Warren Mosler – 1 maggio 2001
IL BAMBINO DEL CONSENSO
Concepita nel contesto politico del secondo dopoguerra, e battezzata negli anni ’90, una nuova valuta, l’euro, ha cominciato a circolare il primo gennaio 1999. I rappresentanti politici dei futuri Paesi membri dell’eurozona hanno saputo raccogliere magistralmente consenso politico, sia per l’assenza di clausole discutibili sia per l’inclusione di vincoli nazionali, come manifestato nel contesto di Maastricht. Durante questo tumultuoso processo, con profonda fierezza, gli anziani membri hanno protetto il tallone d’Achille del neonato euro. La linea guida “nessun piano di salvataggio dalla BCE” è emersa come un pilastro della politica imperativa da rivolgere contro l’ “azzardo morale” (problema a cui la leadership politica é particolarmente sensibile) e, 2 anni dopo, questa stessa retorica della responsabilità fiscale risuona ancora più forte nel momento in cui vengono proclamati ad alta voce i meriti dell’unione monetaria europea. Sfortunatamente, per quanto concepita in buona fede come protezione verso una genetica tendenza all’irresponsabilità fiscale, questa debolezza attira le frecce del mercato finanziario verso il tallone scoperto che causano la rovina del nostro eroe.
Mentre il carro di Apollo trasporta agevolmente la sua deflagrazione dall’est all’ovest, l’Unione monetaria europea conduce i suoi membri sulla via della crescita economica. Ma non la via della luce, quanto piuttosto il percorso di un’economia in perenne oscillazione, con occasionali tuffi in territori di crescita negativa. L’Unione monetaria, con la sua pre-impostazione unidirezionale, potrebbe fare un favore ai suoi membri esponendo il messaggio -ATTENZIONE! NON SI TORNA INDIETRO!-
LA DINAMICA DELL’INSTABILITÀ
L’euro, 12 nazioni (oggi 17, ndt) che una volta avevano un sistema monetario indipendente, una situazione molto simile agli USA, al Canada o al Giappone, ora, con l’Unione monetaria, quelle nazioni, nella migliore delle ipotesi, diventano come province o regioni della nuova zona valutaria: un po’ come la California, l’Ontario o la città di New York. Le Banche centrali dei Paesi membri dell’eurozona non sono più le emittenti (in realtà lo sono ancora solo che non gestiscono più la politica monetaria come prima ndr) delle loro valute; al loro posto l’Unione monetaria ha istituito una nuova Banca centrale, la BCE, con l’obiettivo di gestire il sistema dei pagamenti, fissare il tasso dei prestiti overnight ed intervenire nel mercato delle valute quando è il caso. Il parlamento europeo ha un budget relativamente piccolo e responsabilità in ambito di politica fiscale limitate (con il trattato di Lisbona non ne ha più, ndt). Gran parte delle funzioni governative rimangono a livello nazionale (non più ora, ndt), non essendo state trasferite al nuovo livello federale. Due degli aspetti che si riveleranno più problematici a livello nazionale sono gli interventi di compensazione alla disoccupazione e l’assicurazione dei depositi bancari. Inoltre tutte le precedenti passività finanziarie pubbliche restano a livello nazionale e sono state convertite nel nuovo euro, con il rapporto deficit/PIL delle nazioni membro pari anche al 105%, non includendo consistenti passività in aumento non finanziate. Questi oneri sono molto più alti di quanto i mercati normalmente concedono alle province o alle città.
Dall’inizio, poco più di 2 anni fa, i 12 Paesi dell’eurozona hanno avuto una moderata crescita del PIL, disoccupazione in diminuzione, e un moderato aumento del gettito fiscale. Il deficit si è ridotto e tutto si è risolto in una crescita più rapida delle tasse che della spesa pubblica, e il PIL è cresciuto a un ritmo maggiore del debito pubblico, così che il rapporto debito/PIL in qualche modo è diminuito. In queste circostanze gli investitori hanno sostanzialmente continuato a finanziare gli Stati e sostanzialmente non sono avvenuti fallimenti bancari. Inoltre, è ragionevole presumere che fino a che questo modello di crescita continua, i finanziamenti (per gli Stati, ndt) saranno sempre prontamente disponibili. Tuttavia, il rallentamento dell’economia mondiale porterebbe l’eurozona a una recessione, al crollo del gettito fiscale, a problemi nella salute del sistema bancario; l’eurozona si potrebbe ritrovare ad affrontare una crisi di liquidità di grandi proporzioni. Al tempo stesso, ci si può aspettare che le forze di mercato inaspriscano la spirale recessiva costringendo i governi ad agire pro-ciclicamente, tagliando la spesa pubblica e/o aumentando le tasse.
Gli indizi della gravità delle difficoltà potenziali si possono trovare andando a vedere i dati relativi alla crisi dei prestiti e del risparmio americano degli anni ’80, ragionando su cosa sarebbe accaduto se quei depositi fossero stati garantiti dallo Stato, piuttosto che da una responsabilità di livello federale. Ad esempio, ci si potrebbe chiedere come se la sarebbe cavata il Texas di fronte alla necessità di reperire 100 miliardi di $ necessari per coprire le perdite bancarie e tutelare i correntisti? E ancora, una volta evidente poteva venir meno la capacità dello Stato di indebitarsi per garantire i depositi bancari: come avrebbe potuto auto-finanziarsi ciascuna banca? Più recentemente, se la banca prestatrice di ultima istanza e garante dei depositi fosse stato lo Stato della California piuttosto che la Federal Reserve, quella banca avrebbe potuto finanziarsi sotto il crescente rischio derivante dalla crisi della capacità dello Stato e dal downgrade del rating creditizio? E, in caso di risposta negativa, questo avrebbe innescato una crisi generale di liquidità all’interno del sistema bancario degli Stati Uniti? Senza una garanzia sui depositi e le funzioni di prestatore di ultima istanza, l’impegno legale di un’entità come la Federal Reserve che non ha obbligo giuridico di vincoli di bilancio, il rischio finanziario sistemico non è sempre presente?
L’intrinseca instabilità può essere espressa con una serie di domande:
Il rallentamento dell’economia dell’eurozona sarà sufficiente a creare deficit nazionali adeguati attraverso la riduzione delle entrate fiscali e un aumento dei trasferimenti?
Il rallentamento dell’economia porterà i mercati a dettare rigidi termini di credito ai governi finanziariamente fragili e forzare risposte pro cicliche?
Il rallentamento dell’economia porterà a fallimenti bancari?
I mercati concederanno ai governi nazionali già gravati da significativi oneri finanziari, con gettiti fiscali in calo e spese in aumento, i finanziamenti richiesti per aiutare le banche in difficoltà?
I correntisti perderanno fiducia nel sistema bancario e “testeranno” il sistema di aiuti finanziari dell’eurozona?
Può l’intero sistema dei pagamenti evitare un collasso di fronte alla necessità di riorganizzarsi?
CONCLUSIONI
L’acqua ghiaccia a 0 gradi. Ma può essere raffreddata ulteriormente al di sotto di questa temperatura e restare in stato liquido, fino a che un catalizzatore, come una brezza improvvisa , non ne causi l’istantanea solidificazione. Allo stesso modo, sono state poste saldamente in essere le condizioni per una crisi di liquidità che ucciderà il sistema monetario dell’euro. È sufficiente un rallentamento dell’economia tale da compromettere il gettito fiscale e/o il capitale del sistema bancario. Un futuro finanziario prospero appartiene a coloro che rispettano le dinamiche e sono pronti per il giorno della resa dei conti. La storia e la logica dicono che il sistema euro essendo vulnerabile dal credito vedrà 12 governi nazionali e il sistema bancario essere messo alla prova. I dardi del mercato causeranno inizialmente una crisi di liquidità che infetterà e arresterà rapidamente l’intero sistema dei pagamenti in euro. Solo l’inevitabile, attualmente vietato, intervento diretto della BCE sarà in grado di portare ad una risurrezione, e dalle ceneri di quella stella cadente emergerà senza dubbio una valuta sovrana immortale.
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