In questo articolo analizzavo perché Syriza e in generale i greci non dovevano aver paura del confronto con la Troika: perché, semplicemente, sono rimasti senza cerino in mano, mentre il candelotto è ben condiviso tra diversi paesi europei, Mario Draghi, Angela Merkel e il Fondo Monetario.
Qui, alla luce dei giorni trascorsi, mi preme di tornare sul tema in maniera sintetica e semplice. Le politiche di austerità altro non sono che un violento aggiustamento di mercato rispetto alle distorsioni provocate, in sede Eurozona, sia nel mercato dei beni e servizi (import-export) sia nel mercato dei capitali. A scontare queste follie sono milioni di poveri cristi, mentre i decisori restano a decidere nel loro dorato regno.
Come si trova oggi la Grecia? Ben sapendo che nell’Eurozona valgono tutte le regole del gold standard, essendo l’euro equiparabile ad una moneta straniera che non si possiede e occorre quindi “accaparrarsi” (come fosse oro), diversamente dal regime a sovranità piena, vediamo la situazione
a) le esportazioni sono oggi sufficienti a pagare le importazioni.
Partite correnti, Grecia
b) la Grecia “paga” la spesa pubblica interamente con le tasse dei cittadini. L’avanzo primario (differenza tra tasse versate e spesa) è stato di 1,9 miliardi nel 2014, probabilmente da rivedere al rialzo a causa di un ritardo degli incassi.
Detto questo, e posto che le dinamiche politiche non possono non tenere conto di questi due fattori, cosa deve temere la Grecia? In una trattativa si deve giocare la possibilità di far saltare il banco, altrimenti si perde.
Se la Grecia lasciasse l’euro beneficerebbe immediatamente dell’arresto del pagamento degli interessi sul debito; dilazionerebbe sulla base dell’interesse pubblico la restituzione dei prestiti; annullerebbe l’avanzo primario; potrebbe attuare immediatamente piani di piena occupazione come previsti dal viceministro Rania Antonopolous.
Con una politica economica ben gestita l’ovvia svalutazione della dracma (si ipotizza fino ad un 50% del valore totale) garantirebbe un surplus nelle partite correnti in grado di garantire l’aumento dei salari e stipendi minimi; la Banca Centrale Greca garantirebbe i conti dei cittadini nelle banche elleniche, mettendo fine alla corsa agli sportelli a cui si sta assistendo.
La Grecia non diventerebbe, dall’oggi al domani, la Svizzera, ma le promesse elettorali sarebbero mantenute e Syriza e Tsipras diventerebbero dei “fari” per gli altri popoli europei.
Se ciò avvenisse, a rimetterci sarebbero gli Stati europei, che hanno accollato i debiti delle banche principalmente francesi e tedesche (l’Italia, le cui banche erano pochissimo esposte nei prestiti in Grecia, oggi garantisce 40 miliardi…). Grafico Sole 24 Ore.
Salvataggio banche tedesche e francesi in Grecia, fonte Sole24Ore
ci rimetterebbero Spagna e Italia, surclassate nei flussi turistici greci; rischierebbero i partiti che hanno promosso in questi anni l’austerità, con l’ascesa ad esempio di Podemos in Spagna, dove si vota in autunno.
La scelta del governo greco di trattare da posizioni di debolezza è una scelta geo-politica, ovvero si ritiene l’euro la moneta della “pace” continentale, e si teme che la Grecia, sganciandosi da esso, uscirebbe dalla zona di influenza dell’Occidente.
Il problema, però, è puramente politico (e non geo-politico): il popolo vuole pane e non brioches, e se la democrazia ha senso, starà con chi darà loro pane, e non brioches.
Alexis Tsipras