Avevamo spiegato con i “disegnini” il senso della Legge di Stabilità Renzi-Padoan, promettendo di tornarci con precisione. Lo ha già fatto magistralmente Luciano Barra Caracciolo, motivo per il quale riproponiamo il suo recente post dal suo blog Orizzonte48.blogspot.it
Luciano Barra Caracciolo
1. Vorrei farla breve ma probabilmente non ci riuscirò.
La “saga” della legge di stabilità espansiva 2015 si sta rivelando come un gigantesco specchietto per le allodole.
Dilungarsi sul perchè potrebbe rivelarsi però del tutto inutile, dato che, inviata alla Commissione entro il 15 di ottobre, non solo, in base al trattato “aggiuntivo” del twopacks, è soggetta a un primo “via libera” entro la fine di ottobre; ma, nel caso, si ha la sovrapposizione del cambio di commissione, per cui quellla “Barroso” potrebbe delibare entro il 29 ottobre, ma poi la “nuova” Commissione, – se sarà riuscita a superare i “lievi” problemi di composizione evidenziati dalle (peraltro poco rilevanti) audizioni al parlamento europeo-, potrà anche prolungare tale fase di primo esame, destinata a fondare un monitoraggio che si protrae fino al giugno dell’anno successivo (2015).
Lo scorso giugno, come avevamo vistoil monitoraggio della Commissione, seguito al “non liquet” che NON approvava il rinvio al 2016 (divenuto ora 2017) del raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale (concetto affidato a formula complicatissima di cui nessuno ha verificato l’attendibilità scientifica), aveva dato questo esito:
Tradotto in soldoni: l‘aggiustamento strutturale 2014 era già inferiore allo 0,7 annuo richiesto dall’UE.
Una deviazione protratta anche nel 2015 da questo volume di aggiustamento annuo “potrebbe essere valutata come significativa“.
Il governo propone ora, con l”attuale manovra, la ratifica di un peggioramento strutturale 2014 del disavanzo pari a 0,3 (che poi è la misura della recessione prevista) e un aggiustamento per il prossimo anno di 0,1.
Quindi, senza un aggiustamento strutturale più prossimo alla prescrizione della Commissione, questa non potrebbe altro che sanzionare: con raccomandazioni di emendamento sostanzioso (quelle stesse già viste nel documento di giugno) prima, e con una procedura di infrazione, poi, avviata a carico dello Stato italiano ai sensi del fiscal compact.
2. La norma che si applica è quella dell’art.3 del c.d. fiscal compact:
 “1. Le parti contraenti applicano le regole enunciate nel presente paragrafo in aggiunta e fatti salvi i loro obblighi ai sensi del diritto dell’Unione europea:
a) la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è in pareggio o in avanzo;
b) la regola di cui alla lettera a) si considera rispettata se il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all’obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Le parti contraenti assicurano la rapida convergenza verso il loro rispettivo obiettivo di medio termine. Il quadro temporale per tale convergenza sarà proposto dalla Commissione europea tenendo conto dei rischi specifici del paese sul piano della sostenibilità. I progressi verso l’obiettivo di medio termine e il rispetto di tale obiettivo sono valutati globalmente, facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, in linea con il patto di stabilità e crescita rivisto;
c) le parti contraenti possono deviare temporaneamente dal loro rispettivo obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo solo in circostanze eccezionali, come definito al paragrafo 3, lettera b);
d) quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è significativamente inferiore al 60% (ad es; non è il caso della Francia, eppure il Vadeuville va avanti da anni, ndr.) e i rischi sul piano della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche sono bassi, il limite inferiore per l’obiettivo di medio termine di cui alla lettera b) può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dell’1,0% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato;
e) qualora si constatino deviazioni significative dall’obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo, è attivato automaticamente un meccanismo di correzione. Tale meccanismo includel’obbligo della parte contraente interessata di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito
…”
Breve inciso preliminare: il “meccanismo di correzione automatica” la Commissione l’aveva dunque chiesto in corso di esercizio 2014, o, quantomeno, con la Legge di stabilità 2015, cioè a valere sullo stesso anno. Invece, come vedrete più sotto (par.7), la c.d. clausola automatica – aumento IVA e taglio di detrazioni e deduzioni fiscali Irpef, trascinato quest’ultimo dalle manovre di Tremonti del 2011!- opera a partire “solo” dal 2016 (anno che, in assenza di crescita “sperata” nel 2015, diverrebbe un autentico inferno fiscale).
In generale, è evidente come la Commissione goda di un’ampia discrezionalità(quasi illimitata) nel merito, sui “rischi specifici…sul piano della sostenibilità” e circa l’analisi della spesa “al netto delle misure discrezionali in materia di entrate“.
Alla fine, però, la deviazione, è ammessa solo in circostanze eccezionali”, senza che la “sostenibilità sia, in termini di precetto praticamente posto (ma cosa comprendono i nostri negoziatori quando approvano queste regole?), praticamente rilevante (in effetti il trattato impone regole complessivamente insostenibili che, infatti, nessuno rispetta…tranne la Germania e neppure lei, se la mettiamo sul piano del rapporto debito/PIL).
Il punto delle circostanze eccezionali è specificato al paragrafo 3, lettera b dello stesso articolo 3:
b) per “circostanze eccezionali” si intendono eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppureperiodi di grave recessione economica ai sensi del patto di stabilità e crescita rivisto, purché la deviazione temporanea della parte contraente interessata non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine.”
La precisazione non riduce ma anzi aumenta la enorme discrezionalità della Commissione (cioè l’enorme cessione di sovranità, costituzionalmente illegittima per violazione dell’art.11 Cost): la versione tecno-europea è che il periodo di “grave recessione ai sensi dal patto di stabilità e crescita rivisto” debba coinvolgere tutti i paesi UE, o meglio UEM (gli unici veramente obbligati con sanzioni al rispetto del Patto ai sensi del susseguente art.14, paragrafo 5).
3. Insomma, l’Italia, unico paese UEM in protratta recessione, è colpevole di essere stato sinora l’unico a rispettare il limite del deficit; questo in effetti significa negarle le “circostanze eccezionali” a fronte di una recessione che deriva proprio da tale rispetto (cioè TUTTI  gli altri paesi, tranne la Germania, sono significativamente al di sopra di ogni percorso verso il pareggio strutturale e, anzi, violano abbondamentemente il limite “vecchio” del 3% ed hanno incrementato il raporto debito/PIL in modo più significativo di quanto non abbia fatto l’Italia! ).
Ergo: la battaglia tra Commissione e governo italiano si preannuncia in salita e l’esito è o una ribellione aperta ai parametri della prima, ovvero l’adeguamento concordato della correzione, apportando alla legge di stabilità correzioni “compromissorie” nel senso di correggere dello 0,3 o dello 0,4 -cioè aggiungendo tagli e tasse per 5/6 miliardi. Che, viste le resistenze politiche e sociali alla già (MOLTO) claudicante copertura della manovra espansiva, non pare proprio una “passeggiata“.
Ora è evidente che se la soluzione compromissoria verrà applicata, il rischio, già presente a d.d.l. attuale, di dissoluzione della maggioranza diverrebbe ancora più forte, forse oltre i limiti di tenuta del governo. Forse.
Se, invece, la posizione della Commissione – che, ripetiamo, non può rimangiarsi oltre ogni limite quanto già detto a giugno e ribadito in recentissime esternazioni, sulla interpretazione del vincolo del FC- sarà respinta integralmente, confermando l’assetto attuale della manovra, lo scontro con l’Europa prenderà il “verso” di una discesa inarrestabile.
Ora, siccome il nostro governo, e la grancassa mediatica che ne sposa la filosofia, crede (o  almeno lo “dice”) che lo “spread” dipenda dal rispetto del fiscal compact e che il pareggio di bilancio sia comunque un obiettivo imprescindibile delle politiche economico-fiscali “per la crescita” (come conferma il documento di accompagnamento trasmesso a Bruxelles), in definitiva si registrerà una lotta contro il tempo in cui l’attuale leadership della maggioranza, confidando che la legge di stabilità sia veramente espansiva (e non lo è), sarà tentata di arrivare ad elezioni anticipare per tesaurizzare il consenso.
Questo sarebbe assicurato da misure come il taglio dell’IRAP e la prosecuzione, in forma di detrazione permanente, degli 80 euro sui redditi da lavoro dipendente più bassi.
4. Il “problemino“, però, sono le coperture ed il reale impatto di “crescita sperata” delle misure globalmente messe sul tappeto (che la Commissione potrebbe non voler affatto comprare).
Qui trovate un’analisi di come questa crescita sarebbe giustificata dal nostro governo di fronte alla Commissione, ipotizzando cioè una “neutralità” dell’impianto fiscale del d.d.l. di stabilità.
Riassuntivamente (consiglio lettura integrale):

La manovra messa a punto dal Salsicciaio è tutta basata sull’impatto delle riforme strutturali sul PIL ed è completamente appoggiata sul MANCATO AGGIUSTAMENTO DEL RAPPORTO DEFICIT SUL PIL

0,7 DETERIORAMENTO PER FARE LE RIFORME STRUTTURALI

AGGIUSTAMENTO PROMESSO E GARANTITO DA LETTA NEL SETTEMBRE                                             2013, CONFERMATO LO SCORSO APRILE DALLO STESSO RENZI.
Ecco il quadro:
CRESCITA REALE E NOMINALE
La crescita viene garantita per il 50% dalla crescita reale, per il restante 50% dalla crescita nominale (inflazione).”
            Ma dov’è l’inflazione, visto che siamo anzi in deflazione secondo l’Istat?

 5. Ora le riforme strutturali – della pubblica amministrazione, della giustizia civile, del lavoro-  sono supply sidementre, la recessione fiscalmente indotta, invece, è “da domanda”:  cioè non è determinata da problemi determinantisul lato dell’offerta, che pure ci sono, ma come conseguenza delle politiche obbligate dall’UEM. In questo quadro, l’offerta non trova domanda estera per via del livello dell’euro, cioè del  tasso di cambio reale, da correggere via deflazione salariale (ormai deflazione tout-court) per raggiungere un prolungato attivo delle partite correnti sull’estero.
Ma la correzione salariale e l’attivo CAB si raggiungono con un mercato del lavoro che presuppone un’alta disoccupazionesottoccupazione, realizabile con la cessazione del sostegno pubblico alla domanda, cioè con tagli al welfare ed agli investimenti pubblici, generando però una corrispondente caduta dell’occupazione e delle retribuzioni e quindi consumi e investimenti privati.
Questa è appunto una crisi da domanda, che, tra l’altro, essendo praticamente in corso dal 2008 -con double dip “rigenerato” dalle cure Monti del 2011-2012-, implica una strutturale deindustrializzazione che fa a pugni con ogni tipo di correzione dal lato dell’offerta: non ha senso cercare di abbassare, per via fiscale, i costi delle imprese (ad es; tagliando l’IRAP nella parte in cui include il costo del lavoro o con modeste decontribuzioni per i nuovi assunti) se le imprese producono per una domanda interna che non c’è più e non deve esserci, altrimenti i consumi in ripresa si dirigono prevalentemente verso prodotti importati.
6. La legge di stabilità, così com’è, corrisponde a questa visione supply-side, con qualche contraddittoria concessione.
Vediamola in sintesi estrema sui saldi.
Va detto, per completezza, che altre misure presenti nel d.d.l. potrebbero essere considerate: TFR in busta paga, di cui restano da chiarire le aliquote applicate, ilreverse charge dell’IVA, contestato in UE, o la forfettizzazione al 15% sui contribuenti “autonomi” minimi (c.d. partite IVA). Ma si tratta di misure cheinfluiscono trascurabilmente sui saldi complessivi da considerare; mentre, poi, sono compensate dal mancato inserimento di misure di notevole importanza, quali lo sblocco retributivo delle forze dell’ordine ed il prolungamento del bonus energetico nonchè di quello sulle ristrutturazioni edilizie.
Dunque: si propongono presunti “nuovi” 18 miliardi di sgravi fiscali sul lavoro e i costi di impresa, così ripartiti (per voci principali meglio stimate):
a) circa 10 per la conferma degli 80 euro di sgravio: questa misura è praticamente ad effetto crescita zero: il PIL 2014 l’ha già sostanzialmente scontata ed ha semmai impedito una recessione più ampia. Confermarla significa quindi solo evitare l’effetto recessivo di una riespansione della pressione fiscale sui redditi da lavoro per il 2015 col relativo effetto depressivo (per circa 10 miliardi con un moltiplicatore FMI di 0,6-0,7, evitando un effetto recessivo di circa 0,4 punti di PIL);
b) decontribuzione per i nuovi assunti: il suo effetto di riduzione del carico fiscale vale nella misura limitata ipotizzata: 1,9 miliardi. I commentatori mainstream si affrettano ad evidenziarne la limitazione dando per scontato che sia tutta fruibile dal sistema datoriale. Ma ipotizzare i “soli” 200.000 nuovi assunti cui porrebbe capo è una scommessa del tutto irrealistica, a fronte di uno stimolo alla domanda in cui nella legge di stabilità non v’è traccia. Effetto su PIL, riguardando nuovi assunti in situazione di ricercata deflazione salariale e di limitatissima influenza della misura in sè sugli investimenti: indeterminabile (nella più ottimistica delle ipotesi, sarebbe di poco più di 0,1 punti di PIL;
c) riduzione dell’IRAP: questa misura, ipotizzata per 5 miliardi sul 2015 e per 6,5 “a regime”: ma il suo effetto, di riduzione dei costi e di stimolo ad eventuali investimenti, dipende pur sempre dalla ripresa della domanda interna (non si investe e neppure ci si mantiene sul mercato, se non vendo il prodotto anche sul mercato interno, almeno per la maggioranza schiacciante delle imprese, che sono PMI in parte soltanto export-led): diamo per acquisito, ottimisticamente, un effetto sul PIL 2014, da sgravio fiscale dicirca 0,2 punti.
(NB: questa misura e il suo volume di sgravio pare in realtà essere inferiore e pari invece a soli 2,9 miliardi, per via dell’aumento delle aliquote dal 2014! Ma continuiamo a dare per buono quanto riportato dai primi bollettini mediatici…)
7. Ma a fronte di tali incerte misure supply side, abbiamo le coperture, indicate dal governo:
a) 15 miliardi di tagli alla spesa: senza dilungarsi sulla difficilissima realizzabilità,diamo per buona la cifra, comunque salvaguardata da una clausola di inasprimento della pressione fiscale per il 2016 che promette un sicuro effetto recessivo a tale titolo, sia pure posticipato all’esercizio successivo.
L’effetto recessivo “medio” di tale misura, secondo il moltiplicatore FMI (1,6), sarebbe di 24 miliardi (il moltiplicatore dei tagli, però, è molto probabilmente più alto in situazione recessiva già da anni in corso): cioè di 1,5 punti di PIL;
b) 1 miliardo di maggiori tasse sulle “slot machine”: effetto obiettivamente recessivo, al di là del disincentivo etico, di circa 0,07 punti di PIL (piaccia o meno);
c) 3,6 miliardi di inasprimento della tassazione sulla previdenza integrativa, offerta come lotta alle rendite finanziarie: effetto recessivo di circa 0,16 punti di PIL (agisce sui risultati di gestione dei fondi pensione, diminuendo il flusso relativo delle prestazioni erogate);
d) 11 miliardi di nuovo deficit: l’effetto recessivo parrrebbe non doversi computare, ma tutto dipende dalla tenuta degli spread, e quindi dalla esigenza di copertura del più pesante onere degli interessi che ne potrebbe derivare, per questo debito e per quello di emissione a ricopertura dei titoli pubblici in scandenza nel 2015. L’andamento degli spread preannuncia di per sè una certa misura di correzione in corso d’annomediante nuove tasse o nuovi tagli;
e) 3,8 miliardi dalla lotta all’evasione fiscale: sia come sia, realizzabile o meno, al di là dei dettagli sull’eventuale impiego nel fondo per la riduzione delle “tasse” (pare ora rimesso in contestazione…per ragioni di copertura), è pur sempre un inasprimento fiscale, cioè tasse in precedenza non pagate: effetto recessivo di 0,17 punti di PIL.
Facciamo un calcolo riassuntivo – per quello che valeante fatidico giudizio della Commissione e dando per scontato che le “riforme strutturali” a costo zero, cioè senza aggiunta di ulteriori risorse nel sistema economico, invocate da Padoan, non abbiano in realtà alcuna rilevante influenza nè sulla domanda (ovvio), nè sull’offerta (nelle attuali condizioni di recessione e di compressione strutturata dei consumi e, d’altra parte, come insegna l’analoga pretesa che avevano molte delle misure del governo Monti):
1) effetto espansivo (molto) ottimisticamente considerato: punti 0,3 di PIL;
2) effetto di “copertura” recessiva: 1,9 punti di PIL.
Diminuzione di PIL dalla manovra “espansiva”= 1,6 punti di PIL.
Anche dando per buono il saldo delle partite correnti registrato a settembre su luglio – e  non sarebbe realistico farlo data la caduta delle esportazioni verso la Russia a seguito delle note “sanzioni”, e anche dando per costante il futuro prezzo del gas importato dalla Russia stessa, e data la flessione possibile della domanda estera generalmente prevista (fine del QE e ritiro dei capitali dai BRICS, attese su bolle negli USA..)- il risultato sarebbe il seguente: -1,6+ 1,2= -0,4.
8. Come sempre a spanne e “a occhio e croce”: ma da 4 anni ci azzecchiamo (con qualche decimale di approssimazione determinata da “imprevisti e probabilità” in corso d’anno).
Dunque la recessione 2015 proseguirebbe (almeno) intorno a -0,4: e ciò pur ottimisticamente concedendo alle attuali previsioni del governo.
E questo nella migliore delle ipotesi, cioè di integrale conferma €uropea della legge di stabilità ora proposta.
Post scriptum: almeno i francesi, se devono fregarsene delle regole europee,agiscono “come se” l’uscita dall’euro fosse un’effettiva arma negoziale, evitando al Paese il danno, cioè il formale stato di recessione, oltre alla beffa: cioè ilprendersi una procedura di infrazione per una misura di deficit che non consente alcuna seria ripresa del PIL.
Se si deve “peccare” meglio farlo fino in fondo! E mantenendo la dignità e l’interesse nazionale!