In Germania, tra salari di €700 e tirocini non retribuiti la situazione non è distante da quella italiana. In un precedente post vi ho riportato la mia esperienza diretta, al fine di avere una più giusta rappresentazione di ciò che realmente accade in quel Paese, al di là delle leggende metropolitane e delle inutili idealizzazioni. Il rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) a pag. 44 segnala che: “sebbene il modello della produzione diversificata di qualità abbia prodotto maggior successo nei settori orientati all’esportazione, ci sono buoni motivi per dubitare che la deregolamentazione del mercato del lavoro e la creazione di un settore a basso salario si traduca in maggiore domanda domestica e in un’orientamento all’esportazione inferiore. Benché la Germania abbia attuato con grande cura le riforme prescritte, con salari reali diminuiti, i dati mostrano una domanda interna depressa. Si può quindi sostenere che la deregolamentazione del mercato del lavoro ha contribuito in larga misura all’ampliamento della disuguaglianza del reddito, ha rafforzato il problema della domanda aggregata e ha prodotto un aumento delle disuguaglianze e una crescita molto bassa”.
Il rapporto dell’Istituto del Lavoro dell’Università di Duisberg-Essen ha calcolato nel 2010 che più di 6,55 milioni di tedeschi ricevono meno di 9 euro lordi l’ora, due milioni e mezzo di lavoratori meno di 6 euro l’ora. Tra il 2000 e il 2010, le esportazioni nette della Germania sono esplose mentre la sua domanda interna stagnava, con un insignificante tasso di crescita dello 0,2% l’anno, la compressione salariale non ha condotto alla attesa creazione di posti di lavoro, e i sindacati oltretutto danno battaglia per chiedere l’innalzamento dei salari e una soglia minima di stipendio per tutti. L’idea che la competitività tedesca dipenda da tagli ai salari reali dunque non è fantasia di persone accecate dall’odio antigermanico. E’ innegabile che il modello tedesco export-led basato su tagli ai salari e restrizione del mercato interno abbia prodotto recessione e disagio sociale, ma in Italia i cantori delle magnifiche sorti e progressive della Germania cercano di convincere e illudere i propri adepti a seguire i passi del miracolo tedesco per ottenere una pronta ripresa dell’economia italiana. Bersani infatti, in visita a Berlino presso il German Council on Foreign Relations, oltre a sottolineare per l’ennesima volta la sua ferma intenzione di collaborare con Monti, ha rilasciato una sequela di imbarazzanti dichiarazioni tra cui: «La Germania può avere ruolo di leadership nell’Europa del futuro», per poi auspicare «la nascita di una sovranità post-nazionale che ha un nome ben preciso: gli Stati Uniti d’Europa».
Capito? Ricetta tedesca, e “Stati Uniti Uniti d’Europa”. Certo, d’altronde, per colmo di paradosso, coloro che invocano incessantemente l’Europa per giustificare tagli e sacrifici, sono coloro che ne stanno determinando l’affossamento. Un famoso economista, Mark Schieritz (indubitabilmente tedesco e quindi non sospettabile di acredine antigermanica), ha dichiarato più volte che “l’Europa è in deflazione solo per non far lamentare la Germania”, e per quanto riguarda la paura dell’inflazione di Mario Draghi, non sa se si tratti di “un pavido oppure bluffi per non spaventare i tedeschi”. L’Europa proclamata da Bersani, corrisponde alla distruzione di ogni possibilità di sviluppo dei Paesi europei, lasciando un sempre maggior numero di persone senza protezione, nella miseria, aumentando la disoccupazione e le diseguaglianze economico-sociali.
Quante persone ancora dovranno soffrire nel nome di una gigantesca mistificazione Europea? Tale mostro, denominato Europa, sta seppellendo i suoi cittadini. Bersani, perché chiedere “più Europa” mentre i tedeschi vogliono addirittura “meno Germania”?