Von Hayek visto da Barra Caracciolo
Da Sergio Govoni arriva il ritrovamento di questa autentica “chicca” dell’Hayek pensiero.
Il contenuto “esplicito” (mandate a letto i bambini) impone una precisazione concettuale e istituzionale fondamentale: qui Hayek outspeaks in pura vena neo-liberista, indipendente dalla formulazione ordoliberista.
L’ordoliberismo, nato “metodologicamente” in Germania – legato ad una forma aggiornata di “mercantilismo” (e quindi portatore di una irrisolta contraddizione)-, viene da lui accettato come “mezzo al fine” strategico, tramite l’esplicita affermazione fatta in altra sede e che ritrovate (anche) qui.
Tale “messa a punto” è alla base della strategia dei trattati europei, in specie il ben noto art.3, par.3, TUE con l’economia “sociale” di mercato:
Non mi piace questo uso [dell’aggettivo “sociale” per qualificare ogni azione “pubblicamente consigliabile”; tra gli esempi: “economia sociale di mercato”, a cui la nota si riferisce], anche se grazie ad esso alcuni miei amici tedeschi (e ultimamente anche inglesi) sembrano riusciti a rendere appetibile a circoli più ampi il tipo di ordine sociale che difendo“.
Merita di essere sottolineato anche l’adattamento della “doppia verità” della strategia di potere neo-liberista nell’era “ordoliberista”.
Trasposta in chiave ordoliberista, infatti, la doppia verità implica il più volte segnalato rigido controllo mediatico, che si proponga, però, come “libera informazione“, necessariamente critica rispetto ad un supposto “Stato oppressivo”,accuratamente costruito sui concetti-spia della sua corruzione intrinseca,  e della connessa spesa pubblica “clientelare“, utile a nascondere i “fallimenti del mercato”nella loro stessa realtà.
Questi concetti-spia conducono alla instaurazione dell’era delle banche centrali indipendenti “pure”che sono la concretizzazione del più efficace attacco alla democrazia nei suoi punti deboli fisiologici, iperbolicamente accentuati come fattori di preteso malessere dei cittadini comuni.

Ne insorge una strana contraddizione -su cui i cittadini non riescono più a riflettere- dato che l’ordoliberismo si impadronisce delle istituzioni di questo stesso Stato che, dunque, è esso stesso sia mandante che “oggetto” della sua (auto)distruzione.
In UEM ciò è fortemente agevolato dalla contrapposizione tra un super-organismo sovrastatuale, asseritamente portatore di liberazione,  e Stato nazionale-burocrazia, proponendo il primo, e mai come in questi giorni, come estrema difesa da una oppressione amministrativa e fiscale che viene contrabbandata come originata da esso.
Mentre, invece, tale oppressione nasce proprio dalla loro priorità assoluta dicompiacere i “mercati” e dalle istituzioni sovranazionali ordoliberiste funzionali a tale disegno: la Banca centrale indipendente “pura” e la normativa sovranazionale che si stratifica attraverso norme non solo complicatissime, onde meglio dissimulare gli interessi economici privati che sottendono, ma anche inevitabili. Cioè tutte, complessivamente, imposte sotto l’insegna del nuovo “stato di eccezione”perennemente emergenziale: “lo vuole l’Europa“.
Rammentiamo l’esito ultimo di questa strategia che si presenta molto più “discreta” ed anche efficace del metodo Cile:
In questa chiave “progressiva” si possono comprendere anche gli elevati livelli di tassazione: si tratta di una condizione transitoria e, naturalmente strumentale, che sconta la modifica del precedente ordine costituzionale dei welfare, mirando a farlo collassare, per rigetto del corpo sociale, mediante la imposizione delvincolo monetario (ad effetti equipollenti “in parte qua” al gold standard) e dei ben noti “vincoli” di deficit e di ammontare del debito, posti rispetto ai bilanci pubblici. 
I quali, naturalmente, in una fase iniziale, pazientemente durevole, debbono “rientrare”, consolidarsi, aumentando l’imposizione fiscale, prima di poter procedere, verificatesi le condizioni politiche, al taglio strutturale della spesa pubblica.
Alla fine, la gente, avvertendo come insopportabile il costo dei diritti sociali, cioè del welfare, invocherà il loro smantellamento, pur di vedersi sollevata da questa insopportabile tassazione.”
Von Hayek, Cile, democrazia
Da un’intervista rilasciata da Friedrich von Hayek al quotidiano cileno El Mercurio, 19 Aprile 1981:
Lucia Santa-Cruz: “C’è un riferimento nel suo lavoro all’apparente paradosso di dittature che possono essere più liberali di una democrazia totalitaria. Ma è vero anche che le dittature hanno altre caratteristiche che contraddicono la libertà, anche se è intesa negativamente come fa lei.” 
von Hayek: “È evidente che le dittature pongono gravi pericoli. Ma una dittatura può limitare se stessa (se puede autolimitar), e se autolimitata  può essere più liberale nelle sue politiche di un’assemblea democratica che non conosce limiti. Devo ammettere che non è molto probabile che questo avvenga, ma anche così, in un dato momento, potrebbe essere l’unica speranza. Non una speranza sicura perché dipenderà sempre dalla buona volontà di una persona e ci si può fidare di ben poche persone. Ma se è l’unica possibilità in un dato momento, può essere la migliore soluzione nonostante tutto. Ma solo se il governo dittatoriale conduce chiaramente ad una democrazia limitata.”
Nella stessa intervista, von Hayek affermava anche:
 “La democrazia ha un compito che io chiamo ‘igienico’ per il fatto che assicura che le procedure siano condotte  in un modo, appunto, idraulico-sanitarioNon è un fine in sé. Si tratta di una norma procedurale il cui scopo è quello di promuovere la libertà. Ma non può assolutamente essere messo allo stesso livello della libertà. La libertà necessita di democrazia, ma preferirei temporaneamente sacrificare, ripeto temporaneamente, la democrazia, prima di dover stare senza libertà, anche se temporaneamente .”
Questi brani (che si anche possono trovare su Internet usando i termini hayek mercurio) sono riportati da Philip Mirowski in chiusura (p. 446) del libro The Road from Mont Pèlerin: The Making of the Neoliberal Thought Collective, Cambridge, Massachusetts, USA, Harvard University Press, 2009 (la traduzione dei brani, precedenti e successivi, è  mia), che ha curato assieme a Dieter Plehwe.
Mirowski mette in evidenza la contraddizione dei neoliberisti che da un lato propagandavano il loro amore incondizionato per la libertà, mentre dall’altro sostenevano una dittatura militare.
In effetti, la partecipazione al colpo di stato cileno del 1973 da parte di numerosi membri e affiliati alla Mount Pèlerin Society, di cui von Hayek fu uno dei fondatori, è una delle manifestazioni più note della dottrina neoliberista della doppia verità, secondo la quale ad una élite si insegna la necessità di reprimere la democrazia (concetto proveniente da Carl Schmitt, da von Hayek stesso definito “il giurista della Corona” di Hitler), mentre alle masse si racconta di “smantellare lo stato-balia” ed essere “liberi di scegliere”.  Come spiega Mirowski (p. 445):
Milton Friedman impiega buona parte della propria autobiografia a tentare di giustificare e spiegare le sue azioni; in seguito, anche Hayek fu pesantemente criticato per il suo ruolo.  “Fu soltanto una sfortunata serie di eventi eccezionali”, dissero, “non era colpa nostra”.  Ma Carl Schmitt ha sostenuto che la sovranità è definita come la capacità di determinare le eccezioni alla legge: “Sovrano è chi decide lo stato di emergenza”.  Il dispiegamento della dottrina della doppia verità in Cile ha mostrato che i neoliberisti si erano arrogati la sovranità per loro stessi.
A conclusione di queste brevi note, un po’ per rispondere al paragone idraulico portato da von Hayek nella sua intervista e un po’ per alleggerci, mi pare bello citare questo brano da Le città invisibili di Italo Calvino:
Se Armilla sia cosí perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell’acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti appesi ai rami. Si direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro lavoro e se ne siano andati prima dell’arrivo dei muratori; oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di termiti.
Abbandonata prima o dopo essere stata abitata,  Armilla non può dirsi deserta. A qualsiasi ora, alzando gli occhi tra le tubature, non è raro scorgere una o molte giovani donne, snelle, non alte di statura, che si crogiolano nelle vasche da bagno, che si inarcano sotto le docce sospese sul vuoto, che fanno abluzioni, o che s’asciugano, o che si profumano, o che si pettinano i lunghi capelli allo specchio. Nel sole brillano i fili d’acqua sventagliati dalle docce, i getti dei rubinetti, gli zampilli, gli schizzi, la schiuma delle spugne.
La spiegazione cui sono arrivato è questa: dei corsi d’acqua incanalati nelle tubature d’Armilla sono rimaste padrone ninfe e naiadi. Abituate a risalire le vene sotterranee, è stato loro facile inoltrarsi nel nuovo regno acquatico, sgorgare da fonti moltiplicate, trovare nuovi specchi, nuovi giochi, nuovi modi di godere dell’acqua. Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini come un dono votivo per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque. Comunque, adesso sembrano contente, queste donnine: al mattino si sentono cantare.