Lo slogan della vittoriosa campagna presidenziale condotta da Bill Clinton nel ’92, “E’ l’economia, stupidi!“, intendeva trasmettere ai propri cittadini (in quel caso all’elettorato), che sono proprio i risultati economici relativi alla produzione, al reddito e all’occupazione a determinare in qualsiasi Paese del Mondo quelli che sono poi gli esiti delle elezioni.
Dalla fine degli accordi di Bretton Woods del 1971, la maggior parte dei Paesi del pianeta si è dotata di quella che noi della Me-mmt definiamo come moneta “fiat” o moneta moderna, mediante la quale ciascuno Governo (democraticamente eletto), può con maggiore libertà e pienezza rispetto ai sistemi monetari precedenti al ‘71, gestire l’economia della propria nazione nel rispetto dell’interesse pubblico dei propri cittadini.
Dunque, ciascun Governo dotato di sovranità monetaria, ossia del diritto legale esclusivo di emissione della propria valuta, era e sarebbe in grado di tutelare e proteggere i propri cittadini da qualsiasi crisi macroeconomica, che ciclicamente si presenta all’interno del settore privato di famiglie e imprese, consentendo di conseguire sempre la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. In tal modo ogni Governo sarebbe in grado di promuovere la democrazia stessa, la libertà e i diritti fondamentali tra cui quello del lavoro, onorando di fatto i sommi principi sanciti nella nostra (oramai defunta), Carta Costituzionale.
Al fine di conseguire tali e più finalità di politica economica e sociale, ciascuno Stato sovrano della propria moneta, dispone di quattro strumenti principali:
SPESA PUBBLICA  (prima leva di politica fiscale/economica);
TASSE (seconda leva di politica fiscale/economica);
TASSO D’INTERESSE A BREVE TERMINE (leva di politica monetaria);
– TASSO DI CAMBIO NOMINALE (leva di politica valutaria);
Queste elencate, rappresentano dunque le principali leve di politica macroeconomica con cui uno Stato può gestire la vita dei propri cittadini. Quelle leve di base che consentono di stabilizzare il ciclo economico, di garantire la crescita ed uno sviluppo armonioso e sostenibile, secondo delle linee guida definite dal popolo sovrano.
L’informazione e il messaggio che tale articolo intende ed auspica far arrivare ai lettori, è che (come disse il premio nobel dell’economia Paul Krugman), “Adottando l’euro, (l’Italia) si è ridotta al rango di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere a prestito la moneta, con tutto ciò che questo implica”.
Dunque l’Italia, così come tutti quei Paesi che fanno parte dell’Eurozona, non potendo più emettere la propria moneta, è costretta a prenderla in prestito dai mercati finanziari (ossia dalle grandi corporation bancarie), non possedendo e non controllando più nessuno dei quattro strumenti succitati.
Inoltre è doveroso sottolineare che i due strumenti più importanti, ossia le leve di politica fiscale (Spesa Pubblica e Tasse), sono letteralmente gestite dai mercati finanziari (compresi i tassi d’interesse sui titoli di Stato), con il monitoraggio costante e i relativi vincoli (auto-)imposti da parte di soggetti non eletti che costituiscono la Troika (Commissione Europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale); mentre le ultime due leve, ossia il tasso d’interesse a breve termine e il tasso di cambio nominale vengono attualmente gestite dalla Bce, organo indipendente da qualsiasi governo nazionaleil quale è l’unico soggetto all’interno del Sebc (sistema europeo delle Banche Centrali), che è abilitato ad emettere la moneta Euro.
In seguito alla crisi finanziaria dei mutui sub-prime, partita dagli Usa e diffusasi come un virus anche (e non solo) all’interno dell’Eurozona, tutte le macro-aree più rilevanti sono riuscite ad innescare una ripresa (seppur piena di criticità), vedendo le proprie principali grandezze macroeconomiche ritornare a registrare dei segni positivi. Infatti, secondo i dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale nei suoi World economic outlook di aprile 2014 e gennaio 2015, nel periodo che va dal 2007 al 2014, il Pil (produzione e reddito aggregati/totali) delle maggiori economie mondiali ha fatto registrare i seguenti tassi di crescita:
  Var % Pil 2007-2014                                                   tasso di disoccupazione (ufficiale) nel 2014:
– Usa  +10,4 %                                                                                      6,29 %
– Giappone  + 3,0 %                                                                            3,71 %
– Canada  +12,5 %                                                                                6,97 %
– Cina  +75,6 %                                                                                      4,10 %
– Russia  +20,0%                                                                                  5,64 %
– India +54,6 %
– Brasile +24,8 %                                                                                   5,50 %
– Australia + 22,37 %                                                                           6,16 %
– Uk + 4,7 %                                                                                             6,34 %
– Norvegia  +8,25 %                                                                             3,70 %
Al contrario, l’Eurozona intera può essere considerata come la “fossa biologica” dell’economia mondiale. Infatti, sempre nel periodo 2007-2014, l’Eurozona ha visto aumentare in aggregato il pil del 2,2 % e il tasso di disoccupazione ufficiale resta all’11,6 %, con notevoli differenze tra i vari Paesi membri, specialmente tra la Germania e tutte le altre economie periferiche, in particolar modo l’Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda. E altri Paesi come l’Olanda, il Belgio, l’Austria, la Finlandia e la Francia stessa, purtroppo non se la passano meglio.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo quanto riportato dall’ F.M.I. nel suo World economic outlook dell’Aprile 2014, il Pil nazionale nel periodo 2007-2013 ha registrato un calo del 7,1%, considerando che nel 2014 la produzione e il reddito aggregati (pil) sono calati dello 0,4% [fonte:world economic outlook January 2015 Fmi]. La disoccupazione ufficiale (diversa e ben inferiore da quella reale), nel 2014 è stata pari al 12,57 % della forza lavoro, in costante aumento dal 2007. In aggiunta, la produzione industriale domestica tra Aprile 2008 e Novembre 2013 (dati Istat) è crollata del 24%.
Oggi secondo quanto riportato da Alberto Magnani del Sole24ore, il Bel Paese sta registrando un boom per il part time “involontario”: aumentano infatti gli italiani che, secondo l’Istat, “dichiarano di svolgere un lavoro a tempo parziale in mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno”. I lavoratori a part time forzato sono ben il 63,6% dei lavoratori a tempo parziale. Si tratta di un numero pari all’incirca a 2,6 milioni di lavoratori, e raddoppiato rispetto agli 1,023 milioni del 2004. Un trend graduale, dal momento che la quota è cresciuta dal 36% del 2004 fino al 61,3% del 2013, per poi avanzare ulteriormente nel 2014, come l’ultimo dato conferma.
E’ doveroso specificare che anche i Paesi extra-eurozona, come accennato precedentemente, riscontrano non pochi problemi di carattere macroeconomico relativamente alla distribuzione del reddito, fortemente asimmetrica a favore dell’1 % della popolazione; rispetto al livello dei salari reali e al rapporto asimmetrico tra l’andamento di questi e quello della produttività; infatti si può riscontrare la presenza di un’ingente massa di lavoratori sotto-pagati e sotto-occupati, senza dimenticare la persistenza di un assetto dei mercati bancari e finanziari fortemente deregolamentato e di un’eccessiva finanziarizzazione dei rapporti di produzione e di distribuzione all’interno dell’economia reale. E’ altresì vero che questi Paesi dotati di piena sovranità monetaria, al contrario delle nazioni appartenenti all’Unione Monetaria Europea, preservano comunque la possibilità di scegliere il proprio cammino di crescita e sviluppo economico e tali criticità appena menzionate, non sono altro che il frutto di mere scelte di politica macroeconomica (sbagliate).
Ciò che comunque s’intende sottolineare, è che la differenza principale e strutturale tra l’Unione Monetaria Europea e gli altri Paesi maggiormente sviluppati dal punto di vista economico (ad esempio Usa, Cina, Giappone, Uk, Australia, Canada ecc….), risiede proprio nell’indisponibilità per la prima, sia a livello nazionale che a livello sovranazionale, di tutte le principali leve di politica macroeconomica e dunque, di una piena sovranità monetaria. L’eurozona è infatti, il primo esempio storico su vasta scala, in cui la moneta è slegata, separata dallo Stato, con quest’ultimo che sostanzialmente non esiste più.
Or bene, pensate ancora che l’euro non sia la causa principale di questa catastrofe socio-economica? E’ l’economia, gente…
L'Eurozona mangia