È notizia di qualche giorno fa che la Banca Centrale Europea ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita del PIL (prevista) nell’Eurozona per il 2013. Secondo gli esperti di Francoforte il dato dovrebbe assestarsi in una forbice compresa fra il -0,1 % e il -0,9 %.Si tratta, a ben vedere, dell’ennesima proiezione al ribasso che consegna all’istituzione guidata da Mario Draghi il triste primato del 100% di proiezioni sbagliate nel corso degli ultimi tre anni.

Come si può ben vedere dalla tabella, infatti, l’ultimo dato per il 2013 pubblicato il 7 marzo abbassa di 0.4 punti percentuali la stima precedente (6 dicembre 2012), che profilava nella migliore delle ipotesi una crescita dello 0.3%. Inoltre, scorrendo le pubblicazioni relative alle proiezioni per il 2013 si può notare come un anno fa (8 marzo 2012) le proiezioni ventilassero una crescita massima del 2.2%, con l’ipotesi peggiore di una crescita nulla. In un anno, dunque, siamo passati da una stima massima di +2.2% a un misero -0.1%.
Gli “esperti” non hanno fatto meglio con il 2012. Il dato definitivo è un -0.5% per l’intera Area Euro. Un dato che solo un anno fa (8 marzo 2012) veniva ventilato come il peggior risultato possibile, a fronte di un possibile +0.3% nel migliore degli scenari (8 marzo e 6 giugno 2012). Addirittura le pubblicazioni del 2011 pronosticavano una crescita massima per il 2012 del 2.8% (9 giugno e 3 marzo 2011), andata via via polverizzandosi nelle stime successive. Insomma, un altro fiasco totale.
Per il 2011, tutte le previsioni nel corso dell’anno prevedevano una crescita massima ben superiore al dato finale (+1,5%), che sarebbe dovuto essere sostanzialmente il risultato minimo. Scorrendo le pubblicazioni del 2010 relative al 2011  abbiamo un ulteriore riprova del fatto che qualcosa nelle previsioni dei “tecnici” non funziona. Il 4 marzo 2010 prevedevano una crescita fra lo 0.5 % e il 2.5%, mentre ancora il 2 dicembre 2010 la loro proiezione era compresa fra un +0.7% e un +2.1%.
Solo le proiezioni relative al 2010 sembrano abbastanza in linea con i dati effettivi che si sono poi manifestati. E ciò non dovrebbe affatto stupire.
Nel 2010, infatti, iniziano un po’ in tutta Europa le terapie lacrime e sangue all’insegna dell’austerità da parte della Troika (BCE, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale). In maggio viene varato il primo piano di “salvataggio” per la Grecia: un prestito triennale da 110 miliardi di euro (che si rivelerà insufficiente e sarà seguito da un ulteriore piano di salvataggio da altri 130 miliardi nel maggio del 2012 e da successive manovre all’insegna di maggiore austerità). Piani analoghi saranno poi imposti anche a Irlanda e Portogallo nel corso dei due anni e mezzo successivi. E politiche all’insegna dei tagli alla spesa pubblica e dell’aumento dell’imposizione fiscale approderanno anche in Spagna e Italia.
Una soluzione battezzata all’epoca da Jean Claude Trichet – allora Presidente della Banca Centrale Europea – come la panacea di tutti mali dell’Eurozona: «L’idea che le misure di austerità possano provocare una stagnazione è sbagliata. In queste circostanze tutto ciò che serve per aumentare il livello di fiducia di famiglie, imprese e investitori sulla sostenibilità delle finanze pubbliche e dunque sulle scelte di rigore dei governi è buono. Per gli investimenti, per consolidare la crescita e per creare lavoro».
Purtroppo, come ormai ha ammesso anche lo stesso capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard (in uno studio effettuato insieme a Daniel Leigh), «i piani di consolidamento fiscale più sostenuti sono stati seguiti da una crescita più bassa del previsto […]. Un’interpretazione naturale è che i moltiplicatori fiscali sono sostanzialmente più alti di quelli implicitamente assunti dai previsori». Cosa significa? In sostanza che gli “esperti”, quelli che fanno le proiezioni e hanno messo in ginocchio tutta l’Europa, prevedevano che un taglio alla spesa diciamo di 1 euro avrebbe provocato una diminuzione del Pil (e quindi del reddito) di soli 0,5 euro. In realtà, «i moltiplicatori impliciti nelle previsioni erano sottostimati, in media, di circa un’unità». Tradotto in parole povere significa che un taglio alla spesa pubblica di 1 euro ha provocato una caduta di reddito di 1,5 euro. Eppure Keynes ci aveva avvisato: “la spesa di qualcuno è sempre il reddito di qualcun altro” e questo vale anche per la vituperata spesa pubblica. Ah dimenticavo, cosa ha detto Draghi dopo l’ennesima figuraccia dei suoi esperti? «L’Italia deve continuare con le riforme strutturali e il consolidamento dei conti pubblici». Ah va bene, come non detto Mario.