Dopo circa 8 mesi di governo Monti, sembra ragionevole svolgere non tanto un bilancio del suo operato (che sarebbe comunque doverosissimo e che viene accuratamente evitato dalla stampa a lui amica), ma una semplice verifica di alcune delle sue affermazioni, anticipazioni e previsioni. Si potrà obiettare che in economia le certezze non esistono, ma siccome la nomina di Monti è stata presentata come la salvezza per il nostro Paese, ed ha avuto come contropartita inevitabile l’allontanamento di un Presidente del Consiglio legittimamente eletto (lungi da chi scrive avere nostalgia del signor B., per carità), di fronte a un tale costo è doveroso verificare quali siano i benefici e, soprattutto, se le dichiarazioni di principio di Monti siano state coerenti o veritiere. Tutto ciò, sia ben chiaro, al di là della fin troppo ovvia obiezione secondo la quale non è necessario un team di professori universitari per aumentare le tasse o prolungare l’età per il pensionamento.
Forse molti non ricordano più una delle frasi di esordio del professor Monti, al momento di ottenere la fiducia: egli disse che l’assenza di un’imposta sugli immobili in Italia gli pareva un’anomalia. Che bella frase per catturare il consenso, si potrebbe dire! Ma al di là di ciò, quasi nessuno osò replicare con un’osservazione ovvia: sarà anche vero che ci mancava un’imposta sugli immobili, ma è anche vero che ciò non ha mai impedito all’Italia di avere una delle pressioni fiscali più alte del mondo! Che importa se il fisco incassa tramite una tassa sulla casa anziché sulle sigarette? Si tratta sempre di soldi in meno nelle tasche dei cittadini! La contraddizione ben più ridicola è poi che i professori di economia non hanno mai mancato di imputare all’elevato carico fiscale uno dei motivi per cui gli investimenti, in Italia, non crescono.
Citerò solo di passaggio, essendo nota a tutti e in parte interpretata in modo impreciso, l’imperdibile dichiarazione fatta a LA7 secondo la quale la dimostrazione del successo dell’Euro è la Grecia. Siamo onesti: Monti si riferiva al fatto che con l’Euro la Grecia stava imparando, le piacesse o no, la cultura della stabilità. Va bene. Ma quanto costa questa stabilità? Costa 435.000 bambini dichiarati sottonutriti dall’Unicef (non dal “Corriere del Complottista”, per intenderci), un PIL in caduta, una spirale deflazionistica palesemente incontrollabile. Beh, almeno fosse stata raggiunta, questa stabilità: no. Infatti la Grecia avrebbe ancora bisogno di aiuti (nella forma di dilazione dei tempi di attuazione delle ricette della Trojka), e soprattutto ora perfino la stessa Trojka (come ha anticipato il Sole 24 ore) paventa concretamente la possibilita’ che la Grecia esca dall’Euro, il che potrebbe essere un bene, ma non certo un evento all’insegna della stabilità.
Riguardo a Monti, vari politici, pescando numeri non si sa bene dove, dichiararono che la dipartita di Berlusconi per far posto al professore avrebbe fatto risparmiare all’Italia decine di punti di spread. Ciò è avvenuto soltanto quando Draghi ha effettuato le 2 Operazioni a lungo termine di rifinanziamento (LTRO), e ciò nulla ha a che vedere con Monti e le sue politiche. Terminato questo flusso di denaro, lo spread ha continuato la sua strada verso i valori di un ristretto periodo (molti dimenticano anche questo) del governo di Berlusconi, la quale strada è palesemente senza alcun legame con chi governa il Paese (gustosissima la battuta che circola tra alcuni economisti italiani, che dice: “Se lo spread troppo alto dipendeva dall’attivita’ sessuale di Berlusconi, allora anche Monti si dà abbastanza da fare!).
Una evidentissima contraddizione è poi rappresentata dal cosiddetto “pacchetto per la crescita”, o decreto “Crescitalia”, che all’atto pratico e’ stato null’altro che un tentativo (peraltro puntualmente bloccato dai diretti interessati) di “liberalizzare” i mercati delle farmacie e dei tassisti. Quand’anche tale operazione fosse stata portata a compimento, si sarebbe comunque trattato di un intervento su settori microeconomici, che e’ stato invece spacciato pateticamente come intervento macroeconomico (che dovrebbe corrispondere, per intenderci, ad azioni sulle tasse, possibilmente abbassandole; o ad investimenti da parte dello Stato per rilanciare alcuni settori). Ripeto il concetto: ci è stata venduta microeconomia per macroeconomia, un po’ come se un medico mi garantisse di avere un fisico perfetto eliminando semplicemente il cappuccino a colazione.
Per concludere, porrei l’attenzione sulle manovre di austerità. Il noto economista Joseph Stiglitz, vincitore di Nobel nel 2001, ha accettato di prendere parte a un incontro con il nostro premier, organizzato dall’onorevole D’Alema, per svolgere un civile confronto di opinioni sulle ricette da adottare nell’Eurozona, al fine di rilanciarne l’economia in gravissima difficoltà (e non inganni il mito della produttività tedesca: non è che in Germania esista soltanto la Volkswagen). L’esito è stato piuttosto imbarazzante. Stiglitz ha sostanzialmene affermato, e non solo in quell’occasione, che in Italia, come in Europa, le misure da adottare sono esattamente l’opposto di quelle all’insegna dell’austerità. Monti non ha saputo fare altro che ribadire gli impegni che il Trattato di Mastricht comporta, negando l’evidenza di ciò che è accaduto in Grecia, con tali politiche di rigore, e che si e’ puntualmente verificato in Spagna. Si potranno anche rispettare gli impegni di Maastricht, che peraltro non hanno nessun fondamento teorico, ma il risultato è la concreta sofferenza delle persone.
In sintesi: contraddizioni sull’IMU, falimento del “modello” Grecia, palese falsificazione sul pacchetto “Crescitalia”, smentite di carattere tecnico da parte di autorevoli economisti, come Stiglitz. Non dovrebbe meravigliare se un simile governo tecnico rassegnasse le dimissioni.