Sfortunatamente ciò che rischia il Giappone è il superamento della fase di deflazione ma nessuno sviluppo di produzione e occupazione. Ciò che hanno fatto potrebbe esser causa di un deprezzamento della valuta nell’ordine del 25% attraverso aggiustamenti di portafoglio, il che potrebbe non rafforzare la domanda interna in termini reali. In realtà, in termini di scambi reali, potrebbe indebolirla, lasciando i giapponesi con prezzi più elevati e uno standard di vita peggiore.

Sì, lo spostamento valutario rende le importazioni più costose, il che significa che ci sarà qualche sostituzione in favore di beni prodotti internamente che costano più di quanto di solito costavano quelli importati, ma meno di quanto costano oggi. Ma per molti beni importati non ci sono sostituti interni, e così l’aumento del prezzo funziona semplicemente come un aumento delle tasse.

E sì, le esportazioni, in particolare rispetto ai valori nominali, aumenteranno di un po’, ma così faranno anche i prezzi delle merci importate. E sì, alcuni fattori produttivi allocati altrove saranno sostituiti da fonti locali, incrementando l’occupazione interna, ma non il consumo interno in termini reali.

A livello macro ciò che conta è cosa fanno rispetto al mantenere un deficit governativo adeguatamente ampio da soddisfare il bisogno di pagare le tasse imposte e la volontà di risparmio al netto. Le esportazioni nette “operano” riducendo i termini reali del commercio quando il Governo acquista valuta estera, che aggiunge yen netti alla loro economia. Io chiamo questi acquisti di valuta estera “spesa a deficit fuori bilancio”. Ma fino ad ora il governo, almeno, ha detto che loro non hanno in programma di farlo, e gli altri assolutamente negano di aver contribuito.

Ciò che fondamentalmente è cambiato è che loro stanno importando più energia da quando hanno spento i loro reattori. E ancora una volta, questo funziona come una tassa sulla loro economia (“tassonomia”, per dirlo in breve? Davvero un brutto gioco di parole, beninteso!)

D’altra parte, come sopra, acquistare valuta estera sia da parte del settore pubblico che da parte del settore privato è, praticamente, spesa a deficit, che in questo caso prima di tutto supporta l’export, ma potrebbe aggiungere qualcosa alla domanda aggregata, a seconda dei dettagli legati alle varie rilevanti propensioni al consumo, etc.

Complessivamente il punto principale di tutto questo ragionamento è che il Giappone può causare una qualche forma di “inflazione” in quanto i prezzi nominali ricevono una spintarella dal deprezzamento della valuta, ma con un modesto incremento della produzione ottenuto attraverso un incremento delle esportazioni che va ad affievolirsi se non supportato da continui acquisti di valuta estera. E tutto avviene in uno scenario di declino dei termini reali di commercio poiché lo stesso ammontare di lavoro è in grado di acquistare meno beni importati, etc, il che è il motore che sulla carta lo fa funzionare.

E per l’economia globale è un altro shock deflazionistico in una gara deflazionistica verso il fondo, dal momento che altri aspiranti esportatori competono con i tagli imponenti sui salari reali del Giappone.

Così, sì, stanno cercando di causare inflazione, ma non per amore dell’inflazione, ma come modalità per accrescere produzione e occupazione. Ma mi spiace, ciò che stanno sbagliando è che il rapporto causale non opera in tale direzione.

In conclusione, questo è il pensiero che ho cercato di esporre: il fatto che l’incremento di produzione possa causare inflazione, non significa che l’inflazione in aumento causi incremento di produzione reale e occupazione.

Scusate, questo necessita di bel po’ di organizzazione in più. Ci torneremo sopra più in là.

Fonte: http://moslereconomics.com/