Mercoledì 28 aprile molti blogger che seguono New Economic Perspectives hanno partecipato a una lezione stile anni ’60, a Washington DC, per studiare alcuni dei miti a proposito dei deficit del Governo Federale. Il nostro evento era programmato per contrastare le stravaganze [dell’istituto, ndt] Pete Peterson, che ha usato degli errori per alimentare l’isteria e la paura dei deficit. Potete trovare maggiori informazioni sull’evento, così come le nostre presentazioni in formato PowerPoint qui (http://www.netrootsmass.net/fiscal-sustainability-teach-in-and-counter-conference/).
Appena prima dell’evento, abbiamo anche pubblicato un pezzo che esamina i nove peggiori miti, postato sia su New Deal 2.0 (qui: http://www.nextnewdeal.net/deficit-nine-myths-we-cant-afford) sia sull’Huffington Post (qui http://www.huffingtonpost.com/lynn-parramore/the-deficit-nine-myths-we_b_553527.html). La raffica e la furia dei commenti al nostro pezzo è stata stupefacente, anzi, scioccante. Penso che questi commenti dimostrino quanto successo i miliardi di dollari spesi da Peterson abbiano avuto nel promuovere pericolose falsità nei due decenni passati. Infatti, il livello dei commenti è notevole sia per vetriolo sia per la loro pura ignoranza. Ci si domanda se una discussione civile e informata sul tema del denaro sia possibile.
Mi torna in mente una conversazione che ho avuto una volta con il grande Robert Heilbroner su un mio libro, “Understanding Modern Money”. Mi ha avvertito che il libro avrebbe spaventato a morte i lettori (effettivamente ha usato un linguaggio più colorito – ma era una conversazione privata, non un post pubblico adatto ad una visione familiare). Ha proseguito spiegando che il denaro sia la cosa più spaventosa per la maggior parte delle persone, [ed era sicuro, ndt] che il risultato sarebbe stato una discussione accesa e arrabbiata. È anche complesso [poiché il denaro è, ndt] qualcosa di cui le persone parlano ma che in pochi capiscono. Bisogna dedicare a questo argomento attenzione e dare rassicurazioni sul fatto che nessuno stia proponendo qualcosa di troppo inquietante. È anche un argomento su cui si concentrano un’ampia quota di cranks[1] – infatti, i monetary cranks hanno effettivamente ottenuto una voce nel dizionario di economia New Palgrave. (A proposito, la maggior parte dei crank trattati in questa voce sono meno cranky di gente come Milton Friedman o Friederich von Hayek – ma questo è un argomento per un altro post.) Per questa ragione, nuovi modi di guardare al denaro sono (giustamente, a volte) trattati con sospetto.
La reazione al nostro post sui nove miti mi ricorda anche un’intervista del premio Nobel Paul Samuelson rilasciata a Mark Blaug (nel suo film su Keynes, “John Maynard Keynes: Life/Ideas/Legacy”, 1995). Lì Samuelson afferma:
“Io penso che ci sia un elemento di verità nel ritenere una superstizione il fatto che il bilancio dello stato debba essere pareggiato in ogni momento [se necessario, ndt].
Una volta sfatata quest’ultima, si elimina uno dei baluardi che ogni società deve nei confronti della spesa fuori controllo. Ci deve essere ordine nell’assegnazione delle risorse o si finirà per avere caos anarchico e inefficienza.
Una delle funzioni della vecchia religione è stata quella di spaventare la gente attraverso, a volte, ciò che potrebbero essere considerate “credenze mitologiche” spingendola quindi a comportarsi nella maniera che, alla fine, la vita civile esigeva.
Abbiamo eliminato la convinzione della necessità intrinseca di pareggiare il bilancio, se non tutti gli anni, in ogni breve periodo di tempo. Se il primo ministro Gladstone[2] tornasse in vita direbbe,”uh, oh ma che cosa avete fatto?” e James Buchanan[3] discute in questi termini.
Devo dire che vedo dei meriti in quella visione”.
In altre parole, la necessità di pareggiare il bilancio entro un periodo di tempo, in base ai movimenti degli oggetti celesti, o nel corso di un ciclo economico, è un mito, [è come, ndt] una religione vecchia maniera. La superstizione è vista come necessaria perché se tutti realizzassero che lo stato non è effettivamente vincolato dalla necessità di pareggiare il bilancio, allora potrebbe spendere “senza controllo”, prendendosi una percentuale troppo larga delle risorse nazionali. Samuelson vede del merito in questa visione.
È difficile non essere d’accordo con lui. Ma che cosa accadrebbe se la credenza religiosa del pareggio di bilancio rendesse impossibile spendere l’ammontare necessario per raggiungere gli scopi pubblici? Nello stesso film, James Buchanan sostiene che il bilancio dovrebbe essere in pareggio eccetto che in tempo di guerra, e mentre non avvalla esplicitamente l’argomento di Samuelson che questo non sia altro che un utile mito, egli ammette implicitamente che non ci sono ragioni finanziarie – economiche – e di solvibilità che richiedano il pareggio di bilancio. Piuttosto, è per tenere il governo sotto scacco, per assicurare che non cresca e non assorba troppe risorse nazionali [grassetto del traduttore, ndt]. Ironicamente la disponibilità di Buchanan nella spesa a deficit in tempo di guerra implica che gli USA debbano sempre essere in deficit poiché siamo quasi sempre in guerra con qualcuno. Quindi, egli sembra sostenere che i deficit di bilancio debbano essere quasi permanenti – [affermazione fatta, ndt] senza dubbio involontariamente. Molti potrebbero porre l’accento sul tema che, se sono ok i deficit per distruggere il nemico, allora è pienamente giustificato avere deficit per costruire una nazione forte. Infatti, i lettori più anziani di questo blog ricorderanno che il nostro stato ha costruito le autostrade interstatali con l’argomento che queste fossero un bene per la difesa nazionale, e che molti di noi poterono andare al college grazie ai “prestiti studenteschi per la difesa nazionale”. Ma non è questo il punto a cui voglio arrivare in questo post.
Quello che sostengo in questa discussione sul denaro e sul deficit di bilancio è che è stata raggiunta una situazione in cui è diventato impossibile dedicarsi ai problemi del mondo reale. Ho sempre pensato che l’onestà sia la miglior politica – anche quando la verità è spaventosa – ma io sono nel settore dell’educazione, non in politica, nel marketing o nella religione. Ma anche se ammettiamo il punto di Samuelson, che la vecchia religione del deficit non sia più utile, essa potrebbe essere servita a raggiungere degli scopi nel passato.
Sì, il governo deve essere vincolato. Le elezioni, la pianificazione, la contabilità e la responsabilità trattano di questo. Noi abbiamo bisogno di più democrazia, maggiore comprensione, e maggiore trasparenza. I politici hanno bisogno di ascoltare il Main Street – non solo Wall Street – prima di decidere dove e quanto spendere. Loro [i politici, ndt] hanno bisogno di essere controllati da un processo di pianificazione finanziaria, il cui scopo non sia di pareggiare il bilancio, assicurando che le entrate fiscali siano pari alla spesa in uscita, ma piuttosto per darci un’idea sulla dimensione dei programmi (quindi, che percentuale delle nostre risorse nazionali sarà dedicata ai loro progetti) e, ugualmente importante, per rendere i nostri leader e i nostri manager responsabili. Quando loro sforano il bilancio, non minacciano la solvibilità del governo, ma la sua credibilità. La frode e gli eccessi sono sempre una minaccia laddove la spesa governativa non sia vincolata. E, sì, troppa spesa del governo genera una competizione sulle risorse, strozzature, e anche una eccessiva domanda aggregata, il che può generare inflazione.
Non abbiamo bisogno di credenze mitologiche, abbiamo bisogno di maggiore democrazia, di maggiore comprensione e trasparenza. Dobbiamo vincolare i nostri leader, ma non attraverso superstizioni disfunzionali.
L’articolo “Paul Samuelson sui miti del deficit”, è stato pubblicato da Neweconomicsperspective.org il 30 aprile 2010 qui
http://neweconomicperspectives.org/2010/04/paul-samuelson-on-deficit-myths.html
Traduzione a cura di Emiliano Galati.
- Crank: persona che ha una fede incrollabile in quello che i suoi contemporanei ritengono falso (vedi voce Crank dell’edizione inglese di Wikipedia); indica comunemente i pazzoidi/dissidenti sia interni al sistema accademico, sia esterni.
- William Ewart Gladstone: statista inglese (Liverpool 1809 – Hawarden 1898). Più volte primo ministro. Fonte: treccani.it
- Buchanan, James McGill. – Economista statunitense (n. Murfreesboro, Tennessee, 1919), è il fondatore della “teoria delle scelte pubbliche”, per la quale ha vinto nel 1986 il Premio Nobel per l’economia. Fonte: treccani.it