Un messaggio in bottiglia ad Alberto Orioli: la bassa produttività non è dovuta agli aumenti salariali, ma all’Euro.
“Message in a Bottle” cantavano in un famoso singolo i Police nel 1979. Al tempo l’Italia era ancora il Bel Paese, con vent’anni di crescita sostenuta alle spalle, ed una disoccupazione al 7%.
Ed un messaggio in bottiglia vuole essere questo articolo, un messaggio in bottiglia che parte in realtà dagli anni ’70 ed ha come destinatario il signor Alberto Orioli, giornalista de “Il Sole 24 Ore”, il maggior quotidiano economico italiano, che l’8 ottobre 2015 pubblica questo suo editoriale:
Il filo spezzato salari-inflazione
L’editoriale apre con un cappello sulla necessità di agganciare la famosa ripresa, e cerca di proporre delle ricette per farlo. Le ricette, purtroppo, sono sempre le stesse: deflazione salariale in cambio di occupazione.
Guadagnare di meno e lavorare tutti a stipendio sempre più ridotto. La cosa non ci suona nuova: addirittura Oscar Giannino l’ho scrisse senza giri di parole: “I tedeschi hanno accettato il principio di lavorare di più e guadagnare lo stesso”, il 27 giugno 2012 prima di Italia-Germania di calcio, sulla Gazzetta dello Sport (clicca qui). La solita solfa.
Secondo questo articolo questa è l’unica strada percorribile per diminuire la disoccupazione.
Questa nostra risposta si propone di commentarne alcuni passaggi salienti, evidenziandone la parzialità e la faziosità sottostante, e mostrando come esse siano intrise dei soliti dogmi liberisti ai quali la maggior parte delle firme di tale giornale è allineata.
Dall’articolo di Orioli:
“In genere se si vuole creare lavoro non si possono aumentare i salari di chi già è occupato al di fuori da standard di compatibilità macroeconomica molto precisi. Ne va dell’equilibrio complessivo del sistema produttivo. Se, quindi, i rinnovi dei contratti arrivano in un momento in cui l’inflazione di riferimento (l’indice Ipca depurato dei costi dell’energia importata) ha segnato aumenti inferiori del 6,5% (2000-2014) rispetto alle dinamiche contrattuali effettive perché “tarate” su attese di inflazione molto più alte, è chiaro che le risorse per organizzare nuovi accordi sono praticamente nulle o già spese”.
Traduco: siccome l’inflazione è salita pochissimo o nulla, allora bisogna abbassare i salari (sic…)!
Questo per fare in modo che le imprese abbiano un costo del lavoro più basso e possano liberare risorse per investire, assumendo chi è ora disoccupato. Lavorare tutti in cambio di paghe cinesi. Questa è la soluzione proposta dal signor Orioli.
Sappiate che vi sono altre soluzioni migliori, come cerchiamo di spiegarvi da qualche anno noi della MMT. Ad esempio: detassare il lavoro già esistente e dimezzare l’Iva.
Questo potrebbe avere lo stesso effetto sul livello di occupazione, con la differenza che il livello di domanda aggregata e di consumi sarebbe molto più alto.
E questo porterebbe a paghe nordeuropee, e non cinesi, e benessere diffuso.
Ma purtroppo è una soluzione che non piace al nostro sovrano.
E più sotto capirete cosa intendo.
Prosegue Orioli:
“Una elaborazione Federmeccanica segnala, ad esempio, un andamento dell’inflazione 2007-2014 pari al 13,2% contro un aumento delle retribuzioni della grande industria del settore del 23,6 per cento”.
Traduzione: nella grande industria i salari sono saliti del 23,6% dal 2007 al 2014, mentre l’inflazione è salita solo del 13,2%. Pertanto i salari sono saliti troppo.
Fatichiamo davvero a capire come si possa prendere come riferimento la grande industria in un paese come l’Italia in cui le Piccole Medie Imprese, cioè quelle sotto i 250 dipendenti, sono il 99,5% del totale delle imprese ed assorbono circa l’80% dell’occupazione totale (Istat 2011, pag. 45, http://www.istat.it/it/files/2014/05/cap2.pdf)
E ci risulta subito evidente, già ad inizio articolo, quali siano i modelli di riferimento dell’editorialista: le imprese del futuro saranno le grandi imprese, che si faranno concorrenza sui mercati globali.
Esse dovranno quindi godere di un costo del lavoro basso, per poter riassorbire la disoccupazione ed allo stesso tempo essere competitive sui mercati dell’export. Lavorare tutti in cambio di paghe cinesi. Di nuovo.
Ancora dall’articolo di Orioli:
“E il lavoro (nota Csc Confindustria) ha così riportato agli Anni 70, massimo storico, la quota sul valore aggiunto arrivata ormai al 74,3% (era del 74,2% nel 1975), con conseguenze negative per la propensione agli investimenti dati i margini ridotti di profitto”.
Traduzione semplificata: secondo il Centro Studi Confindustria, la percentuale di ricchezza prodotta che è andata al lavoro dipendente è arrivata al 74,3% ed ha superato dello 0,1% il livello del 1975. Ciò significa che la parte di ricchezza che è andata alle imprese ed agli imprenditori è diminuita dello 0,1%.
Questo ha prosciugato risorse fondamentali per le imprese, che così non hanno potuto aumentare gli investimenti e rilanciare la produzione e l’occupazione.
Anche qui, non si capisce perché il signor Orioli, che ha tanto a cuore la produttività, trascuri il fatto che essa dipende da molti fattori, e solamente uno di essi è il costo del lavoro.
Solo per citarne alcuni, la produttività di un’impresa dipende anche dalle infrastrutture in cui si trova ad operare, dalla tecnologia alla quale può accedere, ed anche dal livello di pressione fiscale alla quale l’impresa è sottoposta.
Prendiamo in considerazione proprio questo ultimo fattore. Nel grafico sotto è riportata la pressione fiscale in rapporto al PIL in Italia dal 1965 al 2011.
La pressione fiscale in rapporto al PIL in Italia è salita da circa il 27% nel 1975 al circa il 44% nel 2014.
Salita quindi di ben 17 punti percentuali.
Ricapitolando, per il signor Orioli è allarmante che la quota di valore aggiunto andata al lavoro sia salita dello 0,1% rispetto al 1975, ma è trascurabile il fatto che la pressione fiscale in Italia è salita di 17 punti percentuali.
E qui, per capire in pieno la profondità di questa argomentazione, urge una metafora “romana”, visto che ultimamente gli affari romani vanno tanto di moda.
Supponiamo di coltivare e produrre 100 banane, da spartire tra patrizi e plebei.
Arriva il sovrano e ne prende 44.
Poi arriva un plebeo, e ne ruba uno spicchietto minuscolo.
Si scopre successivamente che le banane non sono sufficienti a sfamare tutti, e secondo Orioli dovremmo prendercela con quel plebeo che se ne è accaparrato uno spicchieto in più!
Anche qui ci sfugge la logica del ragionamento: se le banane non sono abbastanza per tutti, ci sembrerebbe più logico prendersela prima di tutto con il sovrano, che ne ha prelevate troppe per se stesso, ed ha affamato il suo popolo.
Voi che dite?
Vi suggerisco di tenere a mente questa metafora, e soprattutto la figura del sovrano, perché alla fine scopriremo quale è il sovrano al quale, secondo Orioli, dobbiamo garantire tutte le banane che vuole.
Per avvalorare ulteriormente la mia tesi su questo punto, vorrei citare un articolo che tratta lo stesso identico tema, apparso nello stesso identico quotidiano qualche giorno fa, e scritto da Nicoletta Picchio.
I salari reali crescono più della produttività
Alcuni stralci di questo articolo:
“Una situazione complessa, dove i salari reali risultano cresciuti più della produttività, con un + 4,6% negli ultimi tre anni nel manifatturiero. In un contesto in cui gli aumenti sono stati poco percepiti per l’arretramento del Paese e per le maggiori tasse….”
“Gli effetti sulle imprese si sono sentiti: l’andamento sostenuto delle retribuzioni dall’inizio degli anni Duemila ha spinto in alto la quota del valore aggiunto che va al lavoro, tanto che è tornata ai picchi storici di metà anni Settanta, nel manifatturiero è arrivata al 74,3% nel 2014 (era 74,2 nel 1975). Ciò ha causato una forte erosione dei margini di profitto che scoraggia gli investimenti, il cui minor livello indebolisce la crescita anche futura. La questione salariale, cioè una dinamica delle retribuzioni ritenuta insoddisfacente, va ricondotta all’arretramento del reddito prodotto dal paese e alle maggiori tasse…”
Nonostante non condividiamo completamente quest’ultimo articolo, per lo meno si ha l’onestà intellettuale di citare una delle cause principali del calo di produttività del sistema Italia: l’aumento della pressione fiscale.
L’articolo di Orioli conclude così:
“D’altro canto lo sguardo lungo della leadership delle parti sociali (se è tale) non può non puntare a un orizzonte europeo: è là che si determinano le nuove variabili macroeconomiche, è là che si crea la nuova cittadinanza continentale, è là che si troveranno le risorse per gestire i tanti welfare nazionali non più sostenibili.
Sarà bene prepararsi per tempo. Ma certo per farlo servirà un sindacato in grado di guardare oltre il proprio ombelico“.
“Orizzonte europeo”, “cittadinanza continentale”, “welfare nazionali non più sostenibili”…
Ricordate il sovrano che pretendeva buona parte delle banane?
Ecco, nel finale dell’articolo capiamo chi è questo sovrano avido ed egoista, al quale dobbiamo obbedire senza fiatare e che non può essere messo in discussione.
E questo sovrano si chiama Eurozona.
Buona fortuna lavoratori. Buona fortuna imprenditori. Buona fortuna, studenti.