Come la Grecia può tornare ad essere un paese sovrano e prospero.
Fonte: http://www.memmtveneto.altervista.org/grecia.html
Stiamo in questi giorni assistendo ad un dibattito su cosa potrebbe fare la Grecia per uscire dalla grave crisi economica che attanaglia questo paese ormai da 8 anni, alimentato dall’elezione di Alexis Tsipras, presidente appartenente ad un partito di estrema sinistra (Syriza) che nel corso della compagna elettorale ha fatto molte promesse (che non sta mantenendo) al suo popolo, tra le quali quella di negoziare a livello europeo la ristrutturazione del debito pubblico greco, al fine di ottenere condizioni più vantaggiose che consentano al nuovo governo di allentare la morsa dell’austerità che sta soffocando l’economia di quel paese.
Tsipras in quest’impresa è sostenuto da un ministro dell’economia di dichiarata ispirazione marxista, un economista greco di none Yanis Varoufakis, che assieme ad un economista vicino al pensiero economico della ME-MMT (James Kenneth Galbraith) ha stilato un documento denominato “Una Modesta Proposta per l’Europa”, in cui i due, preso atto dell’impossibilità politica di una riforma dell’attuale assetto dell’Unione Europea nel senso di un “superstato federale”, propongono delle soluzioni alternative pur però sempre rimanendo all’interno della cornice degli attuali trattati.
Riassumendo, tutte queste soluzioni hanno a che fare con un maggiore ruolo della Banca degli Investimenti Europea (BEI) e della Banca Centrale Europea.
In tutti questi ragionamenti però, a mio modo di vedere si denota una forte miopia sia per quanto concerne il punto di vista economico che quello politico.
Innanzitutto partiamo dal punto di vista politico. E’ innegabile ormai il fatto che sempre più personalità del mondo economico e politico si stiano rendendo conto che l’attuale processo di “costruzione europea” presenti diverse falle. Tuttavia, non è chiaro fino a che punto questa consapevolezza arrivi e se questa sia più dettata da logiche di immagine e di prestigio politico piuttosto che da una una reale coscienza della gravità della situazione e da un concreto interessamento per il benessere dei popoli europei più oppressi da questa crisi. L’attuale andamento della situazione del caso greco (così come degli altri casi dei paesi del sud Europa) sembra confermare la prima ipotesi.
Ci sono infatti dei fattori che, per viltà o mero opportunismo politico, gli attuali “critici” del sistema europeo sembra non vogliano considerare.
Probabilmente l’aspetto più importante e raccapricciante allo stesso tempo è che questi cosiddetti “sognatori”, questi “altereuropeisti” si ostinino a cercare una soluzione del problema in ambito europeo, di fatto negando concetti fondamentali della civiltà occidentale (e non solo), quali la democrazia, la libertà e il principio di autodeterminazione dei popoli (sancito tra i diritti fondamentali nella Carta delle Nazioni Unite).
La critica che costoro oppongono a questo tipo di ragionamento è a mio modo di vedere quanto di più paternalista ed oscurantista possa esistere nell’ambito di un dibattito che dovrebbe essere civile e democratico, ossia, la pretesa di riunire il mondo sotto un’unica bandiera, di arrivare a costituire cioè regole valide in ogni momento e in ogni tempo per qualsiasi sistema, per qualsiasi popolo nella speranza così di evitare ogni tipo di conflitto, con particolare riferimento a quelli di natura bellica.
A tal proposito basti citare quanto recita l’articolo 2 dello statuto del Movimento Federalista Europeo: ” Art. 2 – Il MFE ha come scopo la lotta per la creazione di un ordine politico razionale, che, secondo la visione di Kant, può essere tale solo se abbraccia l’intera umanità. Il suo obiettivo ultimo è pertanto la federazione mondiale. I suoi obiettivi intermedi sono la Federazione europea, l’unificazione federale delle altre grandi famiglie del genere umano e la trasformazione dell’ONU in un governo mondiale parziale”.
E’ un concetto derivante da quelli che a mio modo di vedere sono i pensieri più sbagliati ed esasperati sorti nell’ambito dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese, ossia la pretesa di uniformare tutto il pensiero umano ad un unico modello su base razionalista, quando, in verità, l’uomo è per definizione libero, diverso, dotato della capacità di scegliere, di evolversi verso un modello sociale o politico rispetto che un altro e un punto di vista puramente razionalizzante e globalizzante non può essere assunto come base per una pacifica convivenza tra popoli, che per natura sono diversi e non vivono solo di calcoli e di raziocinio, ma anche di cultura, di tradizioni, di identità che si basano su percorsi storici diversi, anche millenari.
Pur difendendo anche il sottoscritto l’evoluzione del genere umano verso una condivisione di alcuni (pochi ma irrinunciabili) valori fondamentali, non difendo però il mondo in cui si vorrebbe realizzare ciò. E’ infatti impensabile a mio modo di vedere cercare di rinchiudere l’enorme ricchezza e varietà delle società umane dentro un contenitore unico; la pace, la convivenza e la collaborazione si dovrebbe cercare di realizzarle creando sì una cultura di base su alcune tematiche (e anche su questo ci sarebbe molto da discutere), ma mantenendo nello stesso tempo le identità, le diversità e la libertà di autogestirsi per delle realtà che comunque mai (e a ragione) saranno uguali e alle quali mai potrà essere applicato un comune bagaglio di regole e concetti e nel caso dell’Unione Europea (ma anche in altri casi) oggi abbiamo una classica riprova di ciò.
Il confronto tra esperienze e culture diverse poi non dovrebbe essere visto puramente dal punto di vista conflittuale, ma anche come occasione di confronto e di miglioramento reciproco, in quanto in una realtà unica e unificante si possono anche prendere delle decisioni giuste tutti assieme, ma si è in un sistema rigido che non ammette sperimentazione e confronto tra modi di agire diversi e quindi si può anche sbagliare tutti assieme.
E qui sta a mio modo di vedere l’errore e l’arroganza delle ideologie globaliste e comunitariste alle quali anche Alexis Tsipras aderisce, ossia, il voler condannare ogni istanza identitaria e di indipendenza come sinonimo di fascismo e di reazione, quando in verità sono il vero motore che promuove il confronto tra realtà diverse, per il miglioramento dell’umanità.
Facciamo un esempio concreto per capirci: può essere benissimo a mio modo di vedere che esista un’Europa unita nella collaborazione ma allo stesso tempo rispettosa dell’autonomia dei singoli stati sia in termini economici che politici, poiché dal confronto deriva anche il miglioramento e l’argine agli eccessi di ciascuno: ecco quindi che un modello più liberale che in Germania potrebbe avere un senso, potrebbe fare da contraltare a un modello italiano che può eccedere nella tutela del sociale (ad esempio finanziando anche lavoro improduttivo) e, viceversa, che il nostro modello di tutela del sociale possa essere un esempio per i paesi del Nord Europa, più propensi alle logiche mercantiliste e di abbattimento della domanda interna.
Ma veniamo alla parte economica, che è quella in cui bisogna essere più ferrati, cercando di portare dati concreti se non si vuole soccombere alle argomentazioni di chi la libertà la vuole distruggere.
Innanzitutto forniamo una panoramica di come funzionava l’economia in Grecia quando era ancora un paese sovrano, raffrontando tale situazione con quella attuale di perdita di sovranità monetaria (a partire cioè dal 2002).
Tutti i grafici riportati di seguito sono stati costruiti mediante l’elaborazione dei dati forniti dal World Economic Outolook Databe del Fondo Monetario Internazionale (ultimo aggiornamento ottobre 2014).
Questo grafico mostra l’andamento del PIL annuale della Grecia raffrontato a quello del deficit pubblico. Come si può vedere, nonostante le fonti mainstream spesso affermino il contrario, la Grecia non si comportò affatto come quel paese spendaccione che spesso ci viene descritto. Il deficit pubblico infatti cominciò a ridursi notevolmente già a partire dalla seconda metà degli anni ‘90 e ciò comportò un aumento notevole del debito privato.
Va infatti sottolineato come il deficit pubblico in uno stato a moneta sovrana non rappresenti affatto il debito dei cittadini, bensì il loro credito e ciò contribuì al buon andamento annuale del PIL che si mantenne fino all’inizio della crisi finanziaria del 2007. A partire da allora, soprattutto a seguito dell’applicazione delle politiche di austerity imposte dalla Troika, di fatto venne ridotto il deficit, ma allo stesso tempo si realizzò un crollo del PIL in segno negativo. Infatti, con la riduzione del deficit pubblico è diminuito anche il reddito della cittadinanza e con esso i consumi interni.
Inoltre, con la riduzione del deficit pubblico iniziata già a partire dagli anni ‘90, si ebbe un netto aumento del debito privato, dovuto al fatto che, quando la popolazione non possiede più un governo capace di spendere per lei di più di quanto drena con le tasse, necessariamente deve rivolgersi ai mercati dei capitali privati (nazionali e internazionali) per trovare le risorse necessarie per alimentare la domanda aggregata. Ma il debito privato non è come quello pubblico di uno stato sovrano (che in quanto tale è sempre solvibile), e quando cittadini ed aziende non sono più in grado di ripagarlo la crisi finanziaria aggrava tutti i più importanti parametri macroeconomici (ossia il reddito e l’occupazione interna), come è puntualmente successo dopo il 2007. Questo è “il più grande successo dell’euro” teorizzato dall’ex premier italiano Mario Monti.
Di seguito si riporta l’andamento del debito privato della Grecia:
Contrariamente a quanto solitamente si afferma, la Grecia non andò in crisi per colpa di una eccessiva spesa dello stato, ma per un esplodere del debito privato alla vigilia della crisi finanziaria globale del 2007 e dovuto come abbiamo sopra argomentato proprio al contenimento del debito pubblico con la riduzione costante dei deficit. Da notare che ora che la Grecia utilizza una moneta di fatto straniera il debito pubblico è veramente un problema, in quanto questo stato per finanziare tutte le sue spese ora deve fare affidamento unicamente sui mercati dei capitali, i quali, senza la garanzia di una banca centrale retta da un governo sovrano, di fatto stanno dettando loro le condizioni e abbiamo ampia riprova di ciò alla luce di quanto successo a partire dal 2010, con la cessione completa di sovranità alla Troika (Commissione UE, BCE e FMI), per imporre le condizioni necessarie di austerità al fine di ripagare il debito accumulato ai mercati dei capitali internazionali.
Di seguito si riporta lo schema in cui figurano chi sono in realtà i maggiori creditori dei cosiddetti PIGS (cioè i paesi dell’eurozona che hanno accettato di aderire ai cosiddetti piani di salvataggio della Troika).

Contrariamente a quanto il ministro delle finanze Varoufakis ritiene, “i costi economici e sociali” la Grecia gli ha già dovuti subire prima con l’attuazione dei criteri di convergenza di Maastricht e poi con l’adozione della moneta unica Euro, che di fatto ha fatto esplodere il debito privato esponendo quel paese ai ricatti dei mercati internazionali, che hanno imposto i programmi di austerità con tutte le nefaste conseguenze che ne sono derivate.
E veniamo ora ad un altro importante dato con il quale di fatto si smentisce la virtù dell’adesione della Grecia ai trattati dell’eurozona.
Il grafico seguente rappresenta l’andamento della disoccupazione e dell’inflazione a partire dal 1980.
Nonostante l’inflazione a due cifre (25%), la Grecia nel 1980 praticamente viveva in un regime di piena occupazione. La disoccupazione infatti era del 2,7%, più bassa di quella tedesca che nello stesso periodo era del 3,4%, mentre alla fine del periodo considerato (2013) rappresenta invece il dato peggiorativo rispetto a tutti gli altri paesi dell’eurozona (sopra il 27% del totale della forza lavoro).
L’adesione ai trattati dell’eurozona, con conseguente riduzione e stabilizzazione del debito pubblico (che in uno stato a moneta sovrana rappresenta la ricchezza di cittadini ed aziende) e l’abbattimento dell’inflazione (mantra della BCE) non hanno portato al “sogno europeo” tanto decantato dai media e dalla politica, anzi, hanno notevolmente peggiorato tutti i principali indicatori macroeconomici solitamente utilizzati per descrivere la solidità di una determinata economia.
E di questo né Varoufakis né tantomeno Tsipras sembra se ne rendano conto, perlomeno stando alle dichiarazioni degli stessi (vedere il commento di Tsipras sui deficit di bilancio durante la sua esposizione all’ultimo convegno di Cernobbio, nel 2014).
Importante a tal riguardo è anche il commento dell’Economista MMT Bill Mitchell sulla situazione della Grecia, consultabile al seguente link: https://mmtitalia.info/bill-mitchell-syriza-non-e-radicale-alla-grecia-serve-un-deficit-altissimo/
Seppure utilizzata ben al di sotto delle sue possibilità, la sovranità monetaria della Grecia servì comunque a garantire un discreto benessere alla sua popolazione, perlomeno fino all’adozione delle politiche di Maastricht al fine di aderire alla moneta unica.
E oggi il disastro è sotto gli occhi di tutti. A questo punto alla Grecia rimangono solo due alternative: o continuare ad inchinarsi nei confronti delle stesse potenze extraterritoriali che hanno tutto l’interesse a distruggere l’economia reale di quel paese, nella vana speranza che il cosiddetto “progetto europeo” possa come per magia un giorno trasformarsi per diventare ciò che non è mai stato e mai potrà essere (per motivazioni sociali, economiche e soprattutto storiche che lo rendono impossibile), oppure farsi promotrice di un vero progetto europeo che metta al primo piano la difesa della libertà e del benessere di ogni popolo, condizione imprescindibile per attuare una costruttiva collaborazione tra realtà diverse, che nella loro differenza vanno rispettate.
E come si può ottenere tutto ciò ? Molto semplice !
La Grecia dovrà unilateralmente e senza perdere ulteriore tempo stracciare i trattati europei che l’hanno ridotta in tale stato, perlomeno partendo da Maastricht in poi.
Dovrà pertanto riappropriarsi della piena sovranità parlamentare e monetaria, al fine di utilizzarle per il benessere del 99% della popolazione.
Come primo passo, la Grecia dovrà lasciare i depositi dei correntisti in Euro ed iniziare subito a spendere e a tassare nella nuova Dracma.
Ciò non sarà affatto un problema per le banche, che potranno ricevere infinita liquidità dall’azione congiunta di governo e banca centrale e non sarà un problema neppure per i debitori, che saranno tutelati da una nuova disposizione di legge che impone il rifinanziamento del debito nella nuova valuta. Anzi, i debitori saranno avvantaggiati nel ripagamento dei loro debiti, in quanto si troveranno tra le mani una nuova valuta che con ogni probabilità avrà maggiore valore rispetto l’Euro.
Il pagamento di ogni transazione e delle tasse nella nuova Dracma infatti imporrà ai correntisti la necessità di vendere alla Banca Centrale Euro per acquisire la nuova valuta, che si troverà quindi ad essere apprezzata nei mercati dei cambi e questo consentirà al governo di avere a disposizione una forte disponibilità di valuta estera con la quale ripagare i debiti ai creditori internazionali, senza ricorrere ad acquisti sul FOREX.
Ulteriore elemento che causerà un forte deprezzamento dell’Euro sarà il fatto che, con ogni probabilità, anche altri paesi dell’eurozona potrebbero essere indotti a seguire l’esempio della Grecia e ciò di fatto potrebbe causare la repentina fine di tutto questo sistema.
La Grecia quindi dovrà applicare forti e coraggiose politiche di spesa in deficit (molto più coraggiose di quelle sostenute da altri consulenti del governo attuale) per assorbire l’intera massa dei disoccupati in un vero e proprio Programma di Pieno Lavoro Garantito (PLG), con stipendi dignitosi che si collochino ad un livello solo leggermente inferiore a quello pagato alle analoghe mansioni nel settore privato e in lavori utili alla società (istruzione, assistenza sociale, manutenzione delle infrastrutture, difesa dell’ambiente, lotta al dissesto idrogeologico, riqualificazione energetica degli edifici, ricerca, ecc.).
Ciò causerà man mano anche la ripresa dell’intero settore privato, che sarà agevolata in particolare da due fattori: la disponibilità di una forte domanda aggregata generata dai nuovi redditi prodotti col PLG e la presenza di una manodopera formata, operosa e produttiva, che può quindi attivamente contribuire dal lato dell’offerta senza incorrere in fenomeni inflattivi.
Per quanto riguarda la regolazione di import ed export, la Grecia nuovamente sovrana avrà in mano tutti gli strumenti per regolare la valuta ad una valore né troppo basso né troppo alto, al fine di garantire anche la domanda esterna. Tuttavia sarà necessario prendere atto del fatto che in economia i beni reali sono dati da tutto ciò che viene prodotto internamente ad una nazione e dalle importazioni, mentre le esportazioni sono costi reali in quanto privano la popolazione di beni e di servizi di cui non potrà godere.
Questo sarà pertanto il punto di vista sul quale il paese dovrà fare affidamento: la quota maggioritaria del PIL nelle economie più avanzate è data dai consumi interni e non dalla domanda esterna e questo fatto è ben visibile nel caso della Grecia, che dal 1980 al 2012 ha realizzato costantemente deficit delle partite correnti (fig. 5), cioè si è indebita nei confronti dell’estero senza che ciò abbia causato particolari problemi all’andamento annuale del PIL e della disoccupazione, dati che sono peggiorati in maniera significativa solo dopo la crisi finanziaria mondiale del 2007. Tuttavia con i moderni sistemi monetari ciò non costituisce affatto un problema reale, in quanto la moneta fiat non è legata né a metalli preziosi né ad altre valute e pertanto il deficit pubblico può indifferentemente sostenere sia i redditi interni che esterni.
Fig. 5: variazione percentuale del PIL (scala a sinistra) raffrontata alla variazione annuale del saldo delle partite correnti della Grecia, calcolato come rapporto percentuale sul PIL (dati FMI).
La Grecia deve e può tornare ad essere un paese dignitoso e un punto di riferimento ed un esempio per tutti gli altri, in quanto culla della civiltà occidentale nella quale il sottoscritto, nonostante tutto, crede ancora.
Tornare Grecia quindi si può, il problema è volerlo veramente!