Il principale scopo di questo articolo vuol essere mostrare chiaramente il legame fra la moneta di stato e la moneta-credito, dopo aver esaminato la natura della moneta attraverso un’analisi storica e sociologica. 1
L’IMPORTANZA DELLA DOCUMENTAZIONE STORICA
Molti studi sulla moneta iniziano con una qualche ricognizione storica dell’evoluzione della moneta a partire dall’uso delle conchiglie, a quello dei metalli preziosi, fino ai depositi bancari e infine alla moderna moneta “fiat” (ex nihilo) / a corso forzoso.
Perché gli economisti sentono il bisogno di far riferimento alla storia? Suppongo sia soprattutto per far luce sulla natura della moneta, per attrarre l’attenzione su quelle caratteristiche che essi ritengono essenziali. La storia del baratto evidenzia come la moneta abbia sia la funzione di mezzo di scambio che quella di riserva di valore. Si dà per scontata una naturale propensione allo scambio e al baratto. L’attenzione è distolta dal comportamento sociale e rivolta al calcolo dell’utilità individuale. Il potere sociale e le classi economiche vengono eliminati dall’analisi, mentre “il mercato” viene esaltato. Il cambiamento fondamentale, ammesso che esista, è la riduzione del costo delle transazioni, eccetto quando le interferenze del governo creano ostacoli ed inefficienze.
Invece nell’approccio della moneta come credito l’origine della moneta viene individuata nelle relazioni di credito e debito, mentre i mercati sono secondari o addirittura inesistenti. L’analisi è sociale: si richiede, come indispensabile presupposto, una relazione bilaterale fra debitore e creditore. L’unità di conto è evidenziata in quanto unità monetaria con la quale si misurano crediti e debiti. Anche la funzione di riserva di valore potrebbe essere importante, poiché la ricchezza viene accumulata sotto forma di debiti altrui. Invece la funzione di mezzo di scambio viene messa in secondo piano; è infatti lecito immaginare debiti e crediti senza l’esistenza di un mercato. Quasi tutti coloro che adottano l’approccio della moneta-credito di solito sentono l’esigenza di una più approfondita analisi sociale. Innes (1913, 1914, 1932) suggerisce che le origini delle relazioni di credito e debito si possono collocare nell’elaborato sistema tribale di compensi e risarcimenti (“wergild”) ideato per metter fine a cruente faide familiari. Le multe per “wergild” venivano pagate direttamente alle vittime e ai loro familiari ed erano stabilite e imposte da pubbliche assemblee. Veniva elaborata una lunga lista di multe per ogni possibile trasgressione e un “memorizzatore” designato aveva il compito di tramandarla alla generazione successiva. E’ da notare che ogni multa veniva imposta sotto forma di un particolare bene che fosse utile alla vittima e più o meno facilmente reperibile dal colpevole. Come scrive Hudson (2004), la parola “debito” è, nella maggior parte delle lingue, sinonimo di peccato e colpa, in quanto riflette il significato di questi antichi risarcimenti per offesa personale. In origine, fino a quando la multa per risarcimento non era stata pagata, si era “obbligati” o “indebitati” nei confronti della vittima. Noi oggi pensiamo ad una multa (per infrazione stradale) come ad un “obbligo” di pagare e parliamo di debito del criminale verso la società.
Hudson sottolinea anche che le parole moneta, multe, tributo, decime, “manprice” (multa da pagare al re per l’uccisione -non in battaglia- di un suo cavaliere, NdT), peccato e, infine, tasse, sono così spesso collegate tra loro da non lasciare spazio a possibilità di coincidenze. E’ quasi certo che le multe per wergild furono gradualmente trasformate in somme da versare ad un’autorità. Ciò non poteva accadere in una società tribale egualitaria; si dovette attendere il formarsi di una sorta di classe dirigente/dominante. Come afferma Henry (2004), nel caso dell’Egitto, la prima classe dirigente fu probabilmente costituita da funzionari religiosi che esigevano decime (apparentemente per ingraziarsi gli dei). I conquistatori richiedevano il pagamento di tributi da parte di una popolazione assoggettata. Decime e tributi arrivarono così a rimpiazzare le multe per risarcimento, e le multe per “trasgressione contro la società”, pagate al legittimo governante, potevano essere imposte per quasi ogni possibile attività. Alla fine le tasse sostituirono la maggior parte di compensi, multe e tributi. Esse potevano essere auto-imposte, visto che la democrazia aveva spazzato via il diritto divino dei re di ricevere tali pagamenti.
Le tasse “volontarie” si dimostrarono “superiori” ai pagamenti imposti dal mero potere o dall’impostura religiosa, proprio per la natura sociale della decisione di imporle per il “bene comune”. Il concetto che tali tasse servono a “pagare” “beni pubblici” come la difesa o le infrastrutture aggiunse un alto strato di giustificazione, al pari del tentativo, a volte riuscito, di trasformare l’“obbligo” in “responsabilità”. In ogni caso, con lo sviluppo della società “civile” e del suo affidarsi principalmente al pagamento di tasse piuttosto che di multe, decime o tributi, è stato completamente cancellato dalla memoria collettiva il fatto che l’origine di questi pagamenti risiede nella tradizione del “wergild”.
L’innovazione fondamentale, poi, fu la trasformazione di quello che era stato il debito del trasgressore nei confronti della vittima in un “debito” universale o in una tassa obbligatoria imposti e riscossi dall’autorità. Il passo successivo fu il riconoscimento che gli obblighi potevano essere regolamentati in termini di unità di conto. All’inizio l’autorità potrebbe aver riscosso diversi tipi di multe (e tributi, decime e tasse), sotto forma di beni o servizi da fornire: uno per ciascun genere di trasgressione. Ma una volta che tutti i pagamenti venivano fatti alla singola autorità questo sistema di tipo compensativo diventava scomodo. In assenza di mercati ben sviluppati coloro che avevano obblighi espressi in specifici beni o servizi potevano incontrare difficoltà nell’effettuare quei pagamenti. Oppure l’autorità poteva ritrovarsi con una sovrabbondanza di un tipo di bene/merce e scarsità di altri.
Esprimere i pagamenti in una unità di conto semplificava le cose, ma richiedeva un’autorità centrale. Come osservava Grierson (1977,1979), lo sviluppo di un’unità di conto era concettualmente difficile (Vedi anche Henry 2004). Fu più facile trovare l’unità di misura per il peso o la lunghezza – la lunghezza di una qualche parte anatomica del governante (dalla quale, naturalmente, deriva il termine che usiamo per indicare il dispositivo usato per misurare brevi distanze), o il peso di una quantità di grano –. Invece lo sviluppo di una moneta di conto usata per valutare cose prive di evidenti somiglianze richiedeva un maggiore sforzo. L’ortodossia non è mai riuscita a spiegare come persone che aspiravano a massimizzare l’utilità individuale si siano accordate su una singola unità monetaria (Gardiner, 2004; Ingham, 2004). E’ vero che l’uso di una singola unità di conto porta evidenti vantaggi, ma non sono chiari i processi evolutivi che hanno portato alla singola unità. Inoltre le contrattazioni e le dispute del mercato potevano produrre il vettore di equilibrio dei prezzi relativi, che potevano essere tutti designati nella singola unità monetaria. Tuttavia questo presuppone un grado abbastanza alto di specializzazione del lavoro e/o della proprietà delle risorse, ma questa specializzazione pre-mercato è, in se stessa, difficile da spiegare. Quando i mercati sono ragionevolmente ben sviluppati la specializzazione aumenta il benessere; ma in assenza di mercati ben sviluppati la specializzazione è estremamente rischiosa e la diversificazione dei mestieri e delle risorse sarebbe moderata. Sembra davvero improbabile che sia il mercato sia una moneta di conto possano aver avuto origine dal comportamento di uomini che miravano a massimizzare l’utilità individuale.
A dire il vero, non “conosceremo” mai le origini della moneta. Innanzitutto le origini si perdono “nella notte dei tempi”, quasi certamente nella preistoria (Keynes 1930, p. 13). Si è a lungo discusso sul fatto che la moneta fosse nata prima della scrittura perché i primi esempi di scrittura sembrano essere trascrizioni di debiti monetari. Studi recenti indicano che l’origine della scrittura è estremamente complessa – non è così semplice individuare cosa sia la “scrittura” (Schmandt-Besserat 1989) -. Al tempo stesso non è chiaro ciò che vogliamo identificare col termine “moneta”. La moneta è sociale per natura e consiste in una complessa pratica sociale che ha a che fare con il potere e le relazioni di classe, un significato socialmente costruito e rappresentazioni astratte del valore sociale (vedi paragrafo successivo).
Come Hudson (2004) giustamente sostiene, la società antica e perfino “primitiva” non era meno complessa di quella attuale. (E Gardiner (2004) spiega che il linguaggio antico -il più sociale di tutti i comportamenti- era più complesso del linguaggio moderno). I rapporti economici erano molto ben incorporati nelle complesse strutture sociali di cui poco sappiamo e/o comprendiamo. Quando tentiamo di scoprire le origini della moneta individuiamo comportamenti istituzionalizzati che appaiono simili a quelli che oggi noi vorremmo identificare con la “moneta”. Gli economisti ortodossi vedono scambio, mercati e prezzi relativi ovunque guardino.
Per i tradizionalisti l’unica differenza fra la società “primitiva” e quella moderna è che si presume che quelle antiche società fossero molto più semplici; si affidavano al baratto e alle monete-merci. Le relazioni economiche in una società primordiale sono più trasparenti; agli occhi dell’economista le propensioni innate sono messe a nudo nell’economia alla Robinson Crusoe. Gli econonisti eterodossi cercano invece di evitare questi paraocchi “economistici”. Per tracciare le origini della moneta occorre necessariamente un’attenzione selettiva a quelle pratiche sociali che noi colleghiamo alla moneta, cioè essere pienamente consapevoli che quelle società primordiali avevano economie complesse e integrate del molto differenti dalle nostre. Questa valutazione negativa non significa che io creda che non si possa imparare nulla dallo studio della storia della moneta. Al contrario. Ma dobbiamo avere pretese limitate. Inoltre dovremmo sempre tenere a mente lo scopo dell’analisi storica: far luce sulla natura dell’istituzione sociale che chiamiamo “moneta”.
LA MONETA COME RELAZIONE SOCIALE
Mentre gli Istituzionalisti, da molto tempo, vedono la moneta come un’istituzione, di certo come la più importante istituzione di un’economia capitalista, la maggior parte degli economisti non ha scavato a fondo al riguardo (Dillard 1980). Tuttavia per capire la natura della moneta è importante svelare le relazioni sociali che questa istituzione nasconde. Come già detto, la tipica analisi economica inizia col baratto e l’innovativo uso della moneta come mezzo di scambio. Apparentemente questo sembra essere un approccio “evoluzionista” che riconosce l’azione dell’uomo. Ma gli economisti ortodossi trasformano la moneta in un fenomeno “naturale” che nulla ha a che fare con le relazioni sociali.
Sebbene gli economisti ammettano che la moneta sia un’invenzione umana che assume forme diverse in tempi e luoghi diversi, essi adottano una prospettiva evoluzionistica che trascura la casualità della moneta e il suo totale fondarsi sulle convenzioni sociali. Con l’aumento della complessità delle economie capitaliste, la moneta ha, secondo loro, “naturalmente” assunto forme sempre più efficienti, culminanti nella estremamente astratta e intangibile moneta odierna (Carruthers and Babb 1996, p. 1558).
L’innata propensione allo scambio e al baratto porta naturalmente allo sviluppo dei mercati. Il mercato, in se stesso, è svincolato dalle relazioni sociali; quando si entra nel mercato, ideologie, potere e gerarchie sociali vengono lasciate fuori dalla porta. Quindi è “naturale” scegliere un comodo mezzo di scambio per facilitare transazioni impersonali. L’ideale mezzo di scambio è una merce che ha un valore naturale, intrinseco, libero da qualsiasi relazione gerarchica o simbolismo sociale. Ovviamente il metallo prezioso viene considerato la scelta migliore. Il valore di ogni merce sul mercato è designato con lo strumento di scambio attraverso le forze “naturali” (e non sociali) della domanda e dell’offerta.
Purtroppo le nazioni hanno abbandonato l’uso della moneta con valore intrinseco a favore di monete “fiat” (a corso forzoso, create dal nulla, senza valore intrinseco e senza garanzie / coperture “auree”, N.d.T.). Alcuni economisti (Wanniski, Greenspan -prima di arrivare a dirigere la Fed-) propugnano il ritorno al sistema aureo, ma la gran parte di loro accetta il fatto che ciò sia politicamente non fattibile. Perciò è necessario togliere quanto più potere (decisionale) possibile alle autorità monetarie e fiscali, per assicurare che la moderna moneta “fiat” abbia un funzionamento simile a quello di una moneta-merce. Regole di crescita monetaria, proibizione ai governi di creare moneta, richieste di pareggio di bilancio e simili (per non parlare dei comitati valutari e dei sistemi ancorati al dollaro per le nazioni in via di sviluppo), sono tutti tentativi di rimuovere il potere decisionale e quindi di restaurare il “naturale”, non sociale, ordine monetario. Anche alcuni teorici del “credito puro” affermano che il governo è, o dovrebbe essere, nella stessa situazione di ogni altro “individuo” con “obblighi (di pagamento)” che devono “competere” nei fluidi mercati finanziari (Merhling 2000; Rossi 2000).
Così, molti “dimenticano” che il denaro è una creazione sociale, con relazioni sociali nascoste sotto l’apparenza del denaro. Come Hilferding dice:
Nel denaro, le relazioni sociali fra gli esseri umani sono state ridotte ad un oggetto, un misterioso oggetto luccicante il cui splendore abbagliante ha accecato quei tanti economisti che non hanno preso la precauzione di proteggersi gli occhi (citato in Carruthers and Babb, 1996, p. 1556).
Per Simmel, più concisamente, il denaro trasforma il mondo in un “problema aritmetico” (Citato in Zelizer 1989, p. 344). Le sottostanti relazioni sono “collettivamente” dimenticate per far sì che non vengano esplorate (Carruthers and Babb 1996, p. 1559). Chi avesse dubbi dovrebbe osservare come viene spiegata la moneta nelle moderne analisi (“aritmetiche”) macroeconomiche (e ricordare la famosa presunzione, espressa da Friedman nel 1969, che il denaro venga semplicemente lanciato dagli elicotteri).
LA TEORIA CREDITIZIA DEL DENARO
Schumpeter fece un’utile distinzione fra la “teoria monetaria del credito” e la “teoria creditizia della moneta”. La prima vede la “moneta a credito” privata solo come un temporaneo sostituto della “moneta reale”. I pagamenti finali devono avvenire con moneta reale, che è l’unità ultima (fondamentale) di conto, riserva di valore e mezzo di pagamento. Ci possono essere scambi basati sul credito, ma l’espansione del credito è rigorosamente limitata dalla quantità di moneta reale. In ultima analisi, per quanto concerne l’attività economica, conta soltanto la moneta reale. La gran parte della teoria macroeconomica moderna si basa sul concetto di un moltiplicatore di deposito che lega la quantità di moneta creata privatamente (principalmente depositi bancari) alla quantità di HPM (High Powered Money), moneta ad alto potenziale / base monetaria. Questo è l’equivalente moderno di ciò che Schumpeter chiamava teoria monetaria del credito; e Friedman (o Karl Brunner) ne è il miglior rappresentante.
Secondo la teoria creditizia della moneta, invece, il credito normalmente si espande per permettere all’attività economica di crescere. Questo nuovo credito crea nuove richieste di HPM e porta anche a nuova produzione. Ma, poiché c’è un sistema di compensazione che cancella richieste e debiti senza l’uso di HPM, il credito non è un sostituto meramente temporaneo della HPM. Schumpeter non nega il ruolo giocato dalla HPM come ultimo mezzo di pagamento, nega semplicemente che essa sia necessaria per la maggior parte dei pagamenti finali. Come Schumpeter, Innes si è concentrato sul credito e sul sistema di compensazione. Innes derideva la visione che “al giorno d’oggi è stato ideato il credito, un nuovo strumento per risparmiare denaro, e che prima che questo strumento fosse conosciuto tutti gli acquisti venivano fatti in contanti, in altre parole pagati con monete (metalliche)” (1913, 389). Invece, egli afferma, “un’attenta indagine mostra che è vero l’esatto contrario” (1913, 389). Piuttosto che il vendere qualcosa in cambio di “una qualche merce intermedia chiamata “mezzo di scambio”, una vendita è, in realtà, “lo scambio di una merce con un credito”. Per Innes questa era la “legge primitiva del commercio”: “La costante creazione di debiti e crediti e la loro estinzione, nell’annullarsi a vicenda, forma l’intero meccanismo del commercio…” (1913, 393).
Il passaggio seguente è fondamentale:
Comprando noi diventiamo debitori e vendendo diventiamo creditori, ed essendo tutti compratori e venditori noi siamo quindi tutti debitori e creditori. In quanto debitori possiamo far cancellare il nostro debito al nostro creditore restituendogli il suo riconoscimento di un debito di importo equivalente che egli ha, a sua volta, contratto (1913, 393).
Il mercato, quindi, non è visto come il luogo in cui le merci sono scambiate, ma piuttosto, come una stanza di compensazione per debiti e crediti. Infatti Innes rifiutava la tipica analisi delle fiere locali/rurali, affermando che queste erano state ideate, inizialmente, per saldare i debiti e il commercio al dettaglio si era sviluppato in seguito, come attività a latere del commercio a stanza di compensazione. Da questo punto di vista debiti e crediti e compensazioni sono i fenomeni naturali; il commercio di beni e servizi è secondario – uno dei modi in cui si diventa debitore o creditore (o si compensano i debiti).
Infine, le banche sorgono per specializzarsi nella compensazione:
Debiti e crediti cercano costantemente di venire in contatto gli uni con gli altri, cosicché si possono cancellare a vicenda, e il lavoro del banchiere consiste nel metterli insieme. Ciò viene fatto in due modi: scontando debiti e concedendo prestiti (Innes 1913, 402).
C’è così una costante circolazione di debiti e crediti per mezzo del banchiere che li raccoglie e li compensa alla data di maturazione dei debiti. Questa è l’intera scienza bancaria, com’era tremila anni prima di Cristo e com’è oggi (Innes 1913, 403).
LA TEORIA STATALE DELLA MONETA
Un’altra utile distinzione viene fatta da Goodhart (1998) fra l’approccio metallista e quello cartalista -o della moneta statale-. La seconda evidenzia che la moneta si evolve non da un sistema di mercato pre-monetario ma piuttosto dal sistema penale (Grierson 1977, 1979; Goodhart 1998; Wray 1998). Perciò essa sottolinea l’importante ruolo giocato dalle “autorità” riguardo alle origini e all’evoluzione della moneta. Più precisamente, lo Stato (o ogni altra autorità in grado di imporre un obbligo) impone una passività/una responsabilità/un debito nella forma di una unità di conto generalizzata e sociale -una moneta-, usata per misurare l’obbligo di pagamento. Questo non richiede la pre-esistenza di mercati e, infatti, quasi certamente li precede. Una volta che le autorità possono imporre questi obblighi, esse possono stabilire ciò che li soddisfa. E lo fanno designando quelle cose che possono essere consegnate, in altre parole, dando loro un prezzo. Questo risolve l’enigma che gli individualisti metodologici si trovano davanti ed evidenzia la natura sociale della moneta e dei mercati – che non sono scaturiti dalle menti di chi puntava a realizzare il massimo profitto individuale, ma piuttosto furono creati socialmente. E’ da notare che lo Stato può attribuire a qualsiasi cosa, a sua scelta, la funzione di “oggetto monetario” designato nella moneta di conto: “La validità per proclamazione non è legata ad alcun materiale” e il materiale può essere cambiato con qualsiasi altro a patto che lo Stato dichiari un tasso di conversione (per esempio un certo numero di granelli d’oro per un certo numero di once d’argento) (Knapp 1924, 30).
Quella che Knapp chiamava la fase della moneta di Stato inizia quando lo Stato sceglie l’unità e specifica che cosa viene accettato per il pagamento degli obblighi verso se stesso. Il passo finale è l’emissione da parte dello Stato dell’oggetto monetario che esso accetta. In (quasi) tutte le nazioni sviluppate moderne, lo Stato accetta la valuta emessa dal ministero del tesoro (negli USA, monete metalliche), banconote emesse dalla banca centrale, banconote della Federal Reserve, negli USA), più riserve bancarie (di nuovo, obblighi di pagamento/passività della banca centrale) HPM. Il materiale di cui è fatto l’oggetto monetario emesso dallo Stato non ha alcuna importanza (oro, metallo comune, carta, o anche anche numeri digitalizzati alla banca centrale). A prescindere dal materiale di cui è fatto, lo Stato deve dichiarare il suo valore nominale (vale a dire il valore con cui l’oggetto monetario viene accettato nel soddisfare gli obblighi di pagamento verso lo Stato).
Innes asseriva che anche la moneta statale è credito, un tipo particolare di credito, “riscattato dalla tassazione” (1914, p. 168). Per il governo un dollaro è una promessa di ‘pagare’, una promessa di “soddisfare”, una promessa di “riscattare”, proprio com’è tutta l’altra moneta. Innes afferma che anche in un sistema aureo il governo non promette di pagare in oro. Se la moneta cartacea del governo è legata al cambio in oro, non vuol dire che ci sia un cambiamento/una riduzione delle promesse di pagamento da parte del governo:
E’ vero che tutta la cartamoneta del governo è convertibile in monete d’oro, ma il riscatto delle emissioni cartacee in monete d’oro non è affatto un riscatto, ma soltanto lo scambio di una forma di obbligo con un un’altra di natura identica (1914, p.165).
Che la promessa di pagamento del governo sia stampata su carta o su una moneta d’oro, si tratta comunque sempre di un indebitamento. Qual è dunque la natura della promessa di pagamento del governo? Questo ci porta all’”esatta natura del credito in tutto il mondo”, che è “il diritto del portatore del credito (il creditore) di riportare all’emittente del debito (debitore) il riconoscimento di quest’ultimo o obbligazione”. (1914, p. 161)
Il portatore di una moneta o di un certificato ha l’assoluto diritto di pagare qualsiasi debito dovuto allo Stato con quella moneta o quel certificato ed è questo diritto e nient’altro che da’ ad essi il loro valore. E’ irrilevante se questo diritto sia o meno conferito per legge o anche se ci possa essere una legge scritta che definisce in modo diverso la natura di una moneta o di un certificato. (1914, p. 161)
Che cos’ha, allora, di speciale lo Stato? Il credito statale “di solito, si colloca, in qualsiasi data città, leggermente più in alto della moneta di un banchiere fuori città, di certo non perché esso rappresenti l’oro, ma solo perché le operazioni finanziarie dello Stato sono così vaste che la moneta statale viene richiesta ovunque per il pagamento di tasse o altri obblighi di pagamento verso lo Stato.” (1914, p. 154)
La speciale caratteristica della moneta statale quindi è che essa è “riscattabile tramite il meccanismo della tassazione”(1914, p. 15): “E’ la tassa che da’ all’obbligo di pagamento il suo ‘valore’. Un dollaro è un dollaro non per il materiale di cui è fatto, ma a causa del dollaro di tassazione che viene imposto per riscattarlo”. (1914, p. 152)
Invece gli economisti ortodossi sono “metallisti”(come li chiama Goodhart, 1988) e che sostengono che fino a poco tempo fa il valore della moneta era determinato dall’oro usato per la produzione di moneta o per la copertura delle banconote. Ma, nonostante i fiumi d’inchiostro versati sulla questione del sistema aureo, quest’ultimo è stato utilizzato soltanto per un breve periodo di tempo. In genere gli oggetti monetari emessi dalle autorità non erano monete d’oro, né c’era alcuna promessa di convertire quegli oggetti in oro. Infatti, come puntualizzava Innes, per la gran parte di tutta la storia dell’Europa, l’oggetto monetario emesso dallo Stato fu il bastoncino di legno di nocciolo su cui si intagliavano tacche di contrassegno: “Questo risulta evidente nell’Inghilterra medievale, in cui il normale metodo usato dal governo per pagare un creditore era “alzare una taglia” al dipartimento dei dazi o di qualche altra entrata fiscale, cioè dando al creditore, a titolo di riconoscimento del debito, un bastoncino con un contrassegno.” (1913, p. 398)
Fra gli altri oggetti monetari c’erano tavolette di creta, monete di metallo comune o di cuoio, e certificati cartacei. Perché la popolazione avrebbe altrimenti accettato bastoncini, creta, metallo comune, cuoio o carta “senza valore”? Il governo obbliga per legge un certo numero di persone a diventare sue debitrici… Questa procedura è detta imposizione di una tassa, e i sudditi/cittadini obbligati a diventare debitori verso il governo devono in teoria cercare di trovare i detentori dei bastoncini contrassegnati o di altri strumenti di riconoscimento di un debito da parte del governo e acquisire da loro questi ultimi vendendo loro merci o fornendo loro servizi, in cambio dei quali essi possono essere indotti a separarsi dai loro titoli di credito. Quando questi ritornano al dipartimento del Tesoro, vengono pagate le tasse. Quanto tutto ciò sia assolutamente vero si può osservare esaminando i conti degli sceriffi nell’antica Inghilterra. Essi raccoglievano le imposte interne e dovevano portarle a Londra, periodicamente. La gran parte di ciò che raccoglievano era sempre costituita da “taglie” del Tesoro e, sebbene, ovviamente, ci fosse spesso una certa quantità di monete metalliche, altrettanto spesso succedeva che tutto l’insieme fosse costituito da sole taglie. (1913 p. 398)
Contrariamente alla teoria ortodossa, quindi, la desiderabilità dell’oggetto monetario emesso dallo Stato non era determinata dal valore intrinseco, ma dal valore nominale stabilito dallo Stato presso i suoi stessi uffici di pagamento. Una volta che lo Stato ha creato l’unità di conto e ha indicato ciò che può essere utilizzato per soddisfare gli obblighi verso lo Stato stesso, esso ha generato le necessarie pre-condizioni per lo sviluppo dei mercati. L’evidenza suggerisce che le prime autorità stabilivano i prezzi per i più importanti prodotti e servizi. Una volta stabiliti i prezzi in denaro, per la creazione dei mercati mancava solo un breve “salto” tecnico . Qui l’ortodossia viene completamente rovesciata, invertendo l’ordine da essa ipotizzato: prima denaro e prezzi e poi mercati e oggetti monetari (piuttosto che mercati basati sul baratto e prezzi relativi e poi unità monetaria e prezzi nominali). Il passo successivo fu il riconoscimento da parte del governo che esso poteva emettere l’oggetto monetario per acquistare tutto ciò di cui aveva bisogno, e poi ricevere lo stesso oggetto monetario come pagamento di imposte da parte dei sudditi/cittadini. Ciò avrebbe promosso lo sviluppo dei mercati poiché coloro che avevano obblighi fiscali ma non potevano fornire i beni e I servizi che il governo voleva comprare dovevano produrre per il mercato per ottenere I mezzi per pagare le imposte allo Stato.
IMPLICAZIONI DEL FUNZIONAMENTO DEI SISTEMI MONETARI MODERNI
Quando un governo moderno spende, esso emette un assegno prelevato dal Tesoro; le sue passività aumentano dell’importo della spesa e il suo patrimonio aumenta (in caso di acquisto di un bene prodotto dal settore privato) oppure altre passività vengono ridotte (in caso di trasferimento sociale). Il ricevente quasi certamente presenterà l’assegno ad una banca per avere contanti o per depositarlo. Nel primo caso le riserve bancarie vengono prima aumentate e poi ridotte dello stesso importo. Nel secondo caso l’importo del deposito viene accreditato sulle riserve. Le riserve accreditate come attivo della banca e come passività della banca centrale (BC) non sono altro che un diritto ad avere la moneta emessa dallo Stato o un far leva sulla HPM. In altre parole, la spesa del Tesoro tramite assegno è proprio l’equivalente dello “stampare denaro” in quanto essa aumenta la fornitura di HPM. A meno che le riserve bancarie richieste aumentino di un importo equivalente, il sistema bancario, dopo la spesa del Tesoro, si trova con una eccedenza di riserve. La cosa importante da notare è che il Tesoro può spendere prima e indipendentemente dalla previa ricezione di tasse o precedenti vendite di obbligazioni. Negli USA le tasse vengono incassate durante tutto l’anno (sebbene non in modo uniforme, poiché i pagamenti sono concentrati intorno al 15 Aprile). Esse vengono versate, per la maggior parte, in appositi conti presso banche commerciali private. (Bell 2000)
E’ vero che il Tesoro, quando vuole spendere, trasferisce fondi nel suo conto presso la Banca Centrale, ma questa è in realtà un’operazione di mantenimento delle riserve con lo scopo di minimizzare gli effetti sulle riserve. Quando il Tesoro spende, le riserve bancarie aumentano approssimativamente dello stesso importo (decurtato solo degli importi dei prelievi di contante) cosicché il trasferimento simultaneo dai conti per la ricezione delle tasse alla Banca Centrale neutralizza gli effetti sulle riserve. I pagamenti di tasse portano ad un drenaggio delle riserve, poichè il Tesoro presenta gli assegni ricevuti alla BC per la compensazione, al ché la BC addebita le riserve bancarie. Queste aggiunte alle sottrazioni dalle riserve sono attentamente controllate e regolate da azioni coordinate fra la BC e il Tesoro. Le cose sarebbero molto più semplici e più trasparenti se la entrate fiscali e la spesa del Tesoro fossero perfettamente sincronizzate.
In quel caso la spesa del Tesoro aumenterebbe le riserve e le simultanee entrate fiscali le ridurrebbero. Se il governo gestisse un bilancio in pareggio non ci sarebbe alcun impatto netto sulle riserve, quindi non ci sarebbe bisogno di una complessa coordinazione fra BC e Tesoro, usando il conto delle entrate fiscali e quello del debito. Comunque, quando la spesa è maggiore degli introiti fiscali (bilancio in deficit) c’è una iniezione netta di riserve. E’ possibile che le riserve create (in più) coincidano con la crescente domanda di riserve da parte delle banche – nel qual caso il Tesoro e la BC non hanno bisogno di fare nient’altro. Ma più probabilmente una iniezione netta di riserve crea un eccesso di riserve, offerte sul mercato overnight. Un eccesso di riserve fa cadere il tasso overnight sotto l’obbiettivo della BC, inducendo quest’ultima a drenare riserve tramite una vendita sul mercato libero o riducendo i suoi sconti. Quando il Tesoro gestisce un deficit prolungato la BC deve continuamente intervenire, anche fino a vendere tutti i buoni del Tesoro. Questo perché, nel più lungo termine, la responsabilità della vendita di titoli per drenare l’eccesso di riserve deve ricadere sul Tesoro—che non ha limiti alla sua vendita di titoli, poiché può crearne di nuovi, quando vuole.
Anche se può sembrare strano, la conclusione è che le vendite di buoni del Tesoro non sono affatto un’operazione di prestito/finanziamento, ma un’operazione di drenaggio di riserve (che sostituisce un tipo di passività dello Stato con un altro). Infatti, il Tesoro non può realmente vendere titoli a meno che le banche non abbiano già un eccesso di riserve, o a meno che la BC non sia pronta a fornire alle banche le riserve di cui avranno bisogno per comprare i titoli. Se il Tesoro, ad esempio, cercasse di avere finanziamenti prima di spendere, ciò avverrebbe tramite il drenaggio di riserve che esso però creerà solo dopo aver speso. Avendo drenato riserve richieste o desiderate, il tasso dei fondi federali si alzerà sopra l’obbiettivo della BC—rendendo necessari l’acquisto sul mercato libero e l’iniezione di riserve. In altre parole, lo Stato spende emettendo Promesse di Pagamento del Debito (PPD, N.d.T.) e il settore privato usa quelle PPD per pagare le tasse e comprare buoni del Tesoro. Ovviamente se la spesa dello Stato fosse l’unica fonte di queste PPD, il settore privato non potrebbe pagare le tasse o comprare titoli prima che lo Stato gliele abbia fornite. In realtà, la spesa statale per beni e servizi è la fonte principale, ma non l’unica fonte delle PPD necessarie al settore privato per pagare le tasse e comprare I titoli di Stato.
Inoltre, la BC fornisce riserve attraverso sconti o operazioni sul mercato libero (oppure l’acquisto di oro e di valute estere), e queste PPD sono perfetti sostituti delle PPD del Tesoro. In conclusione, il fine della vendita di titoli di Stato non è trovare finanziamenti, ma offrire un’alternativa, con l’incentivo dell”interesse, alle riserve non richieste, che altrimenti porterebbero il tasso dei fondi federali (overnight) verso lo zero. E’ da notare che, se la BC pagasse l’interesse sull’eccesso di riserve, il Tesoro non avrebbe mai bisogno di vendere titoli perchè il tasso di interesse overnight non potrebbe mai scendere sotto il tasso pagato dalla BC sulle riserve in eccesso. Inoltre, nonostante la diffusa opinione che i deficit dello Stato facciano salire i tassi d’interesse, in realtà essi riducono a zero il tasso overnight, a meno che il Tesoro e la BC non si impegnino, con un’azione congiunta, a drenare le risultanti riserve in eccesso.
(A dimostrazione di questo, si noti che, per molti anni, il tasso di interesse overnight in Giappone, è stato mantenuto a zero, nonostante deficit statali che hanno raggiunto l’8% del PIL, semplicemente tenendo un surplus di riserve nel sistema bancario.)
D’altra parte, i surplus di bilancio drenano riserve, provocando una carenza che fa alzare il tasso overnight, a meno che la BC e il Tesoro comprino e/o ritirino il debito pubblico. Ovviamente l’ortodossia considera gli effetti del tasso d’interesse dei bilanci dello Stato esattamente al contrario.
CONCLUSIONE: INTEGRAZIONE DELL’APPROCCIO DELLA MONETA-CREDITO CON QUELLO DELLA MONETA DI STATO
Per dirla nel modo più semplice possibile, lo Stato sceglie l’unità di conto in base alla quale i vari oggetti monetari saranno designati. In tutte le economie moderne ciò avviene quando lo Stato sceglie l’unità in base a cui si designano le tasse e indica ciò che viene accettato per il pagamento delle stesse. E’ in primo luogo l’imposizione fiscale/l’obbligo di pagare le tasse a rendere desiderabili questi oggetti monetari. E quegli oggetti diventeranno quindi l’oggetto monetario al vertice della “piramide monetaria” usata per la compensazione finale. Naturalmente la maggior parte delle transazioni che non coinvolgono il governo avvengono sulla base di crediti e debiti, cioè tramite oggetti monetari emessi privatamente. Questo può essere visto come un’attività di leva finanziaria — un far leva sulla HPM. Ma dobbiamo evitare fraintendimenti — non stiamo ipotizzando un qualche rapporto fisso di leva (come fa l’ortodossia con la storia del moltiplicatore dei depositi). Inoltre, in tutti i sistemi monetari moderni la banca centrale punta ad un tasso d’interesse overnight, restando pronta a fornire HPM, su richiesta, al settore bancario (o a ritirarlo dal settore privato) per raggiungere il suo obbiettivo. Così, sia la BC che il Tesoro forniscono HPM. Ma la BC non lancia mai HPM dagli elicotteri. Essa acquista beni oppure concede credito in cambio di garanzie reali, e può anche imporre costi “disincentivanti” alle banche che chiedono denaro. Quindi, mentre la fornitura di HPM da parte della banca centrale procura un certo grado di “liquidità” al sistema, il valore dell’HPM è, in ultima analisi, determinata da che cosa deve fare la popolazione per riceverla/ottenerla dallo Stato.
Neanche la moneta-credito fornita privatamente viene mai lanciata dagli elicotteri. La sua emissione mette l’emittente in una situazione al tempo stesso di credito e di debito e fa la stessa cosa con la parte che accetta la moneta-credito. Ad esempio, una banca, quando presta denaro, crea un attivo (la PPD di chi chiede il prestito) e un passivo (il deposito di chi chiede il prestito); chi riceve il prestito diventa nello stesso momento debitore e creditore. Le banche quindi mettono insieme crediti e debiti, operando la compensazione finale in HPM. Chi chiede prestiti opera nell’economia per ottenere passività bancarie per cancellare le proprie PPD verso le banche. C’è un’importante relazione gerarchica nel sistema privato del debito/credito, con un potere — specialmente sotto forma di controllo delle risorse della società — implicito e derivante da questa gerarchia. In ultima analisi, la capacità di imporre obblighi di pagamento/passività, indicare l’unità di conto, ed emettere la moneta usata per soddisfare quegli obblighi di pagamento dà una sostanziale misura di potere all’autorità. Esiste quindi il potenziale per usare questo potere per perseguire il bene pubblico/l’utilità sociale, sebbene malintesi o mistificazioni riguardo la natura della moneta hanno portato a risultati molto scarsi rispetto a ciò che è economicamente fattibile.
Ben lontana dall’essere stata frutto dell’inventiva di atomistici massimizzatori del profitto, la moneta è una creazione sociale. Il sistema di credito privato fa leva sulla moneta statale, che a sua volta si regge sulla capacità dello Stato di imporre obblighi sociali, soprattutto sotto forma di tasse. Questo permette alla società di mettere a disposizione risorse per fini pubblici/sociali. Abitualmente si crede che le tasse servano a finanziare le attività governative, ma in realtà gli obblighi di pagamento designati nell’unità di conto creano una domanda di moneta che, a sua volta, permette alla società di organizzare la produzione sociale, in parte attraverso un sistema di prezzi nominali. Gran parte della produzione pubblica viene intrapresa con l’emissione di moneta statale tramite l’acquisto da parte del governo, sebbene vengano usati anche mezzi non monetari (leva militare, potere di espropriazione per pubblica utilità, “nazionalizzazione” delle risorse, controllo esercitato tramite regolamenti e norme).
Gran parte dell’attività del settore privato, a sua volta, assume la forma di “produzione monetaria”, o, come la chiamò Marx, ‘M-C-M’, attraverso l’acquisto monetario di beni richiesti con l’obbiettivo di realizzare “più moneta” con la vendita del prodotto finale. L’acquisto iniziale e quello finale sono per la maggior parte finanziati sulla base di crediti e debiti — cioè creazione di moneta “privata”. Poiché la moneta è fondamentale per questi processi produttivi, essa non può essere neutra. Infatti, essa contribuisce alla creazione e all’evoluzione di una “logica” del funzionamento di un sistema capitalista, portando l’economia ad un grado tale di “sradicamento/disintegrazione” che non ha precedenti nella storia. Al tempo stesso, molte delle relazioni sociali possono essere, e sono, nascoste sotto l’apparenza della moneta. Questo diventa terribilmente problematico quando si considera l’erronea visione dei bilanci statali, poiché in questo caso il velo monetario nasconde la possibilità di usare il sistema monetario per il bene comune / nel pubblico interesse.
Randall Wray è ricercatore Associato presso il Centro per la Piena Occupazione e Stabilità dei Prezzi, Università del Missouri-Kansas City e Senior Scholar al Jerome Levy Economics Institute.
Traduzione di Milva Angeletti
1. Questo documento offre un riassunto del capitolo 8 del mio libro, L.R. Wray (ed), Teoria del Credito e Teoria Statale della Moneta: I contributi di A. Mitchell Innes, Cheltenham, Edward Elgar, 79-98. E’ stato presentato il 1° Aprile 2004 a: “Natura, Origini e Ruolo della Moneta”, conferenza sponsorizzata all’ UMKC dal Centro per la Piena Occupazione e Stabilità dei Prezzi.
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