Perché il Jobs Act del governo Renzi ci affamerà ancor di più

La sostanza della proposta del governo Renzi per rimediare alla elevata disoccupazione e alla mancanza di lavoro è quella di introdurre strumenti legali che facilitino il licenziamento dei lavoratori. L’idea sembra essere questa: “Se è più facile licenziare sarà più facile assumere“.
Vediamo cosa dicono le numerose pubblicazioni anche nel solo nell’ambito dell’economia ortodossa (quella che viene insegnata in gran parte delle università e utilizzata come guida dalle istituzioni internazionali come il Fondo Monetario per intenderci) per fare chiarezza sulla questione.
Partirei, quindi, da un testo di Tito Boeri (sì, quel Tito Boeri) e Jan Van Ours del 2008, il titolo è “The economics of imperfect labour market” (link: http://ceko.yalova.edu.tr/docs/mukayese/kitabintamami.pdf) in cui i due insospettabili scrivono che “pochi studi trovano effetti significativi fra i regimi di protezione dell’impiego (misurata in genere utilizzando l’indice OCSE fra diversi paesi) e gli stock di occupazione e disoccupazione” (p. 212). Nella tabella della stessa pagina (Tab. 10.3) potete vedere che su 13 studi analizzati sul tema fra il 1998 e il 2005, solamente UNO segnala che una diminuzione delle tutele sul lavoro fa diminuire la disoccupazione, addirittura tre segnalano il contrario, mentre gli altri danno un risultato indeterminato.
Un altro studio significativo a riguardo è quello di Olivier Blanchard (capo economista del Fondo Monetario Internazionale e autore di uno dei volumi di macroeconomia più usato nelle università) del 2005, “European Unemployment: The evolution of Facts an Ideas”. Recita il testo: “le differenze nei regimi di protezione dell’impiego sembrano comunque largamente incorrelate rispetto alle differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari Paesi” (p. 20) .
Qui il link: http://www.nber.org/papers/w11750.pdf.
Tanto per dire che non serve scomodare chissà quali economisti “alternativi”. La stessa “ortodossia” economica non trova riscontro empirico in quello che dice la propria teoria. Della serie: “Dico di non essere cornuto, salvo poi scoprire che mia moglie si intrattiene con l’intero condominio”. Si capisce forse perché certi economisti preferiscono ignorare bellamente ciò che vedono nella propria ricerca sul campo.
Chiudo con il grafico allegato (dati OCSE), che mette in relazione la media dell’indice di protezione dell’impiego e il tasso di disoccupazione dal 1985 al 2013 per verificarne il grado di correlazione. Ebbene risulta dai dati OCSE che su un campione che comprende i 27 paesi OCSE il grado di correlazione è dello 0,7 per cento (R² = 0,007).
Indice di protezione del lavoro e disoccupazione, fonte Ocse
Calcolandolo fra il 1985 e il 2010 (qualcuno potrebbe azzardare l’ipotesi che i dati siano influenzati dall’esplosione dei tassi di disoccupazione degli ultimi anni) la correlazione in effetti sale all’1 per cento.
Insomma se ci pensate bene nulla di sorprendente nel fatto che il mondo vada così.
È un po’ come dire: “Manca cibo e siete affamati? La soluzione è fare in modo che sia più facile togliere cibo a quelli che già ce l’hanno“.
Se come vediamo oggi manca cibo e ci sono affamati in giro la soluzione al problema può realisticamente essere di fare in modo che sia più facile togliere cibo a quelli che già ce l’hanno?
Questo è quello che propone, infatti, il governo Renzi sulla falsariga del pensiero economico che oggi ci schiavizza attraverso assunti palesemente privi di senso.
Al contrario la MMT (Teoria della Moneta Moderna) suggerisce una soluzione più logica: “Se manca del cibo e ci sono persone affamate, allora creiamo altro cibo, finché tutti non saranno adeguatamente nutriti“.
Come? Attraverso uno Stato che aiuti le persone (che siano imprese o singoli) a vivere in un contesto in cui possano lavorare serenamente, mantenere nel tempo ciò che faticosamente hanno creato con le proprie mani, aiutare le aziende a creare ulteriore lavoro per gli altri ed eventualmente intervenire direttamente a livello governativo per aiutare quelli rimasti ancora senza cibo.
Adesso sapete che (anche) questo governo affamerà voi e i vostri figli e che esiste una soluzione efficace, autorevole e scientifica che potrebbe sfamare tutti noi domani mattina e nutrirci in futuro.
A voi la scelta.
 

7 commenti
  1. maurizio leonardi
    maurizio leonardi dice:

    Si, sono d’accordo sulla soluzione “efficace, autorevole e scientifica” della ME-MMT ma per realizzarla ci vuole la politica quindi mi chiedo se non è giunta l’ora che la ME-MMT esca dai “paletti” della proposta di soluzione tecnica e si proponga come soggetto politico:

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  2. Marco Cavedon
    Marco Cavedon dice:

    Ciao Daniele. Mi aiutereste a capire due cose ?
    Nella tab. 10.3 del documento di Boeri cosa si intende esattamente per “stocks” e per “flows” e qual è il significato dei vari “+” e “-” ?
    Nella tabella dell’OCSE i vari punti in azzurro rappresentano sia i valori medi della protezione del lavoro che della disoccupazione ? Come mai sono evidenziati tutti con lo stesso simbolo ?

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    • Daniele Della Bona
      Daniele Della Bona dice:

      Ciao Marco, ti rispondo con piacere. Per “stocks” si intende il valore complessivo, il volume totale degli occupati o disoccupati; mentre, per “flows” si intende il flusso dei disoccupati o degli occupati in un determinato periodo di tempo sempre circoscritto (un anno, tre mesi, un mese…). Per esempio se il flusso degli occupati è positivo significa che quelli che sono entrati nella categoria occupati sono maggiori di quelli che ne sono usciti in un determinato periodo.
      Se invece lo stock occupato aumenta significa che complessivamente un numero maggiore di persone ha un’occupazione.
      I segni “+ ” indica che c’è un aumento di quella voce statistica rispetto alla variabile “indice di tutela dell’impiego”; il segno “-” il contrario. Per esempio se vedi sotto la voce “stocks/unemployment” c’è solo un segno “-“, ciò significa che in quel caso è stata registrata una diminuzione del volume di disoccupati in relazione a una minore tutela dell’impiego.
      Adesso, se la mia spiegazione è stata efficace, dovresti riuscire a leggere tutta la tabella agevolmente. Altrimenti, domanda e ti sarà risposto.
      Spero di esseri stato utile. Un saluto, Marco

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  3. Fabio M.
    Fabio M. dice:

    La verità è semplicemente che non puoi fare una regressione con 27 osservazioni ed la prima cosa che si capisce semplicemente guardando il grafico (tra l’altro con una varianza così grande è evidente che 27 osservazioni sono poche). La seconda è che l’R quadro è molto meno importante della correlazione degli errori. Il fatto che l’R quadro sia piccolo è una cosa normale, che tra l’altro perde ogni significatività quando i termini di errore sono correlati tra loro. Sarebbe un gran risultato (in termini statistici) avere un R quadro piccolo e i termini di errore non autocorrelati. Non è certo l’R quadro il punto. Il punto è che una roba del genere non ha la minima valenza scientifica perché non ci sono abbastanza dati e in mancanza di essi si fa uno “scatter plot” per “giustificare” le proprie teorie riguardo l’argomento. In sostanza non ha alcun senso (sempre in termini statistici) verificare la veridicità di un modello teorico con così pochi dati. Non ci sarebbe nemmeno da discutere su una roba del genere. Se non avessi mai studiato economia (e quindi pure un bel po’ di statistica) leggendo questo post capirei che le metodologie analitiche sono giuste e che gli stessi economisti che conducono quei lavori dicono una cosa e poi un’altra. Invece la realtà è che cercano di dimostrare qualcosa in un modo che non sta né in cielo né in terra solo perché DEVONO pubblicare qualcosa al riguardo. In sostanza quanto si deve evincere dalla lettura di questo articolo non è che “Tanto per dire che non serve scomodare chissà quali economisti “alternativi”. La stessa “ortodossia” economica non trova riscontro empirico in quello che dice la propria teoria”, ma che solo un povero fesso darebbe credito ad un’analisi di questo tipo. Una cosa però è certa (e ne sono fermamente convinto) non esiste alcun indizio che porti a supporre che l’occupazione aumenti al diminuire delle protezioni dei lavoratori

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    • GIUSEPPE NASONE
      GIUSEPPE NASONE dice:

      Infatti, il senso dell’articolo è proprio che “non esiste alcun indizio che porti a supporre che l’occupazione aumenti al diminuire delle protezioni dei lavoratori”.
      Forse però, Fabio M., un “professionista” preciso come lei si svaluta adottando espressioni come “povero fesso”.

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      • Fabio M.
        Fabio M. dice:

        Non è colpa mia se riesco a vedere ad occhio che una roba del genere ha valenza zero (in realtà mi stupisco di come una considerazione del genere manchi nell’articolo). A leggere l’articolo sembra che la regressione sia ben fatta e spieghi bene la correlazione tra protezioni e disoccupazione, cosa non vera. Non so se riesco a spiegarmi. Scusi per il povero fesso, evidentemente si è sentito toccato nel profondo

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