Nel giudicare le considerazioni degli economisti riguardo a tale tema, è difficile distinguere tra il loro tatto nel sorvolare i principi più sorprendenti della Finanza Funzionale e l’insufficiente trasparenza da parte di coloro che non realizzano pienamente i limiti impliciti nelle loro formulazioni relativamente ortodosse. Prima ci son stati i pump – primers, i quali sostenevano che il Governo dovesse semplicemente far sì che le cose iniziassero ad andare e poi l’economia, avrebbe proceduto da sé.
Ora i pump – primers rimasti sono pochi. Una formula in qualche modo simile a quella proposta dai pump – primers fu sviluppata dagli economisti scandinavi in termini di una serie di bilanci di investimenti correnti, di investimenti capitali e di altri bilanci speciali che non avrebbero dovuto essere pareggiati entro l’anno, ma nel corso di periodi più lunghi. Come la formulazione dei pump-primers, questa fallì perché non c’era ragione di supporre che una politica di spesa e di tassazione capace di mantenere la piena occupazione e prevenire l’inflazione dovesse necessariamente pareggiare il bilancio nel corso di un decennio piuttosto che in un anno o alla fine di ogni due settimane. Appena si considerò questo – ossia la mancanza di qualsiasi garanzia che il mantenimento della prosperità nel lungo periodo avrebbe consentito il pareggio di bilancio– si dovette riconoscere che il risultato avrebbe potuto essere un debito nazionale in continuo aumento (se la spesa pubblica addizionale fosse stata finanziata dall’indebitamento del Governo e non dall’emissione di moneta per la spesa eccedente gli introiti fiscali).A questo punto si sarebbero dovute chiarire due cose: la prima, che – finché la Finanza Funzionale avesse mantenuto la domanda totale al livello adeguato del prodotto corrente – questa ipotesi non avrebbe danneggiato la società, indipendentemente da quale fosse il livello raggiunto dal debito nazionale; e la seconda (sebbene questo sia molto meno importante), che – nel lungo periodo – esiste un’automatica tendenza al pareggio di bilancio come risultato dell’applicazione della Finanza Funzionale, nonostante esso non sia contemplato esplicitamente. Indipendentemente da quanti interessi devono esser pagati sul debito, non deve essere imposta tassazione a meno che non sia necessaria a contenere la spesa al fine di prevenire l’inflazione. Gli interessi possono esser pagati attraverso l’ulteriore indebitamento. Finché il pubblico è disposto a prestare al Governo, non c’è difficoltà, indipendentemente da quanti zeri siano aggiunti al debito nazionale. Se il pubblico diviene riluttante a prestare al Governo, esso deve necessariamente accumulare o spendere moneta. Se il pubblico risparmia, il Governo può stampare moneta per finanziare il pagamento degli interessi e delle altre obbligazioni (e degli altri impegni di spesa), e gli unici effetti sono che il pubblico detiene moneta, anziché titoli di Stato e che al Governo è risparmiato l’onere di pagare gli interessi sui titoli. Se il pubblico spende, questo aumenterà il livello di spesa aggregata cosicché non sarà necessario che il Governo si indebiti a questo fine; e se il tasso di spesa diviene troppo alto, allora sarà il momento di tassare per prevenire l’inflazione. Il gettito potrebbe (allora) essere usato per pagare gli interessi e ripagare il debito pubblico. In ogni caso, la Finanza Funzionale fornisce una risposta semplice, quasi automatica. Ma questo non è stato compreso chiaramente o è stato considerato troppo sorprendente o troppo logico per essere spiegato al pubblico. È stato invece argomentato – ad esempio da Alvin Hansen – che finché sussiste un rapporto ragionevole tra reddito nazionale e debito nazionale, il pagamento degli interessi sul debito può essere finanziato dalle tasse pagate sul reddito (nazionale) addizionale che è realizzato grazie al finanziamento a deficit. Questa “riappacificazione” superflua ha aperto la strada a un’opposizione estremamente efficace nei confronti della Finanza Funzionale. Persino gli uomini che hanno compreso chiaramente il meccanismo per mezzo del quale la spesa pubblica – in tempi di depressione – può aumentare il reddito nazionale di diverse volte rispetto all’ammontare speso dal Governo e coloro che capiscono perfettamente che il debito nazionale, quando non è contratto nei confronti di altre nazioni non grava sulla nazione come un debito personale nei confronti di altre, si son dichiarati fortemente contrari alla “spesa a deficit”. È stato sostenuto che “non sarebbe possibile concepire un programma più adatto all’indebolimento sistematico dell’industria (del sistema delle imprese private) e all’accelerazione della catastrofe finale di quello del “deficit di spesa””.[1] Queste obiezioni sono basate sul riconoscimento che, sebbene ogni dollaro speso dal Governo, possa creare diversi dollari di reddito nel corso di uno o due anni, gli effetti poi scompaiono. Da questo segue che, se il reddito nazionale deve esser mantenuto ad un livello elevato, il Governo deve contribuire pienamente alla spesa nel momento in cui la spesa privata è insufficiente a garantire – da sola – il pieno impiego. Questo può voler dire un’indefinita persistenza del supporto pubblico alla spesa (sebbene non necessariamente ad un tasso crescente), e se – come suggerisce la teoria della “riappacificazione”– tutta la spesa è finanziata dall’indebitamento, il debito continuerà a crescere finché non sarà più in un rapporto “ragionevole” con il reddito. Questo porta al nodo cruciale della questione. Se gli interessi sul debito devono esser finanziati con le tasse (di nuovo un’ipotesi che non è cambiata dalla teoria della ”riappacificazione”), nel tempo queste costituiranno una frazione importante del reddito nazionale. L’elevata tassazione sul reddito – necessaria ad accumulare questo ammontare di moneta e pagare coloro che detengono i titoli di Stato – scoraggerà gli investimenti privati rischiosi, riducendo in tal modo il loro rendimento netto che non sarà tale da compensare l’investitore per il rischio che corre di perdere il suo capitale. Questo renderà necessario che il Governo si finanzi ulteriormente a debito al fine di mantenere il livello di reddito e di occupazione. Quindi, sarà necessaria una tassazione ancora più gravosa per pagare gli interessi sul debito crescente, finché l’onere della tassazione sarà schiacciante al punto che gli investimenti privati diventeranno non profittevoli e il sistema di imprese private collasserà. Le imprese private e le multinazionali saranno tutte in bancarotta a causa delle tasse e il Governo dovrà nazionalizzare tutta l’industria. Questo argomento non è nuovo. Identici disastri, sebbene ora stiano ricevendo più attenzione del solito, furono previsti quando fu proposta la prima legge sulla tassazione di 1 centesimo su 1 sterlina di reddito. Tutto ciò rende ancora più importante valutare il significato della discussione. -Qui la prima parte di Finanza funzionale e debito federale
FONTE: Functional finance and the federal debt di Abba Lerner 

da ABBA P. LERNER
Social Research
Vol. 10, No. 1 (FEBRUARY 1943), pp. 38-51
Traduzione a cura di: Maria Consiglia Di Fonzo

[1]Un eccellente esempio di questo è il persuasivo articolo di John T. Flynn in Harper’s Magazine del luglio 1942.