FISCAL COMPACT: IL SUICIDIO DELLO STATO
19 luglio 2012, approvando il Fiscal Compact con una maggioranza schiacciante alla Camera, abbiamo ufficialmente consegnato le sorti del Belpaese nelle mani dei tecnocrati europei, che ne controlleranno integralmente le attività economiche dopo aver già da tempo acquisito i diritti su quelle politiche. Il tutto nella quasi totale assenza, per non dire “allineamento”, dei media del mainstream.
Per capire la gravità della situazione bisogna prima di tutto analizzare che cos’è il Fiscal Compact e quali conseguenze scaturiranno dalla ratifica dello stesso.
Che cos’è il Fiscal Compact
Formalmente è il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria firmato il 2 marzo 2012 da tutti gli stati dell’Unione europea ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca.
Il Trattato contiene una serie di disposizioni, chiamate anche “regole d’oro”, con cui gli Stati si impegnano a migliorare e coordinare al meglio le politiche economiche all’interno dell’Unione al fine di salvaguardare la stabilità di tutta la zona Euro.
Ufficialmente entrarà il vigore il 1° Gennaio 2013 a condizione che almeno 12 Stati membri, appartenenti all’area Euro, l’abbiano ratificato.
Abbandoniamo però il versante formale e scendiamo nei dettagli per capire effettivamente di cosa si tratta. Il Fiscal compact, in sintesi, si compone di due regole che riguardano rispettivamente: il “patto di bilancio” e l’obiettivo della riduzione del debito pubblico. Lo scopo dichiarato lo troviamo nelle ultime righe dell’art. 1 comma 1: crescita sostenibile, competitività e coesione sociale. Analizzeremo questi obiettivi nel corso dell’articolo approfondendone determinati aspetti.
Regola numero uno: Il patto di bilancio
Il patto di bilancio è disciplinato dall’art. 3 del trattato:
a) la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è in pareggio o in avanzo;
Questa regola sancisce l’impossibilità per uno Stato di chiudere in passivo il proprio bilancio annuale. In altri termini la spesa a deficit non è più contemplata, l’unica alternativa al pareggio è il surplus. Generare ulteriore debito pubblico non è più possibile.
b) la regola di cui alla lettera a) si considera rispettata se il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all’obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Le parti contraenti assicurano la rapida convergenza verso il loro rispettivo obiettivo di medio termine. Il quadro temporale per tale convergenza sarà proposto dalla Commissione europea tenendo conto dei rischi specifici del paese sul piano della sostenibilità. I progressi verso l’obiettivo di medio termine e il rispetto di tale obiettivo sono valutati globalmente, facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, in linea con il patto di stabilità e crescita rivisto;
d) quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è significativamente inferiore al 60% e i rischi sul piano della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche sono bassi, il limite inferiore per l’obiettivo di medio termine di cui alla lettera b) può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dell’1,0% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato;
e) qualora si constatino deviazioni significative dall’obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo, è attivato automaticamente un meccanismo di correzione. Tale meccanismo include l’obbligo della parte contraente interessata di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito.
Entriamo nello specifico: la regola espressa dal comma a) si considera rispettata se gli Stati aventi un debito pubblico superiore al 60% del PIL chiuderanno il bilancio con un deficit strutturale massimo dello 0,5%/PIL, il limite è fissato all’1% nel caso in cui il debito pubblico sia inferiore al 60%. Laddove il percorso per il raggiungimento dell’obiettivo subisca un rallentamento o una deviazione è fatto obbligo alla parte contraente attuare un meccanismo di correzione.
Alla Commissione europea spetta il compito di valutare e vigilare sul rispetto degli obiettivi di medio termine imposti agli Stati dal patto di stabilità e crescita 1, ma la funzione della Commissione non si esaurisce e risulta essere di ben altra portata.
Il paragrafo 2 del Trattato ci chiarisce le idee in merito:
2. Le regole enunciate al paragrafo 1 producono effetti nel diritto nazionale delle parti contraenti al più tardi un anno dopo l’entrata in vigore del presente trattato tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale – o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio. Le parti contraenti istituiscono a livello nazionale il meccanismo di correzione di cui al paragrafo 1, lettera e), sulla base di principi comuni proposti dalla Commissione europea, riguardanti in particolare la natura, la portata e il quadro temporale dell’azione correttiva da intraprendere, anche in presenza di circostanze eccezionali, e il ruolo e l’indipendenza delle istituzioni responsabili sul piano nazionale per il controllo dell’osservanza delle regole enunciate al paragrafo 1. Tale meccanismo di correzione deve rispettare appieno le prerogative dei parlamenti nazionali.
Gli Stati che ratificheranno il fiscal compact saranno quindi obbligati ad adottare tali regole tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale e i meccanismi di azione correttiva (di cui sopra) saranno istituiti sulla base di principi proposti/imposti dalla Commissione che ne determinerà anche la natura, la portata e il quadro temporale. L’intera politica economica e fiscale di uno Stato viene trasferita nelle mani di tecnocrati non eletti. L’opera di esautorazione dei Parlamenti nazionali è giunta alla fase finale, le Costituzioni degli stati dell’Eurozona, con rare eccezioni, sono da considerare carta straccia.
Regola numero due: il percorso di riduzione del debito pubblico
L’art. 4 introduce la seconda regola che va ad integrare il patto di bilancio, gli art. 5 e 6 ne stabiliscono le regole:
Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di riferimento del 60% di cui all’articolo 1 del protocollo (n. 12) sulla procedura per i disavanzi eccessivi, allegato ai trattati dell’Unione europea, tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all’anno come parametro di riferimento secondo il disposto dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio, del 7 luglio 1997..
La parte contraente che sia soggetta a procedura per i disavanzi eccessivi ai sensi dei trattati su cui si fonda l’Unione europea predispone un programma di partenariato economico e di bilancio che comprenda una descrizione dettagliata delle riforme strutturali da definire e attuare per una correzione effettiva e duratura del suo disavanzo eccessivo. Il contenuto e il formato di tali programmi sono definiti nel diritto dell’Unione europea. La loro presentazione al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea per approvazione e il loro monitoraggio avranno luogo nel contesto delle procedure di sorveglianza attualmente previste dal patto di stabilità e crescita.
Spetterà al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea monitorare l’attuazione del programma di partenariato economico e di bilancio e dei piani di bilancio annuali ad esso conformi.
Al fine di coordinare meglio le emissioni di debito nazionale previste, le parti contraenti comunicano ex ante al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea i rispettivi piani di emissione del debito pubblico
In sintesi gli Stati il cui debito pubblico non è inferiore al 60% sul PIL dovranno attuare un programma (che comprenda una descrizione dettagliata delle riforme previste) di riduzione del debito che dovrà scendere ogni anno di almeno 1/20 della distanza tra il valore effettivo e la soglia del 60%. L’approvazione di tali programmi spettano al Consiglio e alla Commissione che dovranno essere anche informati preventivamente di tutte le spese a deficit previste dai piani annuali.
Ma non è tutto, perché gli articoli successivi, in particolare l’otto, stabiliscono che sarà la Corte di Giustizia dell’Unione Europea a stabilire, con una sentenza vincolante, le sanzioni alle parti contraenti che non rispetteranno le regole, sanzioni che arrivano fino allo 0,1 % del PIL. Naturalmente sarà la Commissione a stilare relazioni che potranno inchiodare gli Stati negligenti.
E’ più chiaro ora chi effettivamente governerà i paesi sottoscrittori del Trattato?
Queste considerazioni però non spiegano in modo esaustivo la tesi espressa nel titolo di questo articolo, qualche sprovveduto lettore potrebbe pensare che gli stati spendaccioni si meritino la maestra, o meglio, la Commissione “di sostegno” per aver fatto i cattivi. Andiamo quindi ad analizzare le cifre di questo atto accolto con entusiasmo dalla maggioranza dei nostri parlamentari.
L’obiettivo dichiarato è quello di portare il debito pubblico sotto la soglia del 60% in 20 anni partendo da una cifra molto vicina al 120%. Ciò significa che dovrà essere ridotto di almeno il 3% all’anno. Abbiamo detto che il bilancio dello Stato dovrà essere in pareggio, non potrà quindi generare ulteriore debito. Tutte le variazioni percentuali del PIL, di conseguenza, produrranno altrettante variazioni del rapporto debito/PIL. In altre parole, se la variabile debito è fissa e considerando che il debito pubblico italiano è pari a circa il 120%, affinché si rispetti la regola 1/20, è necessario che inizialmente il PIL cresca di almeno il 2,5%, successivamente, con un debito al 100% è sufficiente una crescita del 2%, e così via. Ma quanto cresce il PIL del nostro paese? Questo è il punto centrale del discorso: il nostro prodotto interno lordo non solo non cresce, ma diminuisce, chiamasi recessione. Le stime parlano di un segno negativo sia per il 2012 che per il 2013. Se il PIL non cresce e il pareggio di bilancio non ci permette di generare nuovo debito, facendo rapidi calcoli, l’Italia dovrà trovare una cifra vicina ai 50 miliardi di euro entro il 2013 per rispettare il suo piano di rientro. Cifre molto simili saranno necessarie per gli anni successivi a meno che non ci sia una miracolosa ripresa della produzione nazionale, cosa che appare alquanto improbabile se ci si ostina a seguire una politica economica che non stimola la domanda. Lo scenario è al limite del drammatico se si considera che la “spending review” di Monti, che sta gettando nella depressione anche i più entusiasti estimatori del Professore, mira a racimolare qualcosa come 29 miliardi di euro in tre anni. Si parla di decine di migliaia di dipendenti pubblici in esubero, meno posti letto negli ospedali, tagli alla scuola e alla giustizia. Dove pensa di trovare ulteriori 50 miliardi di euro?
Qualcuno dica a Monti che dalle vene degli italiani non sgorga danaro, ma sangue.
1 Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo stipulato dai paesi membri dell’Unione Europea, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione Economica e Monetaria europea (Eurozona). Detto anche “Trattato di Amsterdam”, fu sottoscritto nel 1997 al fine di realizzare il rafforzamento del percorso d’integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht. (Wikipedia)
Pensate sia ammissibile un referendum con cui far saltare le ratifiche parlamentari?
Personalmente sono scettico sul referendum. Non sull’utilità dello strumento, bensì sull’interesse degli italiani a sollecitarne l’utilizzo.
gli italici, come le tre scimmiette, non vedono, non sentono, non parlano…..
Penso invece che se organizzato bene, spiegato tra le gente potrà avere un ottimo risultato. Chiaramente sarebbe solo un referendum conoscitivo, visto che in materia di trattati non avrebbe nessuna valenza. Se pensiamo al referendum sull’acqua ritengo che anche potrebbe indicare precisamente le idee degli italiani e chissà magari qualche politico potrebbe improvvisamente svegliarsi
Credo poco anche a quest’ultima ipotetica tattica. I politici che siedono in parlamento, a parte quelli di pser se condradittori dell’IDV, sono solo scifezza pura. I tedeschinon si fidono di loro.Tutti gli altri, compreso la Lega, hanno creato questo stato di cose quindi sono quelli che vanno denunciati e giudicati per Crimine contro l’umanità. Restano possibili nuove forze,, tra queste quelle del M5S. Non vanno lasciate soli. su di loro bisogna lavorare con pressione per far emergere una decisione definitiva. Tutto il resto, la maggior parte sta nel cittadino-massa. Prima le schifezze vengono buttate giù dal letto togliendo loro la livrea, prima ci si sbriga. Altrimenti non vedo altra soluzione.
In Italia non è possibile indire referendum in materia di trattati internazionali.
Articolo 75 COSTITUZIONE
E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 76, 77], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80].
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.
Il patto di stabilità serve a mantenere un bel po’ di liquidità nelle casse del sistema bancario che gestisce le tesorerie degli enti della PA.
Se, di punto il bianco, si abolisse il patto di stabilità permettendo alla PA la spesa dei fondi bloccati nelle banche, un bel pacco di banche fallirebbero.
Ecco perché lo si tiene in piedi: è l’ennesimo finanziamento alle banche, con soldi pubblici che vengono sottratti ai servizi…
L’unica possibilità, a mio parere è che sia il parlamento stesso a stracciare il contratto, con le conseguenze evidenti di controversie a livello internazionale, dove si sa bene che, nemmeno le sanzioni dei giudici internazionali possono fare nulla, vige il principio di embargo e di guerra intimidatoria.
I mezzi di sopravvivenza, nel breve periodo, possono esistere a patto che le comunità locali si uniscano e decidano di utilizzare una moneta complementare a sostegno della liquidità, almeno a riguardo dei beni di stretta necessità (diversamente possibile per sanità e farmaci).
Si conta di fare più divulgazione possibile della situazione e delle soluzioni possibili per il DOPO, per costruire un lungo periodo migliore.
Tuttavia, finché “il mercato di gente decentemente informata” non è sufficiente a garantire l’esistenza di una buona politica in grado di sovvertire gli accordi di strozzinaggio europei, non resta altro che a noi un grande potere…..QUELLO DI INFORMARE PIÙ GENTE POSSIBILE E DI RENDERLA PARTECIPE!