“Anziché passare il tempo ad inventarsi ragioni per fare scioperi, mi preoccupo di creare posti di lavoro’’. Questo ha dichiarato qualche giorno fa Matteo Renzi, rispondendo ad un giornalista che gli chiedeva un commento sugli scioperi indetti nelle prossime settimane dalle varie sigle sindacali a seguito dell’approvazione del Jobs Act.

jobs ActIn questo articolo cercheremo di rispondere a queste due domande:

  1. Il Jobs Act creerà davvero posti di lavoro?

  2. E quali tipologie di posti di lavoro?

    E’ bene ricordare, innanzitutto, che i principi ispiratori del Jobs Act non sono nati con questa riforma.

Praticamente tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, a partire dal governo Berlusconi del 2001-2006, fino al governo Renzi attualmente in carica, si sono sempre mostrati d’accordo sull’indiscutibile convinzione che una maggiore flessibilità e minori garanzie lavorative possano generare posti di lavoro nuovi.

Alcuni di questi governi sono anche riusciti ad incidere in maniera netta sulla legislazione italiana che regolamenta i contratti di lavoro, cambiando anche pesantemente sia la contrattualistica ammessa dalla legge, sia la regolamentazione e le garanzie inerenti ai contratti già esistenti.

Ricordiamo in particolare la Legge Biagi, che nel 2003 introdusse i contratti atipici (co.co.pro, co.co.co, qui.pro.quo etc etc…), a cui seguì la criticatissima Riforma Fornero, che limitò parzialmente il campo di applicabilità delle garanzie inscritte nell’Articolo 18, fino ad arrivare all’ultima, scoppiettante, riforma Renzi che limita ulteriormente il potere dell’Articolo 18, il Jobs Act appunto.

Semplificando molto, la convinzione che ispira tutte queste riforme trae le sue origini dall’idea che, se l’imprenditore avrà meno oneri e difficoltà nel licenziamento, tenderà anche ad assumere di più.

Per rispondere alle domande che ci siamo posti, andremo ora ad esaminare in sintesi quali sono i risultati che la letteratura scientifica riporta su questo argomento.

In particolare ci interessa capire quale sia la relazione tra l’Indice di Protezione del Lavoro e il Tasso di Occupazione.

Per fare ciò ci viene in aiuto un lavoro di Tito Boeri (sì, quel Tito Boeri, non esattamente un ex-sindacalista confluito in qualche partito socialista…) e Jan Van Ours, intitolato “Imperfect Labor Markets” pubblicato nel 2012 per la Princeton University Press.

Alla pagina 212 di questo testo troviamo una tabella riassuntiva che sintetizza i risultati empirici di una quindicina di lavori di ricerca di livello accademico che hanno investigato le relazioni tra l’Indice di Protezione del Lavoro e il Tasso di Occupazione, partendo da dati sperimentali e serie storiche di svariati paesi.

Riportiamo nella seguente figura la pagina integrale.

La tabella contenuta nella pagina ha nelle righe gli autori dei lavori presi in esame, e sulle colonne rispettivamente stock di occupazione, stock di disoccupazione, flusso di occupazione e flusso di disoccupazione.

Se nella casella che interseca una data riga con una data colonna c’è un più (+), ciò significa che una diminuzione dell’Indice di Protezione del Lavoro aumenta la grandezza in colonna, se c’è un meno (–) la grandezza diminuisce, se c’è un punto interrogativo significa che la grandezza non sembra essere legata all’Indice di Protezione.

Guardando la tabella, si nota subito che la maggior parte delle caselle delle prime due colonne contengono punti interrogativi, oppure sono vuote.

Ciò sta a significare che, secondo i risultati ottenuti dalla maggior parte di questi lavori, l’Indice di Protezione del Lavoro non sembra influenzare gli stock di occupazione e disoccupazione.

Detto in maniera più semplice, la maggior parte degli studi accademici citati nel testo non riescono a individuare alcuna relazione tra la maggiore o minore difficoltà a licenziare e il tasso di occupazione.

Quindi possiamo già rispondere alla prima domanda che ci eravamo posti:

Il Jobs Act creerà posti di lavoro?

La risposta è NO, secondo la ricerca scientifica il Jobs Act non creerà alcun posto di lavoro nuovo.

Andiamo ora a rispondere all’altra domanda, e per fare ciò esaminiamo le colonne relative ai flussi (“flows”), terza e quarta colonna in tabella.

Notiamo che sono presenti parecchi meno (-) nella quarta colonna, relativa al flusso di disoccupazione. Quindi l’Indice di Protezione sul lavoro non sembra influenzare gli stock, ma sembra influenzare i flussi di occupati e disoccupati.  Questo è anche confermato nel testo sotto la tabella, che traduciamo parzialmente qui di seguito per maggior comprensione:

“Pochissimi studi hanno rilevato legami significativi tra l’indice di protezione del lavoro e l’indice di occupazione. Questo risultato è in accordo con la Teoria Economica: essendo un onere sulla distribuzione delle risorse lavorative,  l’indice di protezione del lavoro influenza  i flussi di assunzioni e licenziamenti, ma non influenza l’ammontare degli occupati e dei disoccupati”.
Per rendere più facile la comprensione di quanto abbiamo letto facciamo un esempio.

Prendiamo due amici, Leonardo e David, e supponiamo che prima del Jobs Act David lavori e Leonardo sia disoccupato.

Dopo il Jobs Act a lavorare sarà sempre uno, ma sarà più facile che un anno lavori David mentre Leonardo è disoccupato, e l’anno dopo lavori Leonardo mentre David è disoccupato (aumenta il flusso tra occupati e disoccupati ma l’ammontare di disoccupati è sempre lo stesso).

Quindi possiamo ora rispondere anche alla seconda domanda che ci eravamo posti:

Quali tipologie di posti di lavoro creerà il Jobs Act?

Il Jobs Act andrà ad incrementare le fila dei sotto-occupati, lavoratori a chiamata, part-time, “a singhiozzo”, a termine e simili.

In pratica, gli attuali disoccupati avranno maggiore possibilità di accedere ai posti di lavoro che già ci sono, togliendone una fetta a coloro che un lavoro stabile e duraturo già ce l’hanno.

Questa è la classe politica (di sinistra?) che ora abbiamo in Italia.

Un politica che fa del “homo homini lupus” il suo celato motto di governo, che costringe i precari ad azzuffarsi con gli altri precari per avere un tozzo di pane, che porta la battaglia della vita all’estrema conseguenza di una lotta per la sopravvivenza tra poveri.

E tutto questo per rimanere fedeli a dogmi e poteri economici che nessun cittadino italiano ha scelto o eletto, e dei quali una elite illuminata si è auto-investita con la becera e continua complicità dei nostri politici.

Domenico Rondoni, MeMMT Umbria