Qualche settimana fa ho richiesto un dibattito tecnico riguardo ai meriti della Job Guarantee [Garanzia del lavoro, ndt], rispetto alle altre politiche fiscali. Diversi blogger hanno raccolto la sfida, ma il dibattito non è stato scevro da pregiudizi ideologici; ciò è stata la prova di quanto affermavo all’inizio del mio pezzo, ovvero che non è possibile separare il fatto dalla teoria o dall’ideologia (e per ideologia non intendo l’uso dispregiativo del termine, ma quello che significa “ontologia” o “visione del mondo”).
Ciò che non mi aspettavo da amici e simpatizzanti è l’aver resuscitato una critica particolarmente spiacevole, che sentiamo da lungo tempo da parte dei detrattori della MMT, ovvero che la MMT starebbe proponendo politiche autoritarie.
Oh, ragazzi. Come siamo arrivati fino a questo punto? Pensavo che fosse un dibattito tecnico.
Fatemi affrontare solo qualche tema:

  1. l’apparente rinascita di politiche fiscali che conservano lo status quo
  2. i meriti della JG (Job Guarantee) rispetto ad altre politiche fiscali
  3. qualche prova concreta in più sui benefici della creazione diretta di posti di lavoro, e
  4. una visione della JG in una società libera e democratica.

1) Perché difendere lo status quo?
Le critiche alla JG si riducono alle affermazioni infondate sul fatto che essa imporrebbe costi latenti alle imprese e alla competitività; che avrebbe un impatto negativo sugli incentivi al lavoro, creazione di ricchezze e produttività; e che spianerebbe la strada al socialismo.
Dopotutto, è stata raggiunta una grande prosperità con il vecchio sistema, quindi perché cambiarlo? Cent’anni fa venivano portati gli stessi argomenti contro la giornata lavorativa di 8 ore e la settimana lavorativa di 5 giorni, riguardo al lavoro minorile e le ferie obbligatorie; e oggi vengono portati contro l’aspettativa e la maternità, il salario minimo e così via. Quindi non c’è nulla di nuovo nell’affermare che la JG ridurrebbe gli incentivi, la produttività o la crescita. In realtà questi non sono argomenti contro la JG. Questi sono argomenti per lo status quo. I sostenitori della MMT, ma non della JG, si ritengono più favorevoli alla spesa a deficit in forma di politiche pro-investimenti, pro-crescita, pro-produttività, accompagnate a forti investimenti pubblici in infrastrutture ed investimenti ed aiuti economici ai poveri ed ai disoccupati.
Ma tutte queste politiche rappresentano lo status quo, anche se chi le sostiene richiede più finanziamenti per esse. Sono lo status quo perché sono state tentate con finanziamenti generosi in un momento o nell’altro del dopoguerra, e hanno comunque fallito nel risolvere i problemi più importanti della società moderna come la povertà, le disuguaglianze economiche, la disoccupazione a breve e lungo termine, l’instabilità, il deterioramento dei redditi e così via. Sono sconcertata dai motivi che inducono i detrattori della JG ma simpatizzanti della MMT ad abbracciare la definizione neoclassica di piena occupazione, pur in presenza di volumi di letteratura economica che trattano dei problemi di questa definizione e la teoria sostanzialmente imperfetta che vi sta dietro. Essi sostengono che tali politiche dovrebbero mirare a raggiungere un tasso di “piena occupazione” in linea con un 4% di disoccupazione. Tenete presente che per gli studiosi di MMT, la piena occupazione è una condizione in cui chiunque voglia lavorare ha un impiego, non una situazione in cui il 4% della forza lavoro vorrebbe ma non riesce a trovare un impiego. Riguardo a queste politiche, i detrattori della JG hanno obiettato che la spesa pubblica dovrebbe essere basata su “nuove” regole fiscali che producano il tasso di disoccupazione desiderato.
Perché stiamo scoprendo l’acqua calda? Ci sono già 80 anni di letteratura, derivante da un approccio definito Keynesiano Idraulico, secondo cui la piena occupazione si tradurrebbe in un certo livello di riserve di disoccupazione (conosciuto come il NAIRU, Non-Accelerating Inflation Rate Unit); non considerando, con ciò, gran parte del problema della disoccupazione.
Portare il livello fino a quel tasso di riserve di disoccupazione, basato su una qualche versione della legge di Okun, è la caratteristica dell’approccio IS-LM e di tutti i suoi moderni eredi neoclassici, che propendono per interventi di politica fiscale (in ogni caso, lo stesso Okun avvertiva che il collegamento tra gettito e crescita dell’occupazione è molto debole).
Abbiamo volumi e volumi di analisi che criticano la macro-teoria sottostante all’approccio Keynesiano Idraulico ma improvvisamente lo stiamo riesumando?
Qual è il nuovo contributo nelle proposte politiche dei detrattori della JG? L’idea che i governi possano spendere senza dover affrontare restrizioni di budget? Questo non è nuovo. Gli economisti di scuola ISLM del dopoguerra, che prendevano Lerner sul serio, lo sapevano anche troppo bene. Anche economisti moderni, teorici di un New Consensus, sembrano capire ciò (come Woodford e Bernanke). Oppure l’idea che possiamo spendere sulla base di una “nuova” regola fiscale che armonizzi bene l’economia? Tutto questo è solo vecchio vino in bottiglie nuove. Politiche fiscali automatiche ed Idrauliche, che correggono la spesa e la tassazione lungo il corso del ciclo economico, sono il marchio di fabbrica di quel tipo di interventi fiscali del dopoguerra che non hanno prodotto stabilità a lungo termine o piena occupazione.
I provvedimenti di bilancio, comunque vengano considerati, ottengono risultati estremamente scarsi. E’ il Keynesismo trickle-down, che erode la redistribuzione del reddito e fallisce nel combattere disoccupazione e povertà; non importa quanto sia ben intenzionato.
Se vuoi ottenere la situazione ideale, devi farlo direttamente. Se le vendite nel settore privato sono troppo scarse, devi aumentare la domanda. Se il settore privato fallisce comunque nel creare abbastanza lavoro per tutti, il settore pubblico deve colmare la lacuna attraverso assunzioni dirette.
Se le imprese offrono stipendi da fame, il settore pubblico deve stabilire un salario minimo di sopravvivenza. Se le aziende non riescono a procurare un’assicurazione sanitaria per tutti, lo deve fare il settore pubblico.
L’armonizzazione è un tipo di politica inferiore; è come lanciare freccette mentre si è bendati: qualcuna di queste farà centro, altre no, ma moltissimo tempo e risorse saranno sprecati nel frattempo.
Minsky e Kalecki lo hanno capito bene, e tutti coloro che li abbiano letti seriamente comprendono le debolezze delle politiche di armonizzazione, specialmente di quelle pro-investimenti e pro-crescita.

2) Come la creazione di lavoro diretta, la Job Guarantee e il meccanismo dell’Employer of Last Resort si confrontano con le altre politiche
In una recente pubblicazione per il Levy Institute, ho impiegato le analisi di Minsky e Kalecki per dimostrare perché le altre politiche siano in generale inferiori alla creazione diretta di lavoro, e in particolare quella dell’Employer of Last Resort [datore di lavoro di ultima istanza, ndt]. La pubblicazione va oltre i modelli post-keynesiani convenzionali per studiare gli effetti di diverse politiche fiscali su prezzi e distribuzione del reddito.
Minsky argomentava spesso che, nell’era moderna, il governo è al contempo una “benedizione” ed una “maledizione”: esso stabilizza profitti e produttività impartendo un’inclinazione inflazionaria al corso dell’economia, ma senza stabilizzarla al livello della piena occupazione o vicino ad esso.
In questo lavoro, considero diverse funzioni svolte dal governo: come dispensatore di redditi; come datore di lavoro; e come acquirente di beni e servizi.
Gli effetti inflazionari e redistributivi di queste politiche differiscono considerevolmente. In primo luogo, esamino gli effetti dei trasferimenti di reddito ad individui e imprese (sotto forma di assicurazione contro la disoccupazione e sussidi agli investimenti, rispettivamente). In seguito, considero il governo come datore di lavoro (creazione diretta di impiego) e come un acquirente di beni e servizi (creazione indiretta di lavoro). Infine, modifico il modello teorico di base per incorporarvi una politica fiscale à la Keynes e Minsky (JG, ELR, “impiego sul posto “), dove il governo assicura la piena occupazione tramite l’impiego dei disoccupati che non riescono a trovare lavoro nel settore privato, a prescindere dalla fase del ciclo economico.
Il lavoro ricava una fondamentale equazione di prezzo per un’economia di piena occupazione con il governo; il modello presenta una “regola di prezzo” per la spesa a deficit, la quale assicura che l’ELR non è fonte di inflazione.
In realtà, l’equazione fondamentale mostra come, in presenza di tale regola di prezzo, nell’ipotesi di piena occupazione, gli effetti inflazionari si osservano da fonti diverse dal programma di pubblico impiego.
I critici della JG devono portare davvero delle buone ragioni per cui lo status quo dovrebbe essere difeso, per come le politiche fiscali convenzionali dovrebbero essere confezionate dietro la maschera di una nuova regola fiscale, per produrre stabilità e migliori risultati socioeconomici rispetto alla JG. Devono spiegare perché rincari più elevati e redistribuzione peggiorativa di reddito da politiche pro-investimenti e pro-crescita sarebbero preferibili a dare impieghi ai disoccupati in un progetto produttivo. Ma per piacere preparate la vostra tesi come farebbero degli ingegneri – sui meriti tecnici e non politici di queste regole (non esiste una linea economica “meno politica” di un’altra), e non facendo affermazioni infondate sul fatto come “la JG è politicamente disastrosa”. Non potete nemmeno sostenere, in maniera falsa, che non sappiamo nulla circa il come le politiche di creazione diretta di lavoro funzionino nel mondo reale e quale impatto abbiamo sull’economia e sui beneficiari.
3) Benefici della creazione diretta di lavoro: nuove prove dall’Argentina
La letteratura riguardo al New Deal, al modello svedese, alle politiche industriali e di diretta assunzione in giro per il mondo è voluminosa, anche se non è mainstream. Sappiamo molte cose della creazione diretta di lavoro. La MMT si è concentrata sul piano Jefes dell’Argentina perché è stato modellato sulla base della nostra proposta ELR. Abbiamo mostrato quali elementi del programma hanno funzionato come avevamo detto, quali no e perché. Abbiamo anche illustrato alcuni dei benefici di Jefes sulla macro-economia e i beneficiari stessi.
Ma di recente i critici (e gli scettici) della JG hanno messo in discussione l’effetto del programma sui membri più poveri della società ed hanno sostenuto che dei programmi di sussidi al reddito sarebbero preferibili. Questa non è un affermazione nuova, comunque. In realtà è precisamente l’argomento che ha trascinato la riforma di Jefes in Argentina.
Se volete capire di più di questa riforma e dell’impatto che Jefes ha avuto sui più poveri, potete leggere un’altra mia pubblicazione Levy, che esamina diversi sondaggi (in aggiunta a quelli condotti da me e Randy Wray) proposti a donne povere in diversi comuni in Argentina. I sondaggi narrano una storia veramente importante circa i benefici che la creazione di lavoro ha portato ai membri più poveri della società. La pubblicazione si rivolge anche al dibattito fra sostenitori delle garanzie di lavoro e delle garanzie di reddito.
Sebbene la letteratura su JG ed ELR sottolinei soprattutto i loro effetti sulla stabilizzazione macroeconomica, queste politiche possono anche avere effetti di profonda trasformazione sociale. Ad esempio, la MMT ha appoggiato un New Deal Verde. In questo lavoro, dimostro come la JG possa aiutare ad affrontare problemi economici duraturi come la povertà e le disparità fra i sessi. I risultati e i dati pratici del sondaggio che considero rivelano che le donne povere desiderano fortemente opportunità di lavoro salariato e che politiche come la JG o la ELR non solo garantiscono la piena occupazione e la stabilizzazione macroeconomica, ma possono anche servire come veicolo istituzionale, che inizi la trasformazione di quelle norme e strutture che producono e riproducono la povertà e le disparità di genere.
Osservo gli aspetti trasformativi delle politiche di pubblico impiego aprendomi all’approccio delle competenze, sviluppato da Amartya Sen ed elaborato da Martha Nussbaum: un approccio solitamente richiamato da molta letteratura post-keynesiana, istituzionalista e femminista. La pubblicazione esamina come l’accesso al lavoro salariato possa far crescere quello che Sen ha definito come “libertà sostanziale” di un individuo. Ogni politica che voglia incoraggiare l’autentica libertà deve innanzitutto partire da una comprensione di cosa voglia la popolazione in oggetto (in questo caso, le donne povere). Successivamente, deve progettare una strategia che garantisca l’esistenza di tali opportunità e infine deve rimuovere gli ostacoli che impediscono l’accesso ad esse.
In sostanza, se si vuole imparare qualcosa circa l’impatto di queste politiche sui più poveri, il modo migliore è andare sul territorio, studiare i programmi e chiedere ai poveri stessi. Vi consiglio di leggere e riflettere sulle storie di queste povere donne riguardo la loro esperienza con Jefes. Va bene sedersi intorno ad un tavolo e discutere dei problemi della JG con una sigaretta in mano, ma a meno che non si prenda il dovuto tempo per studiare gli specifici programmi di creazione diretta del lavoro e parlare con i partecipanti al programma, tutte le critiche resteranno nel mondo della filosofia da poltrona. La pubblicazione di cui sopra rivela che i poveri vogliono lavoro, non sussidi, e dimostra come la JG promuova la democrazia partecipativa.
4) La Job Guarantee promuove la democrazia: una proposta per gli USA
In particolare mi oppongo all’asserzione secondo cui la JG porterebbe dritto verso il socialismo o qualche altro sistema autoritario. Ogni buona idea può diventare letale in mani sbagliate: ma non significa che non sia una buona idea. La fissione dell’atomo può produrre energia a basso costo per tutti, ma qualcuno ha deciso invece di costruirci una bomba. Dovremmo quindi rifiutare la scienza su cui si fonda la fissione nucleare, perché può essere utilizzata per fini abominevoli?
E perché arrivare fino a questo? Trovo la JG assolutamente in linea con i desideri e le aspirazioni ad una società libera e democratica. In effetti, ritengo che sia un elemento cruciale, e al momento mancante, di ogni democrazia partecipativa. Se un cittadino intende lavorare, contribuire, mostrare spirito d’iniziativa, fare qualcosa di pubblica utilità, perché non fornirgliene la possibilità?
Nella mia ricerca finanziata dall’Institute for New Economic Thinking, ho asserito che parte della JG deve essere realizzata sulla base di un approccio basato sulla sovvenzione (specialmente in periodi normali, durante fluttuazioni standard dei business), dove le comunità, gli enti non-profit, e i disoccupati stessi possano partecipare all’ideazione, alla proposta e all’esecuzione di progetti da realizzare in queste comunità. Questo modello è perfettamente coerente con lo spirito imprenditoriale americano. Le sovvenzioni saranno allocate agli enti non-profit del territorio che stanno già eseguendo le opere non compiute dal settore pubblico (sì, il governo). Sono le stesse organizzazioni non-profit che realizzano necessità sociali cruciali, ma non possiedono le risorse adeguate. Inoltre, simili enti nascono ogni giorno, con spirito imprenditoriale, per soddisfare nuovi bisogni (come la pulizia dell’ambiente, l’agricoltura sostenibile, la riqualificazione urbana). Essi sono meglio organizzati, più vicini ai bisogni locali e alle risorse, e senz’altro possono avvalersi di più aiuti per svolgere le loro mansioni. Ho suggerito questo approccio grants-based [basato sulle sovvenzioni, ndt] dopo aver osservato come alcuni progetti in Argentina seguano questo modello. Potreste pensare che i non scolarizzati, i poveri e i “non collocabili” non abbiano buone idee di business, o spirito d’impresa o abilità per immaginare cosa ci sia da fare; e vi sbagliereste di grosso. Non ci servono grandi piani governativi e decisioni autoritarie su come collocare alcune persone in lavori specifici: il mercato non-profit può pensare a tutto questo, finché dispone di risorse. Il governo deve soltanto indire le proposte, stimare i progetti come farebbe con qualunque contratto con il settore privato, comportarsi con la dovuta diligenza nelle attività di report e controlli qualità, ed allocare i finanziamenti per stipendi e materiali (e in molti casi può anche non partecipare al 100%). Tutto quello che fa la JG è aggiungere l’obiettivo esplicito di impiegare i disoccupati con uno stipendio base in questi progetti. Il lavoro non-profit è altamente contro-ciclico, ed è il motivo per cui è molto adatto per fornire lo stabilizzatore automatico di cui abbiamo parlato.
Finché l’economia ristagna, possiamo usare le agenzie di collocamento esistenti per creare impiego per i disoccupati in questi progetti. Quando l’economia si risolleva, le stesse agenzie potranno fornire posti di lavoro a stipendi più elevati nel settore privato. Abbiamo le infrastrutture per eseguire una JG.
Bisogna poi effettuare, laddove siano necessari, dei miglioramenti alle infrastrutture. È un problema semplice. Alcuni progetti verranno eseguiti da imprese private che pagano stipendi più elevati, altri richiederanno comunque competenze meno sofisticate e assumeranno a paghe standard. Il modello non-profit che descrivo sopra non preclude gli investimenti o le migliorie più utili in infrastrutture su larga scala. Nessuno studioso della MMT ha mai detto che progettare la JG sia facile, che non ci siano ostacoli da affrontare, o che essa sia la panacea di tutti i mali che affliggono le economie moderne. A tutti coloro che sono stati capaci di immaginare solo una versione autoritaria ed improduttiva della JG, e non una democratica, che punti alla pubblica utilità, dico: “Lasciate fare a noi. Progetteremo una politica che incoraggi le aspirazioni ad una economia di mercato libera e democratica”.
Alla restante parte di voi che ha le proprie solide teorie ed idee pratiche su come fare, dico invece: vogliamo ascoltarvi, e mettiamoci al lavoro.

Traduzione a cura di Giacomo Bracci. Originale scritto da Pavlina R. Tcherneva  pubblicato qui l’11 febbraio 2012