Fonte: http://csepi.it/intervista-fassina/
Nostro articolo su Fassina un mese fa: “Buongiorno Fassina! Ora sveglia davvero però l’euro è moneta straniera”
Di seguito il dettato dell’intervista
Per cominciare con la prima domanda, partiamo da un’analisi della realtà sui cui credo possiamo concordare.
Il progetto o sogno europeo si è trasformato, drammaticamente, in un fallimento. I Trattati sovranazionali hanno vincoli economici troppo stringenti, le politiche fiscali sono eccessivamente restrittive, le politiche monetarie (portate avanti dall’autonoma BCE) risultano incapaci di risollevare da sole le economie dei paesi in difficoltà: tutto questo ha impedito agli Stati membri di reagire efficacemente allo shock subito a causa della crisi nel 2007, impedendo di attuare contro questa grave situazione economica le auspicabili politiche anticicliche. Le conseguenze drammatiche per i popoli europei sono sotto gli occhi di tutti, e non riguardano più oggi solo i cosiddetti Paesi Pigs, ma ora anche la Germania che sta accusando il colpo. I fondamentali economici di moltissimi paesi si sono pericolosamente aggravati, come per esempio il tasso di disoccupazione che punta alle stelle, il PIL in calo, l’annosa stagnazione salariale, l’incremento della precarizzazione del lavoro, il tasso di povertà in aumento.
Per di più, nonostante le previsioni ottimistiche con cui la Troika suggeriva di imporre le “cure”, queste in realtà si sono rivelate nocive, aggravando addirittura la “malattia”. A questo punto, questo quadro generale dovrebbe suggerire in coscienza, una seria riflessione sulla necessità di riformare l’intero assetto europeo per permettere di mantenere in vita il “progetto di unificazione”, magari grazie anche alla pianificazione e all’attuazione di un “New Deal” su larga scala, generando così una vera e salvifica inversione di tendenza.
Domanda: Secondo gli attuali rapporti di forza in campo, e considerato che l’ideologia neoliberale al momento è molto dominante,Le chiedo, è possibile il verificarsi di tale prospettiva?
Risposta: credo sia molto complicato dato l’attuale rapporto di forze in campo, come avete giustamente definito la situazione: c’è un rapporto di forze politico, c’è un rapporto di forze culturale e mediatico.
L’aspetto che più mi colpisce è che dopo tanti anni – perchè ormai siamo a sette otto anni dalla rottura di quel precario equilibrio che ha retto il primo decennio di vita dell’euro – nonostante appunto risultati oggettivamente negativi – negativi sull’economia reale ma negativi anche in termini di finanza pubblica – se avessimo pagato alti costi economici e sociali, ma almeno avessimo raggiunto gli obiettivi di finanza pubblica che si indicavano, avremmo potuto avere, come dire, “una bilancia in equilibrio”, mentre proprio perchè abbiamo pagato altissimi prezzi economici e sociali, gli obiettivi di finanza pubblica sono stati non solo clamorosamente mancati ma si sono drammaticamente aggravati fino ad arrivare all’insostenibilità dei debiti pubblici (?) di tanti paesi dell’eurozona.
Ecco, di fronte a questi dati oggettivi, colpisce che non vi sia una riflessione critica nell’ agenda politica; perchè poi, appunto, ormai anche una larga schiera di economisti mainstream rivedono le posizioni, ma nell’agenda politica una revisione significativa non c’è.
Quindi purtroppo oggi non vedo le condizioni politiche per arrivare a quelle correzioni necessarie per invertire la rotta dell’economia, dell’occupazione, della finanza pubblica per arrivare al new deal.
Il trattamento riservato alla Grecia mi pare purtroppo significativo: nel senso che si continua a rappresentare il problema greco come un problema specifico, e ovviamente la Grecia come tutti i paesi ha problemi specifici pre crisi e pre euro; dopodicchè ci sono invece dei problemi sistemici che appunto hanno a che fare con il meccanismo di svalutazione interna, di svalutazione del lavoro, indotto dal quadro di politica economica, dal funzionamento dell’euro che non vengono affrontati.
Prima, nell’introduzione, Lei sottolineava la restrittività e il fatto che i criteri che siano troppo stringenti: io ritengo invece che siano proprio sbagliati. Nel senso che non può reggere una politica mercantilista per tutta l’Eurozona. Ha funzionato per un periodo, quando era applicata soltanto da alcuni Paesi, in particolare la Germania e le altre importavano finanziati dai paesi col surplus in termini di bilancia commerciale, ma è quella linea che non funziona! Poi ovviamente, se applicati in modo stringente funziona ancora meno, ma c’è un vizio di fondo che ha condizionato sin dalla nascita l’euro, che è stato promosso e realizzato lungo un asse mercantilista che oggettivamente non può funzionare perchè produce svalutazione interna, carenza di domanda e quindi alla fine insostenibilità della finanza pubblica (?) oltre che disoccupazione.
Quindi non si tratta solo di allentare e di avere maggior buon senso, si tratta di definire una rotta alternativa.
D: Anche perché, “mi sembra”, che lo stesso ideatore del parametro del limite del deficit al 3% sul Pil abbia affermato che non è stato un parametro studiato, ma buttato lì nell’arco di un’ora, senza alcun criterio scientifico.
R: No no, il parametro non ha una scientificità mentre ha una teoria dietro, e ha interessi molto corposi, e ha una storia lunga, secolare; il mercantilismo o ordoliberismo, come si chiama tecnicamente la linea che dai Paesi centro europei si tende a realizzare ovunque con i risultati che abbiamo sotto gli occhi.
D: Ultimamente Lei ha affermato: “L’euro è stato un errore. Non dovevamo entrarci”.
Viene subito da pensare che Lei è un esponente di spicco del PD, che quel partito che storicamente ha caldeggiato l’ingresso dell’Italia nella moneta unica e che continua a difenderla, nonostante l’evidenza dei fatti ci induca a pensare che sia stato un errore.
Quindi Le domando onorevole, ritiene sia possibile un ipotetico futuro in cui il Partito Democratico, come forza politica, sia capace di invertire la rotta ed ammettere il fallimento dell’euro, per tentare un percorso di riforma dell’intero sistema governativo politico ed economico dell’Europa?
R: Io ho detto che allora, all’inizio degli anni novanta, ma diciamo anche da prima, dalla fase di progettazione, larghissima parte della sinistra – non tutta – ha assunto uno scenario di maturazione politica conseguente alla moneta unica che si è rivelato essere completamente infondato. E quindi è stato fatto un errore di valutazione politica sulla possibilità di maturazione di condizioni che poi non si sono verificate. Credo che questo oggi sia sotto gli occhi di tutti.
Invero allora c’era anche chi metteva in guardia da questo funzionalismo economicista, quindi la moneta e poi meccanicamente la politica: abbiamo ritrovato un intervento del prof. Spaventa quando era deputato della sinistra indipendente in cui in modo esplicito preannunciava lo scenario che poi abbiamo verificato; tuttavia la larghissima parte della sinistra ha assunto e portato avanti questa visione: consapevole dell’insufficienza della moneta ma convinta della maturazione delle condizioni politiche. Questa valutazione è stata un errore.
Oggi la posizione del sottoscritto, e di qualcun’altro nel PD, è assolutamente marginale: ma è marginale anche fuori dal PD, in forze che si considerano più a sinistra del PD; è marginale in un pezzo importante di commentatori che fanno riferimento alla sinistra.
Confido che di fronte ai dati della realtà, vi possa essere una disponibilità innanzitutto intellettuale a riconoscere che vanno fatte delle correzioni di fondo: però appunto, vedremo, vedo delle possibilità, non scommetto sul risultato ma è questo è il senso del mio impegno in questa forza politica.
D: Onorevole Fassina, dagli anni 80 abbiamo assistito ad un vero e proprio mutamento ideologico all’interno dei partiti socialdemocratici europei. Si può affermare che ad oggi, gli alfieri del liberismo siano radicati a sinistra quanto a destra. Per molti mesi abbiamo sentito dai nostri politici di sinistra, che era una crisi dei debiti sovrani, salvo poi rendersi conto, soprattutto oggi, che non era proprio così, .. In prima analisi vorrei sapere da Lei innanzitutto se possiamo concordare sul fatto che i debiti pubblici dei Paesi Europei, come l’Italia prima o anche la somma dei debiti sovrani europei oggi, garantiti da una BC e denominato interamente nella valuta che si emette, non rappresentino nè un problema nè un freno allo sviluppo ed alla prosperità del paese?
R: Abbiamo vissuto un mutamento di paradigma culturale dei partitimsocialdemocratici, ma anche del partito democratico americano. Credo che un fattore rilevante sia stato la caduta del muro di Berlino, e, come dire, una sorta di diffuso senso comune: un autore che allora andava molto di moda, Fukuyama, parlava di “fine della Storia”, sostanzialmente l’unico pensiero possibile era il pensiero liberista. Alternative al liberismo avevano portato al clamoroso fallimento degli esperimenti tentati. Quindi lo shock politico, in particolare per la sinistra italiana, che appunto viene da una tradizione comunista che, sebbene da posizioni autonome, aveva dei legami ancora forti a quel mondo, è stato un fattore rilevante per cercare di salvarsi attraverso l’aggancio a quello che sembrava allora un modello funzionante; perchè con la droga della finanza facile, allora l’economia girava; e i difetti, i problemi e l’insostenibilità che ovviamente era intrinseca a quel modello, allora non era evidente. E larga parte delle classi medie erano attrattatte dalla prospettiva del “fai da te”, dallo smantellamento del welfare, dalla riduzione della pressione fiscale (?).
Fatti che avevano portato anche a degli eccessi – perchè poi quando l’avversario vince, qualche domande te la devi fare, se hai fatto tutto bene o meno, e ci sono stati eccessi dai quali poi l’avversario ha trovato leve per poter ribaltare il modello – : eccessi di burocratizzazione del welfare, eccessi di spesa, eccessi di tassazione, una modifica del mondo produttivo, del mondo del lavoro che non veniva più coperto da quello che era stato l’impianto diciamo “fordista”. Quindi da un lato c’è stato lo shock politico del crollo del mondo sovietico, c’è stato dall’altro un sistema di welfare, di tassazione che non riuscivano più a rispondere a un mondo produttivo che è cambiato; e c’è stata una straordinaria offensiva culturale e politica della destra. Ci sono oramai studi molto chiari sugli investimenti fatti per la propaganda, potremmo dirla con un termine grossolano ma corrispondente. Questa subalternità è viaggiata nelle forme suadenti delle terze vie, da Blair a Clinton, che formalmente si presentavano appunto come terze, in realtà erano la versione addolcita ma con gli angoli smussati dello stesso paradigma che, fino a che ha funzionato quel meccanismo, ha portato a risultati anche positivi per chi li sposava; quando quel meccanismo si è rotto appunto, è venuto fuori che i partiti della famiglia socialdemocratica non sapevano più che cosa dire. E non a caso in questi mesi, le uniche due forze che si affermano o che potrebbero affermarsi in Europa, Siryza e Podemos, nascono al di fuori della famiglia socialista.
Sul debito: diciamo la questione fondamentale è la dinamica non il livello. Ogni livello potrebbe essere sostenibile, il problema è la dinamica, perchè il debito è la conseguenza di un qualche scompenso.
Se si arresta la dinamica, non solo dovuta alla spesa per interessi, ma dovuta al fatto che accumuli disavanzi primari, il debito può essere sostenibile a diversi livelli, mi pare che questo oramai sia un elemento abbastanza condiviso.
È evidente che non si può crescere a debito all’infinito, nonostante la moneta sovrana: noi nel 92 avevamo la moneta sovrana. È vero, c’era il divorzio tra BCI e tesoro, dopodicchè ritengo che ci siano questioni che riguardano l’economia reale che vanno tenute in considerazione.
D: Lo stesso Olli Rehn, ha ammesso che la crisi non è dovuta a livelli eccessivi di indebitamento pubblico, ma a causa della scarsa competitività internazionale degli stati periferici dell’unione e delle normative troppo rigide del mercato del lavoro: Lei da ragione a Olli Rehn?
R: No, nel senso che Rehn ha ragione nella prima parte dell’analisi, e cioè che la crisi non nasce da debiti pubblici, ma questo è un dato di realtà, nasce da debiti privati. Negli Stati Uniti non c’era un problema di debito pubblico, c’era un enorme problema di debito privato, come c’era un problema di debito privato in Spagna, in Irlanda, che avevano un debito pubblico inferiore o intorno al 40%. Nasce da debiti privati e nasce a mio avviso non da quello che dice Rehn, o meglio, quello che dice Rehn è una conseguenza. La crisi nasce dal fatto che il lavoro, nel corso dell’ultimo trentennio precedente, ha perso via via valore: fintanto che la finanza privata ha consentito alle classi medie che perdevano potere d’acquisto dal lavoro, di recuperarlo a debito, l’economia ha continuato a girare perchè comunque una domanda veniva generata sebbene fosse una domanda a debito privato nella stragrande maggioranza dei casi. Non a caso la crisi esplode sui mutui subprime, , cioè mutui dati a lavoratori precari e poco pagati, che però facevano da classi medie grazie al debito. Quando è venuta meno quella droga, son venuti fuori gli scompensi. Questo è il punto di fondo. Che poi gli scompensi si sono aggravati perchè si è scelto di curare la malattia con dosi più massicce dei fattori che avevano generato la malattia.
D: In ultima battuta, questo processo di mutamento ideologico nei partiti socialdemocratici, da che cosa è dipeso, e soprattutto , in che modo possiamo cambiare la tendenza?
R: Tornando sui binari valoriali, tornando sui binari della rappresentanza, ovviamente con proposte che non possono essere quelle del fordismo, siamo in una fase completamente diversa. A mio avviso quindi attraverso le prove della realtà, di fronte alle sconfitte politiche, o cambiano o muoiono: in Grecia il Pasok è morto ed è nata un’altra forza di sinistra. Il punto è questo e non c’è nessun determinismo.
Credo che ci sia una battaglia da fare, per chi come il sottoscritto ritiene che sia necessario un radicale cambiamento di paradigma, sul piano politico, sul piano culturale, sul piano sociale: quindi ci sono diversi fattori che devono concorrere a produrre questo mutamento.
D: Nella computazione del PIL, si è scelto di inserire voci come prostituzione e droga, aumentando così il paniere di componenti legati alla produzione reali di merci. Noi crediamo invece che la tendenza debba essere invertita, prendendo in esame, come diceva il presidente americano Kennedy, soprattutto la produzione di servizi e beni “etici”, come lo stato assistenziale, il rispetto dell’ambiente, il livello d’istruzione e di innovazione: occorre quindi contrapporre al PIL – Prodotto interno lordo, il BIN – Benessere Interno Netto come giusto parametro nella misurazione della crescita di un Paese. Anche eminenti economisti, come il premio nobel Stiglitz, hanno affermato che valutare la prosperità di una società nella sua interezza, guardando esclusivamente al PIL e alla sua crescita, non è sufficiente.
Qual è il suo pensiero a riguardo?
R: Ma, ritengo che sia una discussione matura e da fare, ritengo che siamo anche in ritardo. Quando prima dicevo che la sinistra e i partiti socialdemocratici si devono rigenerare, mi riferivo ad un paradigma che non può essere un paradigma sviluppista quantitativo che ha caratterizzato la fase di industrializzazione, che ha caratterizzato il fordismo: deve essere un paradigma in cui vi sono indicatori qualitativi. Non ritengo che sia nè possibile nè auspicabile tornare a tassi di crescita quantitativi come quelli che avevamo prima, dobbiamo puntare alla qualità.
Qualche passo avanti, ancora molto timido, si fa: l’Istat, come sapete, inizia a pubblicare il BES, l’indicatore del benessere equo e sostenibile, che non è esattamente il BIN però la direzione è quella giusta. Si valutano elementi quantitativi (????).
A mio avviso, tra questi elementi da prendere in considerazione, c’è anche una ridefinizione del rapporto tra vita e lavoro, tra tempo di vita e tempo di lavoro: ritengo davvero che siamo in una fase in cui è richiesto alla sinistra un radicale cambiamento di paradigma, non un aggiustamento, un ammorbidimento del paradigma in cui siamo e in cui siamo stati per tanto tempo, ma un radicale cambiamento di paradigma.
Finora la fonte più autorevole che insiste su tale discontinuità non è una forza politica ma viene dalla Dottrina sociale della Chiesa e da questo Papa, che rimette al centro la dignità della persona intesa come qualità del lavoro, della vita, delle relazioni.
D: Con legge costituzionale del 20 aprile 2012, n. 1 – in coerenza anche con quanto disposto da accordi internazionali quali il “Fiscal compact”, è stato introdotto nella Costituzione il principio dell’equilibrio strutturale delle entrate e delle spese del bilancio (con la modif. art. 81).
Si tratta della c.d. “regola aurea” o principio del pareggio di bilancio, poiché, citando testualmente, “sarebbe emersa a livello comunitario l’esigenza di prevedere negli ordinamenti nazionali ulteriori e più stringenti regole per il consolidamento fiscale”.
E’ ormai riconosciuto un po’ da tutti (compreso nel mondo accademico) che inserire tale “principio” in Costituzione sia stata una scelta scriteriata. Anche lo stesso Bersani due anni fa diceva che si trattava di “castrazione sociale”. Il pareggio di bilancio risulta essere di fatto un cappio al collo che lo Stato Italiano si autoimpone e che gli impedisce, in una fase congiunturale di recessione economica come questa, di effettuare un deficit spending adeguato per stimolare la domanda aggregata. Come si scende da questo patibolo?
R: Ritengo, e lo ritenni anche allora, durante il Governo Monti, un errore economico l’equilibrio di bilancio in Costituzione. Allora lo giustificai anche pubblicamente, in termini politici perchè forse anche in quel caso con una dose di ottimismo eccessiva, si profilava uno scambio: uno scambio tra una maggiore rigidità a livello nazionale e una prospettiva di strumenti di finanza pubblica a livello comunitario. Era prima delle elezioni francese, era prima delle elezioni tedesche e greche, era il 2012 e l’obiettivo era quello di scambiare sul piano politico, sebbene appunto anche allora abbia riconosciuto pubblicamente che era una misura sbagliata sul piano economico, l’ipotesi era quella di fare uno scambio tra rigidità all’interno e spazi di manovra attraverso un potenziamento del bilancio comunitario. E’ evidente che non è andata così, che l’elezioni francesi hanno portato al governo un presidente socialista che a mio avviso rimane dentro quel paradigma subalterno al liberismo che ricordavamo prima, e che le elezioni in Germania hanno portato ad un governo di coalizione dove la SPD ha lasciato sostanzialmente carta bianca alla Merkel per quanto riguarda gli affari europei. Non a caso già da un anno abbiamo proposto emendamenti alla Costituzione, in particolare al testo di riforma del Senato, per modificare l’articolo 81, per fare in modo che il secondo comma consenta il deficit per il finanziamento degli investimenti.
Credo che vada perseguito questo obiettivo, vadano recuperati spazi di manovra a livello nazionale perchè, come dicevamo prima, le condizioni politiche, i rapporti di forza politici per fare quel salto di qualità in termini di politiche di bilancio a livello europeo non si ravvisa: sebbene poi la realtà ha la testa dura, quindi questa norma, nonostante sia entrata in vigore, non è stata applicata perchè è ridicolo, sarebbe stato ridicolo puntare in una situazione di recessione al pareggio di bilancio, quindi l’abbiamo sempre disattesa, abbiamo dovuto fare un voto parlamentare a maggioranza assoluta per disattenderla; ma appunto, quando bisogna fare forzature ideologiche che stridono con la realtà, poi voglio dire, ne va preso atto. Adesso, qualche settimana fa, anche la Commissione Europea con una comunicazione ha dovuto introdurre inevitabilmente una flessibilità e accantonare il Fiscal Compact perchè il requisito del debito sarebbe stato assolutamente impraticabile
D: Se l’UE in generale e la “Troika” (ora battezzate da Tsipras “istituzioni”!) decidessero in particolare di voler proseguire incondizionatamente con le attuali politiche di austerità quali soluzioni pensa si possano adottare a livello dei singoli Stati, con esplicito riferimento all’Italia? Un Euro break-up sarebbe possibile e con quali modalità?
R: Innanzitutto voglio sottolineare che dietro a questa sigla, UE, Unione Europea o Eurozona, o troika, si nascondono interessi ben precisi, non sono i burocrati, i tecnici di Bruxelles: ci sono interessi nazionali forti e ci sono interessi economici forti. Quindi dovremmo cominciare a chiamare le cose con il loro nome: non è Olli Rehn o Junker, ci sono dietro un pensiero e anche interessi materiali, ci sono Stati nazionali che beneficiano di questo assetto, ci sono interessi economici forti, finanziari o anche di grandi imprese, che beneficiano di questo assetto, che poi viene portato avanti da funzionari, più o meno brillanti, che lo attuano. Però non è genericamente la UE, non è genericamente qualche capo dipartimento, o capostruttura a Bruxelles o a Francoforte da cambiare. Ci sono corposi interessi nazionali e corposi interessi economici e sociali. Se continuasse così non ci sarebbe una scelta politica da fare, andremmo inevitabilmente ad un brakup caotico, perchè non tiene: c’è, come ho detto prima, una intrinseca insostenibilità, perchè un’area grande e a reddito pro capite ancora elevato come l’eurozona non può stare insieme lungo una linea mercantilista, dove appunto tutti cercano di crescere attraverso le esportazioni e fanno svalutazione interna, e in particolare svalutazione del lavoro. Quindi c’è una oggettiva contraddizione che può essere sopita oggi col Quantitative Easing e l’allentamento dei vincoli, degli obiettivi di finanza pubblica, ma rimane una contraddizione insostenibile. Quindi senza un cambiamento di rotta, il naufragio è inevitabile.
Dobbiamo evitarlo: di fronte all’impossibilità di cambiare rotta credo che la politica debba entrare in campo per evitare la rottura caotica, per prendere atto dell’insostenibilità dell’attuale quadro e proporre soluzioni alternative.
D: Quindi Lei crede che bisogna quantomeno prepararsi, perchè la decisione deve essere collettiva per evitare il peggio..
R: Sì, qualche tempo fa ho parlato di “superamento cooperativo” dell’attuale assetto. Mi rendo conto, un obiettivo molto ambizioso sul piano politico, perchè oggi la cooperazione tra gli Stati dell’eurozona è molto molto limitata, però confido che di fronte ad un futuro prossimo di rottura caotica con effetti negativi per tutti – maggiori o minori ma comunque effetti negativi per tutti – alla fine l’interesse di ciascuno possa portare a riconoscere che un superamento cooperativo è la strada da perseguire perchè minimizza gli effetti negativi su ciascuno e su tutti.
D: Questo qualora gli Stati riuscissero a capire qual è il rischio a cui andiamo incontro: ma se l’interesse privato è maggiore dell’interesse pubblico, là arriviamo al punto del non ritorno, perchè gli Stati non hanno quell’autonomia, vengono sempre pilotati per il discorso che abbiamo fatto prima: quindi dobbiamo affidarci a politici coraggiosi…
R: Sì, politici coraggiosi: i politici ovviamente hanno a che fare con le opinioni pubbliche. Quindi certamente serve una politica innanzitutto culturalmente autonoma, prima che politicamente libera da condizionamenti di interessi più o meno forti. Serve anche che un livello di mobilitazioni sociale, di protagonismo sociale: cioè serve non solo un’operazione dall’alto, non basterebbe un’operazione dall’alto. Serve appunto una iniziativa che viaggia sui binari culturali, che viaggia sui binari sociali, e ovviamente sui binari politici.
D: Da alcuni anni in Italia e nel mondo, hanno nuovamente ripreso vigore le teorie post-keynesiane, pensiamo ad esempio alla nomina di Stephanie Kelton a capo economista dei democratici americani da parte di Bernie Sanders.
Bisogna guardare a queste teorie oppure all’austerità? le riforme strutturali e la politica monetaria accomodante prima o poi daranno i risultati sperati o riusciremo con le politiche economiche postkeynesiane a invertire la rotta?
R: Come ho provato a dire non funzionano, anche perché poi alla fine questo termine “riforme strutturali”, anche qua indica un oggetto ben preciso, che si tratta del lavoro, che si tratta della precarizzazione e della svalutazione del lavoro, è la stragrande maggioranza dell’universo delle riforme strutturali. No, non funzionano, e quindi ovviamente servono teorie, servono politiche postkeynesiane. Però appunto, con l’avvertenza che c’è una incompatibilità di fondo tra la praticabilità di queste politiche postkeynesiane in un paese, in un quadro di moneta unica. Perchè poi c’è una conseguenza sulla bilancia dei pagamenti e quindi dovrebbe essere un’adozione generale.
D: Qualora il PD non dovesse dare ascolto nè ai moniti degli economisti (come per esempio quello lanciato dal prof Emiliano Brancaccio insieme a Riccardo Realfonzo e altri accademici internazionali) né ai suoi consigli, lei continuerà a lottare dentro il suo partito o sceglierà strade diverse?
R: Come ho provato ad accennare prima, ritengo che il Partito Democratico non coincida con l’attuale segretario e l’attuale Presidente del Consiglio, non coincida neanche con i gruppi parlamentari del Partito Democratico di Camera e Senato, c’è tanto Partito Democratico fuori dai palazzi della politica ed è un Partito Democratico che sento vicino, non so se è la maggioranza ma è una parte significativa, ed è la parte alla quale faccio riferimento per tenere viva la prospettiva di un cambiamento di rotta. Qualora mi accorgessi che questa prospettiva non è realistica, ovviamente ne trarrei le conseguenze.
D: Onorevole, un’ultima domanda secca: cosa non rifarebbe del passato?
R: E’ una bella domanda.. Il mio passato politico in realtà è molto breve: questa è la mia prima legislatura, ho fatto per tre anni e mezzo il responsabile economico del PD, insomma il mio passato politico incomincia nel 2010.
Credo che più che cosa non farei, cosa farei con maggiore determinazione: credo di non aver fatto abbastanza durante la stagione del Governo Monti, che è stata esiziale per il Partito Democratico ed è stata la ragione vera per la quale abbiamo perso le elezioni. Avrei dovuto impuntarmi di più, nonostante allora, per quello che ho fatto, una parte del PD chiese le mie dimissioni da responsabile economico, ma avrei dovuto fare di più, in un clima difficile, perché allora andava di moda, non per Bersani, ma in larga parte del Partito Democratico l’agenda Monti veniva considerata l’agenda da assumere. Quindi nonostante fossimo maggioranza con Bersani, in realtà poi negli organismi dirigenti eravamo minoranza. Ma certamente farei con maggiore determinazione e impuntatura battaglie che ho fatto ma evidentemente non in misura adeguata.
La ringraziamo per la disponibilità e la cortesia riservataci.
Domande a cura di: Aldo Scorrano, Francisco La Manna, Fabio Di Lenola
Video e montaggio: Gianluca Graziadio