Cosa è successo dal 2007 ad oggi: una sequela di dati terrificanti da sventolare contro la retorica della pancia piena (e della testa vuota): 1,5 milioni di posti di lavoro bruciati; disoccupati da 1,5 milioni a quasi 3,5; tasso di disoccupazione da 6 a 13%; disoccupazione giovanile da 18 a 43%; disoccupati di lungo termine da 2 all’8%. E c’è chi dice: l’Eurozona ci sta salvando…
Archivio per mese: Aprile, 2015
Sfaticati, assistiti, pigri. Ma i ragazzi (e non solo) non hanno sradicato culturalmente i punti fondanti del neoliberismo reazionario su cui si basa anche la cultura popolare degli anziani: il mito del debito pubblico, il mito delle “tutele decrescenti”, il mito della spesa pubblica come ostacolo delle imprese private. E, così, soccombono
Giacomo Bracci di Epic e Giuseppe Nasone del gruppo Me-mmt Emilia Romagna terranno una conferenza mercoledì 29 aprile alle ore 21 in collaborazione con il circolo locale di Santarcangelo
Liberazione da una condizione di servi… Servi di un mondo incapace da gestire e controllare. Servi del proprio egoismo e della vanità. Servi nell’incapacità di osservare ciò che gli occhi non devono vedere. Servi! Niente più che servi. Creature incapaci di reagire, paurosi del nemico, riluttanti alla lotta. Apatici spettatori dell’esser testimoni della tristezza del tempo che passa
LA FEDELTA’ NON E’ OBBEDIENZA
ovvero
Il DIRITTO DI RESISTENZA NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
Prendendo spunto da uno scritto di Giorgio Giannini (Centro Studi Difesa Civile) e dalla lettura delle discussioni in Costituente, nel 70° anniversario della Liberazione, vorremo riportare l’attenzione sul diritto alla Resistenza. In fase costituente erano stati proposti e sostenuti favorevolmente da diversi insigni Padri Costituenti dei commi all’art. 54 che la legittimassero.
La norma è proposta dall’On. democristiano Giuseppe Dossetti e dall’On. demo-laburista Cevolotto, che si erano ispirati ad altre Carte Costituzionali, in particolare all’art.21 della Costituzione francese del 1946, che stabilisce: “Qualora il governo violi la libertà ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti ed il più imperioso dei doveri”.
La proposta era:
Nel maggio 1947, quando il Progetto di Costituzione è discusso nel plenum dell’Assemblea Costituente, alcuni Deputati, appartenenti soprattutto al Partito Liberale e al Partito Repubblicano, pur non dichiarandosi, in linea di principio, contrari al riconoscimento costituzionale del diritto di resistenza, sollevano dei dubbi sull’opportunità del suo inserimento nella Costituzione.
Erano stati proposti anche altri emendamenti, che cito perché ognuno aveva delle sfumature degne di nota:
On. Pietro Mastino: «Ogni cittadino ha l’obbligo di difendere contro ogni violazione le libertà fondamentali, i diritti garantiti dalla Costituzione e l’ordinamento dello Stato».
On. Mortati: «È diritto e dovere dei cittadini, singoli o associati, la resistenza che si renda necessaria a reprimere la violazione dei diritti individuali e delle libertà democratiche da parte delle pubbliche autorità».
On. Benvenuti: «Non è punibile la resistenza opposta dal cittadino ad atti compiuti dai pubblici poteri in forza di atti legislativi incostituzionali».
On. Caroleo: «Non è punibile la resistenza ai poteri pubblici, nei casi di violazione delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione».
Nel dicembre 1947, quando si esamina l’art.50 del Progetto di Costituzione, anche i democristiani si oppongono all’inserimento del diritto di resistenza nel testo definitivo della Costituzione.
Così, quando si vota il testo dell’art.54, che ha sostituito l’art.50 del Progetto, il diritto di resistenza è soppresso, nonostante il voto favorevole dei comunisti, dei socialisti e degli autonomisti. Molto probabilmente sull’esito del voto influirono motivazioni di opportunità politica ed anche una certa confusione di interpretazione tra il concetto di Resistenza e quello di Rivoluzione. Invece tra i due termini c’è una profonda differenza: la rivoluzione tende al rovesciamento del regime politico; invece, la resistenza mira alla conservazione del regime politico e quindi è uno strumento di garanzia per la sua esistenza.
L’articolo 139 prevede che “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” pertanto vorrei capire come possa una Repubblica inserirsi in un contesto politico sovranazionale che di repubblicano non ha nulla e come i recenti Governi Italiani abbiano potuto spingere il Parlamento – e questo abbia deliberato favorevolmente – a cessioni di sovranità massicce in tal senso.
LA SOVRANITA’ POPOLARE FONTE DEL DIRITTO DI RESISTENZA
Secondo autorevoli costituzionalisti (tra cui Mortati e perfino Giuliano Amato), anche se non è espressamente stabilito dalla nostra Carta Costituzionale, il “diritto di resistenza all’oppressione” è implicitamente legittimato, essendo una delle garanzie di difesa della Costituzione, in caso di violazione dei principi fondamentali in essa stabiliti.
Infatti, il diritto di resistenza trova la sua legittimazione nel principio della “sovranità popolare” , sancito nell’art. 1 della nostra Costituzione, che quindi rappresenta la legittimazione all’intero Ordinamento giuridico
La nostra suprema carta è oggetto di modifiche la cui legittimità verrà prima o poi giudicata dalla magistratura o dalla storia (vedremo chi per primo). Sappiate che da tempo gira uno studio n°469/2008 effettuato dalla Commissione di Venezia (think-tank giuridico dell’Unione Europea) e commissionato dal Consiglio d’Europa su come modificare le Costituzioni senza fare troppo rumore…
Tuttavia, la Commissione di Venezia ritiene che per modifiche costituzionali maggiori, una procedura politica deliberativa e democratica sia preferibile ad un approccio puramente giuridico.
LA FEDELTÀ NON È OBBEDIENZA
Fonti:
http://www.pacedifesa.org/documenti/Diritto%20di%20Resistenza.pdf
http://www.nascitacostituzione.it/02p1/04t4/054/index.htm?art054-011.htm&2
http://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL%282009%29168-e
Al riguardo l’On. Costantino Mortati nella sua dichiarazione di voto sul 2°comma dell’ art 50 del Progetto di Costituzione, afferma: “La resistenza trae titolo di legittimazione dal principio della sovranità popolare perché questa, basata com’è sull’adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati nella Costituzione, non può non abilitare quanti siano più sensibili a essi ad assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando ciò si palesi necessario per l’insufficienza e la carenza degli organi ad essa preposti”.
Riguardo alla resistenza collettiva, il Prof. Giuliano Amato, un costituzionalista molto acuto (chiamato il “dottor sottile”), commentando le due sentenze di condanna emesse dai tribunali penali di Palermo e di Catania in seguito ai gravi moti di piazza del luglio 1960 contro il Governo dell’On. Tambroni, sostenuto dal partito di destra Movimento Sociale Italiano (peraltro i moti popolari portarono alla caduta del Governo), nel 1961 scriveva che i poteri che sono esercitati dallo Stato-governo “ non
fanno capo originariamente ad esso, ma gli sono trasferiti, magari in via permanente, dal popolo”. Pertanto, “l’esercizio di quei poteri deve svolgersi, per chiaro dettato costituzionale, in guisa tale da realizzare una permanete conformità dell’azione governativa agli interessi in senso lato della collettività popolare: sì che, quando tale conformità non sia perseguita da quell’azione, è perfettamente conforme al sistema, cioè legittimo, il comportamento del popolo sovrano che ponga fine alla situazione costituzionalmente abnorme”. Sostiene inoltre che “la resistenza collettiva può indirizzarsi anche contro il Parlamento” qualora la sua azione sia illegittima. Pertanto, “potrebbe il popolo, nel mancato funzionamento dei meccanismi di garanzia predisposti all’interno dello Statogoverno, ripristinare con altri mezzi il rispetto del suo sovrano volere, che nella Costituzione trova la sua massima espressione”.
Inoltre, Giuliano Amato scrive nel 1962, in La sovranità popolare nell’ordinamento italiano, che in caso di non funzionamento degli organi di controllo e di garanzia, se cioè lo stesso Stato-apparato fosse “partecipe dell’azione eversiva”, compiendo “atti difformi dai valori e dalle finalità fatti propri dalla coscienza collettiva ed indicati nella Costituzione”, allora sarebbe legittimo il ricorso alla resistenza, individuale o collettiva. Afferma inoltre: “ove circostanze particolari lo impongano, come può disconoscersi al popolo, che della sovranità è titolare e che ne controlla l’esercizio… da parte dello Stato-governo, il potere di ricondurre alla legittimità, con mezzi anche non previsti, questo esercizio, ove irrimediabilmente se ne discosti”.
Inflazione, spread, tassi di interesse, crescita, andamento dei titoli in borsa: siamo bombardati di informazioni che però hanno una incidenza relativa sulla qualità della vita dei cittadini. Altri sono i parametri (e non solo) da prendere in considerazione
Filippo Abbate sarà a Viareggio la sera del 24 nell’ambito di una serie di incontri organizzati da diverse associazioni e movimenti politici; lo stesso Abbate sarà ad Arezzo il 26, spiegando le connessioni tra Me-Mmt e Costituzione. Il 26 a Treviso Marco Cavedon incontrerà i sindaci “strozzati” dal patto di stabilità
Era il 1948 quando George Orwell, limitandosi ad invertire le ultime due cifre di quell’anno, scrisse quello che venne definito il romanzo distopico per eccellenza:, ovvero 1984. Egli immaginò un evoluzione della società futura, simbolicamente attorno agli anni ’80, estremizzando le espressioni negative di tutta una serie di tendenze sociali, politiche e tecnologiche che l’autore osservava a suo tempo. Orwell esasperò il peggior male del secolo, la dittatura, estendendola anche alla mente, coniando per essa il termine neo-lingua, ovvero un lessico ri-creato ad hoc dal Partito per erigere mediante codici comunicativi ben precisi, tutta una serie di immagini che dovevano poi sedimentarsi nella mente collettiva, quella che oggi chiameremmo pubblica opinione. Tali immagini, vere e proprie storielle, miravano a mistificare la realtà e contestualmente annichilire la memoria storica del popolo stesso.
Tutt’oggi, una sorta di neo-lingua orwelliana è il latinorum utilizzato dalla stampa economico e finanziario. Il vero potere, che non risiede più da decenni nei Parlamenti e Governi Nazionali, trova la legittimazione delle manovre dolorose ma necessarie, nel terreno fertile dello stato di piena emergenza sociale create dallo stesso e la neo-lingua 2.0 è il veicolo volto a mistificare la realtà tangibile creandone nella percezione collettiva una virtuale e completamente distaccata.E così come Giovanni Reale ha magnificamente descritto nel suo Platone alla ricerca della sapienza segreta; il rivoluzionario periodo di passaggio dalla preminenza dell’oralità alla scrittura vissuto dal filosofo, così noi oggi possiamo senza dubbio asserire di trovarci in un altro periodo rivoluzionario: quello del passaggio dalla prevalenza della scrittura alla comunicazione massmediatica, dove regna l’immagine. E in tale palcoscenico i media svolgono l’unico ruolo istituzionale di creatori di immagini autorevoli, le quali penetrano l’opinione pubblica e sempre secondo tale schema i principali esponenti della coalizione partitica vanno in tv e giornali, a raccontarci come l’Italia sia in crisi perché non ha fatto a suo tempo le dovute riforme strutturali, termine da sostituire sistematicamente con: sacrifici.E ci tengo a ricordare che l’Italia è uno dei Paesi Ocse che sin dagli anni ’90 ha realizzato la maggior quantità di riforme strutturali ovviamente di benefici non ve ne è minimamente l’ombra: ed ecco la neo-lingua orwelliana 2.0, che impedisce con la sua grancassa mediatica, la voce autorevole al dissenso che possa smontare le balle da lei trasmesse. Con questo sistema i grandi gruppi economico-finanziari dopo aver volutamente creato la crisi attuale e quindi il terreno fertile su cui poter imporre i propri esclusivi interessi, legittimano nell’opinione pubblica quelle dolorose ma necessarie politiche con cui piegare unilateralmente la società ai propri scopi, utilizzando una neo-lingua ed il consenso univoco per nascondere e legittimare le stesse ricette veleno che ci hanno portato sin qui.
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Le stesse che da oltre vent’anni stanno sistematicamente aggravando la nostra condizione economica e la dignità di cittadini:
Quindi, io prima creo il problema, mediante precise scelte di politica macro-economica e poi propongo come soluzione ai problemi che io stesso ho creato, quelle medesime ricette che paradossalmente hanno condotto interi popoli al disastro che tutti noi oggi vediamo con i nostri occhi e proviamo sulla nostra pelle.
Ma cosa sono le riforme strutturali?
Non sono altro che delle misure di politica macroeconomica che mirano appunto a riformare la struttura della società, spaziando dal mondo del lavoro al settore dei servizi di pubblica utilità quali sanità, energia, assicurazioni, previdenza, telecomunicazioni, trasporti.
Mercato del lavoro flessibile = meno protezioni per i lavoratori e salari più bassi
Su tali riforme sono stati spesi negli ultimi anni fiumi d’inchiostro. In questo articolo mi limito a ricordare il Pacchetto Treu, la legge Biagi, la Riforma Fornero e ora il nuovo Jobs Act, altra espressione riconducibile ad una sorta di neo-lingua orwelliana 2.0 attraverso cui parole anglosassoni, rendono nuovo e appetibile ciò che da vent’anni è sempre lo stesso veleno imposto.
Al massimo tali riforme agiranno sui flussi di occupati, ossia: un anno Luca lavora, a 600-700 euro al mese e Matteo sta a casa; l’anno dopo Matteo lavora allo stesso salario e Luca se ne sta a casa. Pensate quale meraviglioso futuro potremo costruirci noi giovani. Non intendo dilungarmi molto sulla fallacia e gli effetti disastrosi che tali riforme hanno in diversi ambiti, quali ad esempio: la produttività del lavoro, la qualità e la dignità economico-morale del lavoro, gli stipendi, i fatturati delle piccole e medie imprese, la distribuzione della ricchezza e la vita di milioni di esseri umani mi limito ad indicarvi maggiori approfondimenti qui, qui e qui.
Ovviamente tali riforme servono ai grandi esportatori italiani e soprattutto esteri, come le maggiori industrie neo-mercantili franco-tedesche. Vi basterà sapere che in questi giorni il Fondo Monetario Internazionale, non certamente il soviet della provincia di San Pietroburgo, ha ribadito nel suo World Economic Outlook che non ci sono “correlazioni statisticamente significative” tra la deregolamentazione delle assunzioni, licenziamenti e la capacità di crescita dell’economia. Ergo: il Jobs Act non porterà nel complesso a nessun aumento dell’occupazione.
Ciononostante i media di regime, a reti unificate, ci hanno giusto mese scorso nuovamente ricordato che grazie al Jobs Act, a cui è attribuita ormai qualsiasi cosa, rispetto ai primi due mesi del 2014, sono state generate 79 mila nuove assunzioni a tempo indeterminato. Di nuovo, ci troviamo di fronte ad uno scarto impressionante tra la narrazione orwelliana dei media e la viva realtà. Il Partito Unico dell’Euro vi informa che grazie alle riforme (sacrifici) e alla tenacia del governo Renzi, i risultati stanno concretizzandosi, e come se non bastasse vi raccontano per il settimo anno consecutivo che la crescita sta per arrivare.
Ma basta andare verificare le notizie per scoprire l’Inps ha rilevato sì un aumento di nuove assunzioni “a tempo indeterminato” (+20,7%) e le conversioni di contratto di apprendista (+7,4%), ma contestualmente sono diminuite sia le trasformazioni di rapporti a termine (-11,2%), sia le assunzioni a termine (-7%), sia i nuovi contratti di apprendistato (-11,3%).
Risultato: la variazione statistica nel complesso è stata nulla, a dispetto degli sgravi contributivi contenuti nella legge di Stabilità. Ed infine ‘Inps ci informa che rispetto al 2014, i rapporti di lavoro attivati sono stati “ben 13”. Beh che dire: il Governo ha proprio fatto 13 e di questo passo raggiungeremo sì la Piena Occupazione, ma solo nel 2589! Del resto cosa vi aspettavate dalle direttive dei principali club di estrema destra finanziaria, che abbiamo la fortuna e l’onore di “ospitare” in Italia da 30 anni?
Stiamo parlando di E.R.T. (European roundtable of industrialists) e B.E. (Business Europe) che sono a tutti gli effetti il nostro governo ombra come direbbe Edward Bernays. Infine, mi preme sottolineare che le nuove tipologie di contratti “a tempo indeterminato” nascondono tutta una serie di novità non proprio sollevanti per i neo-assunti ed a tal proposito rimando qui ai dovuti approfondimenti. Come scrisse un mio caro compaesano Luigi Pandolfi nel suo blog sull’Huffington Post: “Da domani in Italia sarà facilissimo licenziare, aumenterà il potere di ricatto dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori, i giovani avranno meno tutele dei colleghi più anziani e aumenterà il precariato. Ma il governo dice che sta lavorando per le nuove generazioni e per un paese più equo. Siamo nel 2014, ma sembra il 1984 (quello di George Orwell, ovviamente)”. Come potete notare anche lui ha a cuore il buon Orwell.
Non solo economia: anche la cultura popolare è un riferimento della difficoltà di integrare situazioni storiche, culturali e sociali troppo diverse. L’America Latina è in una situazione migliore dell’Europa
L’edizione del 20 aprile ha dedicato uno spazio all’intervento del padre della Mmt al Festival dell’Economia di Vibo Valentia: “La disoccupazione nasce da una restrizione sulla moneta, se lo Stato spende 100, le famiglie hanno e spendono 100. Tutte le restrizioni sono di natura politica, è la politica che deve scegliere come cambiare”