mai e il discorso unico fra tutti loro era relativo al caos che si stava originando con l’introduzione della nuova moneta. I computer erano tutti sintonizzati sui siti internet e anche Lorenzo si collegò a Corriere.it, dove, in una finestra pop-up, partivano servizi video in diretta da diverse città d’Italia.
Una anziana signora dimostrava come per prendere il carrello della spesa fuori da un supermercato fossero necessarie monetine da 50 centesimi o un euro. La giornalista, trafelata, correva all’interno dove, guarda un po’, il responsabile della Coop spiegava che per modificare le impostazioni soltanto di questo piccolo sistema sarebbero occorsi giorni se non settimane, considerando che occorreva farlo in tutti i supermercati Coop in Italia e che lo stesso lavoro era al momento richiesto in tutti i supermercati italiani anche di altre catene come Conad, Lidl, Eurospin. Le nuove monete da cinquanta centesimi di lire o una lira erano infatti di dimensioni di gran lunga ridotte rispetto alle corrispondenti in euro, e quindi non fruibili.
Il responsabile della Coop mostrava anche la situazione relativa ai distributori automatici: “Stamattina ho subito chiamato l’agenzia che si occupa della loro manutenzione. Mi hanno detto che la scelta del governo è stata improvvisa, dovranno lavorare per giorni o settimane prima di ricalibrare tutto”.
La stessa cosa avveniva nei self service della benzina, tutti funzionanti in euro. Si aveva bisogno di euro per “vivere”: fare benzina, acquistare l’acqua nelle macchine automatiche in ufficio, negli ospedali, usare un carrello della spesa. 
Ma il punto che più di tutti stava facendo discutere, grazie anche ad interviste video che da tutte le città d’Italia venivano rilanciate dalle testate televisive e on line nazionali, era la svalutazione improvvisa della lira, per altro prevista. Anziani ma anche adulti si mostravano sempre più rabbiosi. Da Bergamo un insegnante intervistato mentre si recava in banca sintetizzò in poche parole quello che, come lui, pensavano milioni di italiani: “Avevo 30 mila euro in banca, mi hanno detto che adesso sono 30 mila lire, ma già ho perso il 10% del valore, pari a 3 mila lire, e rischio di dimezzare i miei risparmi in poche ore. Mi sento derubato da questo governo“. Il ministro dell’Economia rispose che la svalutazione era nei confronti delle monete straniere come l’euro e che tutto poteva capovolgersi, tuttavia rimase senza risposte quando i giornalisti che lo stavano intervistando in studio gli fecero presente che in molti, in quei giorni, avevano ritirato i depositi in euro e che quindi si stavano arricchendo rispetto ai cittadini che non lo avevano fatto e che erano, al confronto, impoveriti.
Tutte le associazione dei consumatori stavano minacciando azioni legali per la lesione dei risparmi privati avvenuta con una decisione improvvisa del governo, che non avevano lasciato la possibilità ai risparmiatori di scegliere cosa fosse per loro più conveniente.
Dall’estero e in Italia la richiesta di vendita di lire per ottenere euro o anche dollari, era altissima: alle 11 la nuova moneta perdeva circa il 15% su un euro in grave svalutazione sul dollaro, pari al 7%. Lorenzo fu chiamato dal responsabile dell’ufficio marketing: “In pratica chi stamattina ha spostato i suoi risparmi in euro è ricco quasi il 20% in più di chi non l’ha fatto”. Parlarono ad alta voce per diversi minuti, cercando di capire cosa stava accadendo. Alla fine tutti i sei impiegati e il titolare, in ufficio, decisero di chiamare le rispettive banche chiedendo di vendere tutte le lire e acquistare euro in valore equivalente, in base alla stima di una svalutazione dei risparmi in lire tra il 25-30% entro il giorno successivo. Fu difficile parlare con i responsabili delle rispettive banche, subissati di chiamate ad un ritmo sconosciuto fino a quel giorno. L’operazione da loro richiesta era stata ordinata già da molti risparmiatori, e fu quindi sufficiente dare piccole indicazioni per far comprendere le proprie necessità.
In molti iniziavano anche a sostenere che l’iniziativa del governo fosse stata un fallimento e l’Italia avrebbe continuato a gestire l’euro, pur in una doverosa revisione dei vincoli di bilancio imposti da Bruxelles. Tutti i sondaggi, pur con differenti risultati, sostenevano che la stragrande maggioranza degli italiani, variabile dal 70 all’80%, era contrario al ritorno alla liraalmeno in quel modo così improvviso; e della parte restante una buona metà criticava i metodi del governo. Appena un italiano su dieci sembrava felice della scelta, quando soltanto il sabato precedente il 70% manifestava entusiasmo per il ritorno alla valuta nazionale.
La situazione evolveva verso un caos imprevedibile. L’effetto della svalutazione della lira, della non necessità di averla per il pagamento anche di multe o bolli per certificati municipali, e dell’obbligo di avere con sé degli euro per i vincoli dei pagamenti automatici (pedaggi autostradali, biglietterie automatiche delle ferrovie, metropolitane, pagamenti internazionali, biglietti aerei) era un mix non studiato dagli economisti coinvolti dal governo. La svalutazione della lira aveva inoltre obbligato i negozianti ad esporre cartelli con i doppi prezzi: laddove prima era scritto 50 euro per un maglione, ora affianco era esposto il prezzo in lire, quindi 60 a causa del 20% di svalutazione. 
Lorenzo nel pomeriggio ascoltò ad esempio alcuni economisti italiani e statunitensi che, pur battendosi da anni per il ritorno alla lira come condizione necessaria per il recupero della piena democrazia, sostenevano che il metodo da attuare fosse completamente diverso, come da loro scritto ripetutamente, ma mai ascoltato dai gruppi di “no euro” consultati dal governo. Occorreva lasciare la libera facoltà di cambiare gli euro in lire, con una serie di protezioni dello Stato per i risparmi degli italiani e un insieme di azioni economiche che subito avrebbero aiutato la ripresa economica, come la drastica riduzione dell’Iva e l’annuncio di forti investimenti in infrastrutture.
La voce di questi economisti era però coperta dalle violenti polemiche politiche e dalle opinioni dei difensori dell’Eurozona, che avevano ripreso forza dopo il caos di quelle ore. Alle 17 una notizia di agenzia diffuse l’informazione che il presidente del Consiglio era stato convocato dal presidente della Repubblica. Non era noto l’oggetto dell’incontro ma l’inusuale convocazione dava adito alle più disparate conseguenze.
Alcuni inviati “quirinalizi” azzardarono che il presidente della Repubblica cercasse di dissuadere il governo dalla sua manovra di conversione monetaria, considerando come gli equilibri politici continentali e atlantici dipendessero dall’affidabilità dell’Italia nei confronti dei paesi amici, primi fra tutti Germania, Francia e Stati Uniti. Secondo fonti autorevoli il presidente della Repubblica avrebbe azzardato di chiedere al presidente del Consiglio, in una prassi inusuale, di ritirare il provvedimento e di dimettersi per affidare il governo ad una maggioranza parlamentare ampia in grado di “fare le riforme necessarie al paese, che non dipendono dalla disponibilità della moneta”.
In serata la maggior parte degli istituti bancari aveva in dotazione le lire “in carne ed ossa”, anche se non tutti erano in grado di distribuirle al bancomat e i cassieri, per consegnare quanto richiesto, erano costretti a contare il denaro manualmente, con l’enorme rallentamento conseguente, seppur ridotto rispetto all’apice registrato in mattinata. Tuttavia l’incertezza e quasi la convinzione che quel passo fosse soltanto un errore del governo, troppo affrettato, si stava diffondendo, alimentata dalle supposizioni giornalistiche.
In molti supermercati e negozi le lire, di fatto, non venivano neanche accettate, a causa dell’incertezza della sua valutazione. Nessuno si fidava di accettare ancora a cuor leggero una moneta che in 12 ore aveva perso il 20% del valore rispetto all’euro, che era ancora in circolazione. Tutti avevano capito l’evoluzione del mercato e speravano di speculare, per piccole o grosse cifre non era importante, sul differenziale di valore tra gli euro ancora posseduti e le lire che si prevedeva di acquistare cambiano la moneta della BCE.
Non vi era stato tempo di aggiornare i prezzi di centinaia di cartellini, inoltre, considerando l’eccezionale fluttuazione della lira (ma anche dell’euro, che in un giorno aveva registrato una perdita record). I tg della sera, le prime pagine dei giornali on line italiani e quelli esteri, per una volta, concordavano: “Sprofondo Italia”, “Terrore monetario”, “Persi in un giorno 1800 miliardi di risparmi accumulati in un secolo”, “Pifferaio magico”, “La fine dell’Italia”, “Ripensateci subito” erano alcuni dei titoli. Si segnalavano molti casi di persone che si erano recate agli sportelli per ricambiare le lire ritirate in giornata con euro. 
La minoranza parlamentare e i giornali che la supportavano, ma anche oramai molte voci che facevano riferimento alla maggioranza di governo, colpivano duro la scelta definita “folle”. In prima serata, su RaiUno, Bruno Vespa condusse un talk show sul tema che avrebbe raggiunto il record di spettatori per un programma politico degli ultimi 10 anni. Il direttore de La Stampa disse: “L’atto compiuto da questo governo venerdì sera è passibile di alto tradimento, perché in un solo giorno ha colpito la ricchezza degli italiani come se vi fosse stato un bombardamento aereo a tappeto capace di distruggere il 20% delle abitazioni civili. Il Presidente del Consiglio andrebbe denunciato e condannato per via giudiziaria, altro che rassicurazioni”.
Al termine dell’incontro con il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio tenne una conferenza stampa. Dal volto provato, difese ma senza troppa convinzione la sua scelta rimandando al giorno successivo, in Parlamento, una analisi più dettagliata degli eventi in corso. Ammise che “potevamo evitare qualche inconveniente ma adesso avremo modo di saggiare, già fra un mese, le nuove misure economiche connesse con il ritorno della moneta sovrana”. 
Tuttavia il giorno successivo la nuova lira continuò a perdere valore. I cittadini italiani si guardavano bene di depositare gli euro che erano loro rimasti in contanti o, soprattutto, che avevano ritirato nei giorni precedenti. Ai grandi speculatori finanziari globali si aggiungevano, però, anche tanti cittadini che stavano chiedendo alle banche di acquistare euro e vendere le lire. 
Prima che il Presidente del Consiglio si recasse in Parlamento 35 parlamentari annunciarono di abbandonare la maggioranza. Il Ministro della Difesa e il Ministro dell’Agricoltura rassegnarono le loro dimissioni in contrasto con le scelte del Presidente del Consiglio. La crisi governativa, che non poteva più contare su una maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati, provocò una ondata di panico irrazionale che affondò ulteriormente la perdita di valore della nuova lira, mentre la Borsa di Milano stava perdendo, alle 13, l’8% del suo valore.
 
Questo è lo scenario che potrebbe verificarsi a causa di scelte azzardate ed emotive che non tengano conto della complessità delle soluzioni e anche dalla semplici ovvietà da adottare per evitare che, a causa di meccanismi tecnici e psicologici non compresi, una giusta battaglia democratica si tramuti in una disfatta storica e irrimediabile.
Presto pubblicheremo un racconto che conterrà invece gli effetti previsti in caso di uscita dall’euro secondo uno schema della Mosler Economics Mmt.