Introduzione

Scopo di questo articolo è introdurre un nuovo approccio alla crisi sempre più avvertita del debito europeo: tax-backed bonds (titoli di Stato fiscalmente garantiti).
I tax-backed bonds sono strumenti finanziari concettualmente simili ai titoli di Stato, con la sola eccezione del fatto che contengono una clausola per cui, se lo Stato non dovesse rimborsarli a scadenza – e solo nel caso in cui lo Stato non dovesse rimborsarli a scadenza, sarebbero utilizzabili per pagare le imposte allo Stato che li ha emessi, anche continuando a garantire interessi.

Premessa

Il problema chiave che l’Europa si trova oggi ad affrontare è la crisi dei debiti sovrani, una crisi che ha causato enormi danni all’Europa in termini politici, sociali ed economici. Come evidenziato da recenti sondaggi, la fiducia nell’Unione Europea è al livello più basso di sempre e i cittadini si interrogano su quale direzione il progetto europeo stia per prendere.
Le principali questioni al centro del dibattito sono, rispettivamente, la responsabilità e la sovranità.
Le popolazioni dei Paesi europei più ricchi insistono sul fatto che i Paesi periferici in difficoltà dovrebbero assumersi l’intera responsabilità del fardello del rispettivo debito e smetterla di fare affidamento sui salvataggi da parte dell’Unione.
Al tempo stesso, i cittadini dei Paesi periferici sono sempre più angosciati per la perdita di sovranità fiscale che accompagnerebbe eventuali operazioni di salvataggio e alle misure di austerità che ne conseguirebbero. Nei casi più estremi, si parla addirittura della possibilità di uscire dalla moneta unica, un’azione che risulterebbe catastrofica per il progetto europeo nel suo complesso.

Cause dell’attuale crisi
Le radici della crisi del debito risiedono nel fatto che gli investitori sono preoccupati per il debito dei governi periferici dell’eurozona. Sono preoccupati che questi Paesi possano andare in default perdendo, così, i propri soldi. Tutto ciò induce gli investitori a chiedere un maggior rendimento, o tasso di interesse, sui titoli di Stato. Ma quando il tasso di interesse cresce troppo, il Paese in questione soffre sotto il peso del pagamento e, ad un certo punto, può persino trovarsi impossibilitato a ripagare i propri creditori.
In tale eventualità, il Paese in questione può essere costretto a chiedere un piano di salvataggio, magari attraverso un fondo appositamente istituito o attraverso l’acquisto del debito sul mercato secondario da parte della banca centrale. Entrambi questi scenari si sono già verificati e hanno causato tensioni e scioperi in Europa. Vorremmo richiamare l’attenzione sul fatto che non sono gli Stati membri ad emettere l’euro mentre, per contro, gli Stati che possono emettere moneta nazionale non hanno problemi del genere. Un valido esempio è il Giappone, Paese in cui il rapporto debito/PIL ha superato il 220%, il valore più elevato tra i Paesi industrializzati, e dove i tassi di interesse sui titoli di Stato sono tra i più bassi del mondo (1,04% sui bond a 10 anni, al momento in cui si scrive).
Come già notato da figure di rilievo quali Alan Greenspan e Paul Krugman, la ragione per cui i Paesi che emettono la propria valuta hanno un costo per il servizio del debito così basso sta nel fatto che questi Paesi possono sempre ripagare il debito; essi possono cioè sempre creare moneta per adempiere alle obbligazioni assunte. Il fatto stesso che questi Paesi abbiano a disposizione tale possibilità, permette ai rendimenti sui titoli di Stato di rimanere bassi anche se il peso del debito diventa relativamente elevato.
Il problema, naturalmente, è che se un Paese periferico dell’eurozona volesse emettere la propria moneta dovrebbe uscire dall’euro, opzione per la quale non c’è ad oggi consenso politico.

Gli elementi chiave dell’approccio Tax-backed Bond

Gli investitori sono alla ricerca della certezza di essere rimborsati. Sul mercato, ciò viene chiamato “credibilità finanziaria”. Gli investitori sono alla ricerca di assets che reputano monetizzabili. Pertanto, l’obiettivo è assicurare al debito periferico un alto grado di sicurezza; il tutto facendo in modo che (1) i Paesi periferici continuino ad utilizzare l’euro e (2) la Banca centrale europea non sia chiamata ad intervenire come prestatore di ultima istanza.
A nostro avviso una soluzione semplice a questo problema è l’emissione di un nuovo tipo di debito da parte dei Paesi periferici che chiamiamo “tax-backed bond”.
I tax-backed bonds sono del tutto simili agli attuali bond governativi, ad eccezione del fatto che contendono una clausola per cui, se il Paese diviene insolvente – e solo se ciò accade, lo Stato emittente li accetterebbe come strumento di pagamento delle imposte.

Come funzionerebbero i Tax-backed Bond

Se un investitore possedesse titoli del governo irlandese, ad esempio, del valore di 1.000 euro e il governo irlandese non fosse più in grado di corrispondere gli interessi o di restituire il capitale, potrebbe tranquillamente utilizzare il bond per pagare 1.000 euro di tasse al governo irlandese.
Se l’investitore fosse residente all’estero, potrebbe cedere il debito insoluto ad una banca irlandese (probabilmente ad un prezzo un po’ scontato; diciamo del 5 euro) che potrebbe a sua volta utilizzarlo per pagare le tasse dei propri clienti in cambio dei loro euro.
Qui il punto chiave è il seguente: dal momento che la garanzia fiscale fissa un livello mimino al di sotto del quale il valore dell’asset non può scendere e dal momento che il titolo paga comunque un tasso di interesse, non vi è alcun rischio effettivo di perdita e non vi è alcuna ragione per liberarsene – quindi, i titoli potrebbero anche non venir mai utilizzati per pagare le tasse.
I tax-backed bonds rassicurano l’investitore sul fatto che il titolo sarà sempre “monetizzabile” indipendentemente dalle circostanze, il che avrebbe come effetto quello di abbassare il tasso di interesse impedendo che i Paesi periferici siano condotti al default.
L’obiezione più frequente tra economisti e gestori di fondi è che un governo alle prese con una insolvenza potrebbe decidere di rifiutare i bond pretendendo che il pagamento delle tasse avvenga in moneta. In altre parole, qualcuno potrebbe provare a pagare le imposte in bond e il governo potrebbe contestare l’omesso pagamento e infliggere una sanzionare al contribuente.
Per evitare tutto ciò, noi suggeriamo che il bond venga emesso e sottoscritto in regime di diritto (internazionale) anglosassone in modo che il governo non possa rifiutarsi di adempiere all’obbligazione facendosi scudo della sua potestà normativa di natura pubblica.
Il rendimento dei nuovi titoli verrebbe stabilito dai mercati e crediamo che, andando a riflettere il basso rischio associato ai nuovi titoli, tale rendimento risulterebbe significativamente più basso rispetto a quello che i mercati richiedono oggi. (Suggeriamo di emettere i titoli ad un tasso di interesse pari all’Euro Interbank Offered Rate più un 3 percento su base variabile, e quindi lasciare che il mercato faccia i suoi aggiustamenti).

Conclusioni

Ad avviso di chi scrive si tratta della soluzione più pulita ed efficiente all’attuale crisi del debito, una soluzione che però non ha ancora ricevuto la minima attenzione mediatica e politica. Il nostro piano di tax-backed bonds potrebbe aprire la porta ad un nuovo approccio  al debito sovrano in Europa, un approccio in cui il desiderio di sovranità sia bilanciato dal bisogno dei Paesi di assumersi la responsabilità delle loro azioni senza dipendere dall’aiuto degli altri.

Articolo tradotto da Roberto Santilli. Versione originale disponibile qui